La responsabilità da reato nell'ambito dei Gruppi di Società (Commento a Cass. pen., sez. V, sent. n. 24583 del 17.11.2010 - 20.6.2011)
Come è noto, il d.lgs. 231/2001 modella la responsabilità degli enti giuridici sulla figura dell'ente singolarmente considerato, nulla disponendo in ordine alla disciplina dei gruppi di società, fenomeno costituito dalla concentrazione di una pluralità di società sotto la direzione unificante ed il controllo finanziario di una società capogruppo o holding.
Tuttavia, il fatto che, formalmente, le società facenti parte del gruppo siano giuridicamente autonome ed indipendenti, non impedisce che le attività di ciascuna costituiscano espressione di una comune politica d'impresa, generalmente voluta dalla holding partecipante nell'ottica della diversificazione dei rischi.
A tale proposito, la quinta sezione della Corte di cassazione, con la sentenza n. 24583 del 17 novembre 2010 - 20 giugno 2011, ha stabilito che la società capogruppo e le altre società facenti parte del gruppo possono essere chiamate a rispondere, ai sensi del d.lgs. 231/2001, per il reato commesso nell'ambito dell'attività di una società controllata, purché nella consumazione concorra una persona fisica che agisca per conto della capogruppo o delle altre società controllate, perseguendo anche l'interesse di queste ultime. Con la decisione in commento, la Corte di cassazione si è trovata per la prima volta ad affrontare la questione in relazione a fattispecie nella quale si poneva, in particolare, il problema della estensibilità a tutte le società controllate facenti parte di un gruppo, della responsabilità sussistente in capo alla capogruppo e ad altre controllate.
Va tuttavia evidenziato come la dottrina prevalente abbia invece assunto un atteggiamento di particolare cautela in relazione alla presunzione della coincidenza dell'interesse di gruppo con quello immediato delle singole società controllate affermando che «va richiamata l'attenzione sui pericoli insiti nell'automatismo che vuole la controllante attraverso la mediazione dell'interesse “collettivo” del gruppo che guida, in pratica sempre e comunque responsabile per le scelte gestionali operate nell'ambito della controllata, qualora si manifestino attraverso la commissione di illeciti penali rilevanti ai fini dell'applicazione delle disposizioni del d.lgs 231/2001», poiché «è indubitabile che possa essere effettivamente riconosciuto in concreto che l'azione della singola controllata sia stata ispirata dal perseguimento di un interesse che trascende quello proprio (e che quindi può addirittura contrastare con quest'ultimo), ma questo non può essere automaticamente dedotto dalla semplice appartenenza della società ad un gruppo, dovendo invece essere oggetto di specifico accertamento. Ancor meno automatica, poi, può essere l'imputazione dell'etereo interesse di gruppo alla controllante, sempre e comunque intesa come la depositaria dello stesso»
di Sergio Beltrani
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