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GIURISPRUDENZA
23 ottobre 2024 (c.c. 9 ottobre 2024) n. 38890 – sentenza – Corte di cassazione - sezione III penale* (La partecipazione attiva dell'ente al procedimento che lo riguarda è subordinata alla sua previa costituzione, formalità individuata dall'art. 39 d.lgs. n. 231/2001 quale mezzo di esternazione della volontà diverso e più articolato di quelli dell'imputato persona fisica, in quanto corrispondente alla struttura complessa di tale figura soggettiva ed idoneo a rendere quanto prima ostensibile l'eventuale conflitto di interessi derivante dall'essere il legale rappresentante indagato o imputato del reato da cui dipende l'illecito amministrativo - L'onere di formale costituzione ai sensi dell'art. 39 d.lgs. n. 231/2001, previsto come condizione per la partecipazione attiva dell'ente al procedimento che lo riguarda, opera sin dalla fase delle indagini preliminari - Il rappresentante legale indagato o imputato del reato presupposto non può provvedere, a causa di una evidente condizione di incompatibilità, alla nomina del difensore dell'ente, per il generale e assoluto divieto di rappresentanza posto dall'art. 39 del d.lgs. n. 231 del 2001 - Quando il legale rappresentante della società imputato di un illecito 231 è a sua volta indagato o imputato del reato presupposto, l'esistenza del conflitto è presunta iuris et de iure e la sua sussistenza non deve essere accertata in concreto - L'inosservanza del divieto di cui all'art. 39 produce necessariamente conseguenze sul piano processuale, in quanto tutte le attività svolte dal rappresentante incompatibile all'interno del procedimento penale che riguarda l'ente devono essere considerate inefficaci - Il modello organizzativo dell'ente deve prevedere regole cautelari per le possibili situazioni di conflitto di interesse del legale rappresentante indagato per il reato presupposto, valevoli a munire l'ente di un difensore, nominato da soggetto specificamente delegato, che tuteli i suoi interessi - La nomina del difensore d'ufficio, prevista per l'ente dall'articolo 40 del d.lgs. 231/2001, simmetricamente a quanto previsto per l'indagato dall'articolo 96, comma 3, cod. proc. pen., non è obbligatoriamente prevista in occasione dell'esecuzione del sequestro preventivo, in quanto la stessa è limitata, dall'articolo 364 del codice di rito, all'interrogatorio, all'ispezione, alla individuazione di persona o al confronto cui debba partecipare l'indagato - L'informazione di cui all'articolo 369-bis e simmetricamente dell'articolo 57 d. lgs. 231/2001 non è dovuta fino al momento in cui viene compiuto da parte del pubblico ministero un atto che l'imponga)
2 agosto 2024 (ud. 25 giugno 2024) n. 31665 - sentenza - Corte di cassazione - sezione IV penale* (Omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro e segnatamente dell'art. 17 d.lgs. 81/2008 che impone al datore di lavoro di predisporre il documento di valutazione dei rischi previsto dall'art. 28 e di assicurare che vi sia uno scambio di informazioni all'interno della struttura aziendale - Trasferimento di lavoratori verso un cantiere in Libia via terra invece che via mare e senza scorta armata né altre cautele idonee a tutelarne l'integrità fisica con conseguente sequestro da parte di milizie locali e successivo decesso di essi nel corso di un conflitto a fuoco - Trasgressione a prescrizioni ricevute e costantemente rispettate che imponevano l’effettuazione del trasferimento solo via mare da parte di dirigente apicale con funzioni di operation manager per la Libia avente requisiti di professionalità ed autonomi poteri di gestione e di spesa in tema di sicurezza dei lavoratori - Società dotata di un modello di organizzazione e gestione individuato in specifici documenti resi noti al personale e comunque atto a prevenire il tipo di rischio poi concretizzatosi a seguito dell'estemporanea iniziativa dell’operation manager, al di là della mancata previsione specifica nel DVR - Al fine di evitare che la responsabilità dell'ente sia formalisticamente e automaticamente dedotta in base a schemi logico-presuntivi che richiamano il paradigma della responsabilità oggettiva dal fatto che un reato è stato commesso nell'ambito dell'organizzazione societaria è necessario che l'accertamento della responsabilità dell'ente segua un percorso di natura sostanziale che, a somiglianza di quanto accade nel campo della responsabilità delle persone fisiche e indipendentemente dalla formale presenza di un modello organizzativo efficace e correttamente implementato, accerti l'esistenza in concreto di una colpa di organizzazione rispetto alla quale il reato che è stato commesso si ponga in stretto ed univoco rapporto di derivazione causale - In relazione a reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, la colpa di organizzazione deve intendersi in senso normativo ed è fondata sul rimprovero derivante dall'inottemperanza da parte dell'ente dell'obbligo di adottare le cautele organizzative e gestionali necessarie a prevenire la commissione dei reati previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità del soggetto collettivo, dovendo tali accorgimenti essere consacrati in un documento che individui i rischi e delinei le misure atte a contrastarli - Ai fini della configurabilità della responsabilità da reato degli enti, non sono ex se sufficienti la mancanza o inidoneità degli specifici modelli di organizzazione o la loro inefficace attuazione, essendo necessaria la dimostrazione della colpa di organizzazione che caratterizza la tipicità dell'illecito amministrativo ed è distinta dalla colpa degli autori del reato - Il requisito della colpa di organizzazione dell'ente ha la stessa funzione che la colpa assume nel reato commesso dalla persona fisica cioè di elemento costitutivo del fatto tipico, integrato dalla violazione colpevole ovvero rimproverabile della regola cautelare - La colpa di organizzazione va dimostrata dall'accusa e l'ente può dimostrarne l'assenza, gli elementi costitutivi dell'illecito essendo rappresentati anche dalla carenza di un adeguato modello organizzativo, oltre che dal reato presupposto e dal nesso causale tra i due - Esiguo vantaggio economico derivato alla Società dalla estemporanea trasgressione a prescrizioni di sicurezza generalmente rispettate nel trasferimento dei lavoratori in Libia da parte dell’operation manager - I requisiti dell'interesse e del vantaggio devono essere valutati nel contesto generale dei fatti ed in stretto collegamento con le verifiche relative alla sussistenza o meno di una colpa di organizzazione, dando così rilevanza anche al carattere sporadico o meno della violazione - Per quanto anche una unica e isolata violazione della norma cautelare possa fondare la responsabilità dell'ente, il connotato della sistematicità delle violazioni ben può rilevare su un piano strettamente probatorio quale possibile indice della sussistenza e consistenza, sul piano economico, del vantaggio derivante dalla mancata previsione e/o adozione delle dovute misure di prevenzione - Per impedire un'automatica applicazione della norma che ne dilati a dismisura l'ambito di operatività ad ogni caso di mancata adozione di qualsivoglia misura di prevenzione, anche isolata, l'esiguità del risparmio può rilevare per escludere il profilo dell'interesse e/o del vantaggio, e, quindi, la responsabilità dell'ente, ove la violazione si collochi in un contesto di generale osservanza da parte dell'impresa delle disposizioni in materia di sicurezza - In tema di responsabilità amministrativa degli enti derivante dai reati di omicidio colposo e di lesioni personali aggravate dalla violazione della disciplina antinfortunistica, il criterio di imputazione oggettiva del vantaggio societario può sussistere anche a fronte di una singola condotta illecita ma il vantaggio stesso deve essere oggettivamente apprezzabile, ad esempio in termini di fatturato o di ampliamento dei settori di operatività, ed eziologicamente collegato all'attività societaria - La Società non può rispondere del comportamento del proprio operation manager in Libia, che peraltro ha prodotto un vantaggio economico non oggettivamente apprezzabile rispetto alle dimensioni societarie, perché aveva adottato un modello di organizzazione e di gestione della sicurezza sul lavoro ai sensi dell’art. 30, commi 3 e 4 d.lgs. 81/2008 che, con una valutazione ex ante necessariamente correlata anche al costante rispetto fino a quel momento delle prescrizioni impartite dal consiglio di amministrazione, si era dimostrato idoneo a prevenirlo)
25 luglio 2024 (c.c. 20 giugno 2024) n. 30604 - sentenza - Corte di cassazione - sezione VI penale* (Applicazione della pena in relazione all'illecito amministrativo di cui all'art. 24 d.lgs. 231/2001 conseguente al reato di cui all'art. 316-ter c.p. - Confisca del profitto del reato ai sensi degli artt. 9 e 19 d.lgs. 231/2001 non concordata dalle parti ma disposta unilateralmente dal giudice - L'espressa qualificazione normativa della confisca, diretta e per equivalente, quale sanzione principale impone di estendere ad essa l'accordo sulla pena - In considerazione della natura obbligatoria della confisca del profitto del reato, le parti non possono concordarne l'esclusione se non nei casi in cui si ritenga che l'illecito non ha prodotto alcun profitto per l'ente mentre dovrà sempre rientrare nell'oggetto dell'accordo la quantificazione della misura ablatoria, sia essa diretta o per equivalente - Qualora il giudice ritenga che le parti sono addivenute all'erronea esclusione della confisca, individuando l'esistenza di un profitto derivante dall'illecito, ovvero nel caso in cui ritenga incongrua la quantificazione della confisca, dovrà rigettare l'accordo sulla pena - Viceversa, deve escludersi la possibilità che le parti non si accordino sulla confisca, rimettendone la determinazione al giudice, proprio perché in tal modo il patteggiamento risulterebbe parziale, non comprendendo tutte le sanzioni normativamente previste per l'illecito dell'ente)
4 luglio 2024 (ud. 12 giugno 2024) n. 26293 - sentenza - Corte di cassazione - sezione IV penale* (Lesioni colpose commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro - I criteri d'imputazione oggettiva della responsabilità dell'ente, l'interesse o il vantaggio di cui all'art. 5 del d.lgs. 231 del 2001, sono alternativi e concorrenti tra loro in quanto il primo esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante, cioè al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo mentre il secondo ha, invece, una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell'illecito - I criteri di imputazione oggettiva vanno riferiti alla condotta del soggetto agente e non all'evento, coerentemente alla diversa conformazione dell'illecito, essendo possibile che l'agente violi consapevolmente la cautela, o addirittura preveda l'evento che ne può derivare, pur senza volerlo, per rispondere a istanze funzionali a strategie dell'ente - Il criterio d'imputazione oggettiva può essere ravvisato nel risparmio di risorse economiche conseguente alla mancata predisposizione dei procedimenti e dei presidi di sicurezza, nell'incremento economico conseguente all'incremento della produttività non ostacolata dal rispetto della normativa prevenzionale, nel risparmio sui costi di consulenza, sugli interventi strumentali, sulle attività di formazione e informazione del personale o, ancora, nella velocizzazione degli interventi di manutenzione e di risparmio sul materiale - Il criterio d'imputazione oggettiva va inteso non solo come risparmio di spesa conseguente alla mancata predisposizione del presidio di sicurezza, ma anche come incremento economico dovuto all'aumento della produttività non rallentata dal rispetto della norma cautelare - Necessità di individuare precisi canali che colleghino teleologicamente l'azione della persona fisica all'interesse dell'ente - La sistematicità della violazione non rileva quale elemento della fattispecie tipica dell'illecito dell'ente né l'art. 25-septies richiede la natura sistematica delle violazioni alla normativa antinfortunistica per la configurabilità della responsabilità dell'ente derivante dai reati colposi - Se il criterio di imputazione ha lo scopo di assicurare che l'ente non risponda in virtù del mero rapporto di immedesimazione organica, assicurando che la persona fisica abbia agito nel suo interesse e non solo approfittando della posizione in esso ricoperta, è eccentrico rispetto allo spirito della legge ritenere irrilevanti tutte quelle condotte, pur sorrette dalla intenzionalità, ma, in quanto episodiche e occasionali, non sono espressive di una politica aziendale di sistematica violazione delle regole cautelari - Il carattere della sistematicità presenta in sé innegabili connotati di genericità giacchè la ripetizione di più condotte, poste in essere in violazione di regole cautelari, potrebbe non essere ancora espressiva di un modo di essere dell'organizzazione e, quindi, di una sistematicità nell'atteggiamento anti-doveroso -L'innegabile quoziente di genericità del concetto di sistematicità non consente neppure di stabilire, in termini sufficientemente precisi, quali comportamenti rilevino a tal fine: identici, analoghi, diversi, ma pur sempre consistenti in violazioni delle regole antinfortunistiche - L'atteggiamento finalistico dell'agente fa parte della sua interna deliberazione e, come tale, va investigato, eventualmente anche alla stregua di una sistematicità dei comportamenti anti doverosi, che certamente sono espressivi di un modo di essere della organizzazione e che possono aver influenzato la determinazione del soggetto - L'atteggiamento finalistico dell'agente fa parte della sua interna deliberazione e, come tale, esso va investigato, eventualmente anche alla stregua di una sistematicità dei comportamenti anti doverosi, che certamente sono espressivi di un modo di essere della organizzazione e che possono aver influenzato la determinazione del soggetto - Il connotato della sistematicità appartiene al piano prettamente probatorio, quale possibile indizio della esistenza dell'elemento finalistico della condotta dell'agente, al tempo stesso scongiurando il rischio di far coincidere un modo di essere dell'impresa con l'atteggiamento soggettivo proprio della persona fisica - La rilevanza del connotato della sistematicità in termini di elemento probatorio della esistenza di una direzione finalistica della condotta del reo è differente - Il vantaggio è misurabile ex post e rileva ex se mentre la prova dell'interesse, parametro eminentemente finalistico e da valutarsi ex ante, può certamente ricavarsi dalla dimostrata tendenza dell'ente alla trasgressione delle regole antinfortunistiche, finalizzata al contenimento dei costi di produzione o all'incremento dei profitti, con il logico corollario che l'interesse può sussistere anche in relazione a una trasgressione isolata, allorché altre evidenze fattuali dimostrino tale collegamento finalistico, così neutralizzando il valore probatorio astrattamente riconoscibile al connotato della sistematicità)
5 giugno 2024 (ud. 17 aprile 2024) n. 22586 - sentenza - Corte di cassazione - sezione IV penale* (il patteggiamento risulterebbe parziale, non comprendendo tutte le sanzioni normativamente previste per l'illecito dell'ente - In tema di responsabilità degli enti in presenza di una declaratoria di prescrizione del reato presupposto, ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001, art. 8, co. 1, lett. b), il giudice deve procedere all'accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e per il cui vantaggio l'illecito fu commesso che, però, non può prescindere da una verifica, quantomeno incidentale, della sussistenza del fatto di reato - In tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, i criteri di imputazione oggettiva, rappresentati dal riferimento contenuto nell'art. 5 del D.lgs. n. 231 del 2001 all'interesse o al vantaggio, sono alternativi e concorrenti tra di loro e devono essere riferiti alla condotta anziché all'evento, pertanto, ricorre il requisito dell'interesse qualora l'autore del reato ha consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di conseguire un'utilità per l'ente, mentre sussiste il requisito del vantaggio qualora la persona fisica ha violato sistematicamente le norme prevenzionistiche, consentendo una riduzione dei costi ed un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto - Il risparmio di spesa determinato dall’omessa formazione dei lavoratori va valutato tenendo conto sia del prezzo della formazione sia delle ore di lavoro perse dei dipendenti che frequentano il corso di formazione - Non può rilevare che il risparmio di spesa, sicuramente giuridicamente apprezzabile, possa non essere stato ingente atteso che la responsabilità dell'ente non può essere esclusa in considerazione dell'esiguità del vantaggio perseguito in quanto anche la mancata adozione di cautele comportanti limitati risparmi di spesa può essere causa di lesioni personali gravi - Nella fattispecie, la circostanza che il risparmio sulla formazione e informazione dei lavoratori sia intenzionale si ricava chiaro dal fatto che l'omessa formazione non abbia riguardato solo l'uso del mezzo di lavoro di cui all'imputazione ma ogni tipo di formazione e per oltre dodici anni - Per i reati commessi dai soggetti apicali, ai fini del giudizio di idoneità del modello di organizzazione e gestione adottato, il giudice è chiamato ad adottare il criterio epistemico-valutativo della cd. "prognosi postuma", proprio della imputazione della responsabilità per colpa: deve cioè idealmente collocarsi nel momento in cui l'illecito è stato commesso e verificare se il comportamento alternativo lecito, ossia l'osservanza del modello organizzativo virtuoso, per come esso è stato attuato in concreto, avrebbe eliminato o ridotto il pericolo di verificazione di illeciti della stessa specie di quello verificatosi, non richiedendosi una valutazione della compliance alle regole cautelari di tipo globale - La colpa di organizzazione, da intendersi in senso normativo, è fondata sul rimprovero derivante dall'inottemperanza da parte dell'ente all'obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione dei reati previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità del soggetto collettivo, dovendo tali accorgimenti essere consacrati in un documento che individua i rischi e delinea le misure atte a contrastarli)
5 aprile 2024 (c.c. 13 febbraio 2024) n. 14047 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione VI penale* (Sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto derivante dall’illecito amministrativo di cui all’art. 24, d.lgs. n. 231/2001 in relazione ai delitti presupposto di indebita percezione di erogazioni, truffa ai danni dello Stato e frode nelle pubbliche forniture - Il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca obbligatoria deve contenere la concisa motivazione anche del periculum in mora da rapportare, nel rispetto dei criteri di adeguatezza e proporzionalità della misura reale, alle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo rispetto alla definizione del giudizio - L’incidenza del sequestro finalizzato alla confisca, proprio in considerazione della peculiarità della responsabilità ex d.lgs. n. 231 del 2001 e della sua tendenziale applicazione rispetto ad attività imprenditoriali, è tale da richiedere garanzie rafforzate e non certo inferiori rispetto a quanto previsto in generale per il sequestro preventivo ex art. 321 cod. proc. pen. - E’ la natura stessa delle misure cautelari che impone la ricorrenza del duplice requisito del fumus e del periculum sicché non vi è ragione alcuna per ritenere che il decreto di sequestro adottato ai sensi dell’art. 53 del d.lgs. n. 231 del 2001 non debba contenere la sia pur sintetica motivazione in ordine alle esigenze cautelari che il sequestro mira a tutelare - Le esigenze cautelari sono tendenzialmente da valutare con riguardo al rischio di dispersione della garanzia patrimoniale in merito all’eseguibilità della confisca - Il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca richiede una specifica motivazione in ordine alle ragioni per le quali i beni suscettibili di apprensione potrebbero, nelle more del giudizio, essere modificati, dispersi, deteriorati, utilizzati o alienati, tenendo conto della tipologia dei beni presenti nel patrimonio del destinatario della confisca, senza tuttavia che le esigenze cautelari possano essere desunte esclusivamente dall’incapienza del patrimonio rispetto al presumibile ammontare della confisca
28 marzo 2024 (c.c. 31 gennaio 2024) n. 13003 - sentenza - Corte di cassazione - sezione II penale* (Sequestro funzionale alla confisca obbligatoria per equivalente del profitto degli enti - L'ente partecipa al procedimento penale con il proprio rappresentante legale, salvo che questi sia imputato del reato da cui dipende l'illecito amministrativo - Il legale rappresentante indagato o imputato del reato presupposto non può provvedere, a causa della condizione di incompatibilità in cui versa, alla nomina del difensore dell'ente per il generale e assoluto divieto di rappresentanza posto dall'art. 39 d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 e, in applicazione del principio, il modello organizzativo dell'ente deve prevedere regole cautelari per le possibili situazioni di conflitto di interesse del legale rappresentante indagato per il reato presupposto, valevoli a munire l'ente di un difensore, nominato da soggetto specificamente delegato, che tuteli i suoi interessi - Non avendo provveduto la società a prevedere meccanismi tali da ovviare alla incompatibilità dei soci, tutte le censure relative alla impossibilità per gli amministratori indagati di nominare un difensore sono inammissibili - Il divieto di rappresentanza stabilito dall’art. 39 è assoluto e non ammette deroghe, in quanto funzionale ad assicurare la piena garanzia del diritto di difesa al soggetto collettivo perciò l'esistenza del conflitto è presunta iuris et de iure e la sua sussistenza non deve essere accertata in concreto, con l'ulteriore conseguenza che non vi è alcun onere motivazionale sul punto da parte del giudice - Il divieto scatta in presenza della situazione contemplate dalla norma, cioè quando il rappresentante legale risulta essere imputato del reato da cui dipende l'illecito amministrativo, sicché il giudice deve solo accertare che ricorra tale presupposto, senza che sia richiesta una verifica circa un'effettiva situazione di incompatibilità)
31 gennaio 2024 (ud. 19 dicembre 2023) n. 4210 - sentenza - Corte di cassazione - sezione III penale* (lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro - In tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, i criteri di imputazione oggettiva rappresentati dall'interesse o dal vantaggio, da riferire entrambi alla condotta del soggetto agente e non all'evento, ricorrono, rispettivamente, il primo, quando l'autore del reato abbia violato la normativa cautelare con il consapevole intento di conseguire un risparmio di spesa per l'ente, indipendentemente dal suo effettivo raggiungimento, e il secondo, qualora l'autore del reato abbia violato sistematicamente le norme antinfortunistiche, ricavandone oggettivamente un qualche vantaggio per l'ente, sotto forma di risparmio di spesa o di massimizzazione della produzione, indipendentemente dalla volontà di ottenere il vantaggio stesso - I criteri di imputazione riferiti all'interesse e al vantaggio sono giuridicamente distinti giacché, mentre il primo è criterio soggettivo, da valutare ex ante, e consistente nella proiezione finalistica volta a far conseguire all'ente un profitto indipendentemente dall'effettiva realizzazione dello stesso, il secondo è criterio oggettivo, accertabile ex post e consistente nel concrete vantaggio derivato all'ente dal reato - La responsabilità dell'ente non può essere esclusa in considerazione dell'esiguità del vantaggio o della scarsa consistenza dell'interesse perseguito, in quanto anche la mancata adozione di cautele comportanti limitati risparmi di spesa può essere causa di reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica
26 gennaio 2024 (ud. 20 ottobre 2023) n. 3211 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione V penale* (Nel processo per l'accertamento della responsabilità da reato dell'ente non è ammissibile la costituzione di parte civile, atteso che l'istituto non è previsto dal d.lgs. n. 231/2001 che in ogni sua parte non fa mai riferimento alla parte civile o alla persona offesa, ciò che induce a ritenere che non si sia trattato di una lacuna normativa, quanto piuttosto di una scelta consapevole del legislatore, che ha voluto operare, intenzionalmente, una deroga rispetto alla regolamentazione codicistica - L'illecito amministrativo ascrivibile all'ente non coincide con il reato, ma costituisce qualcosa di diverso, che addirittura lo ricomprende, sicché deve escludersi che possa farsi un'applicazione degli artt. 185 c.p. e 74 c.p.p., che invece contengono un espresso ed esclusivo riferimento al "reato" in senso tecnico - Se la responsabilità della società è correlata a condotte poste in essere dagli imputati prima che entrassero a far parte della compagine sociale, deve essere compiuto un accertamento, con esiti compiutamente motivati, sulla possibilità di considerare gli stessi, in virtù dell’art. 5, lett. a), ultima parte, del d.lgs. n. 231/2001, persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso - Il legislatore ha voluto limitare la possibilità di attribuire all’ente la responsabilità anche per le attività commesse da soggetti che non rivestono incarichi formali apicali all’interno di esso alle ipotesi nelle quali detti soggetti esercitino tanto la gestione quanto il controllo della società, come è evidente dall'utilizzo della locuzione congiuntiva “e” - Rispetto alla gestione di fatto della società soccorrono gli indici presuntivi enucleati dall'art. 2639 cod. civ. ai fini della perimetrazione della categoria dell’amministratore di fatto - Ai fini dell’attribuzione della qualifica di amministratore di fatto, può essere valorizzato l’esercizio, in modo continuativo e significativo, e non meramente episodico od occasionale, di tutti i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione o anche soltanto di alcuni di essi - Il legislatore richiede, rispetto alla connessione tra gestione e controllo, che almeno una di queste funzioni, e dunque non necessariamente entrambe, sia esercitata in via di mero fatto da parte del soggetto che ha commesso il reato all'interno della compagine sociale - Ad esempio, la società può essere chiamata a rispondere, ove il reato sia stato commesso nel suo interesse o vantaggio, anche per i reati commessi dai componenti formali del collegio sindacale, i quali in concreto svolgano, come attestato dalla ricorrenza degli indici disvelatori della qualifica ex art. 2639 cod. civ., anche il ruolo di amministratori di fatto dell'ente - A fronte della commissione di reati nell'interesse o a vantaggio dell'ente da parte di soggetti che rivestano all’interno di esso in via di fatto ruoli di gestione e controllo, non può operare per elidere la responsabilità dell’ente medesimo la previsione dettata dall'art. 6 del d.lgs. n. 231/2001 poiché, se la società è gestita e controllata in modo occulto, ciò significa che la stessa non si è dotata, se non sul piano meramente formale, di assetti organizzativi per la prevenzione dei reati, che dunque non possono considerarsi adeguati, anche ove gli stessi siano conformi ai codici di comportamento approvati dai Ministero della giustizia ex art. 6, comma 3, del decreto)
26 gennaio 2024 (ud. 13 settembre 2023) n. 3196 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione V penale* (Il rappresentante legale indagato o imputato del reato presupposto non può provvedere, a causa di tale condizione di incompatibilità, alla nomina del difensore dell‘ente, per il generale e assoluto divieto di rappresentanza posto dall'art. 39 del d.lgs. n. 231/2001 - L’ente può comunque costituirsi nel procedimento sostituendo il rappresentante divenuto incompatibile ovvero nominandone uno ad hoc, ed anche qualora decida invece di rimanere inerte, cioè di non provvedere ad alcun tipo di sostituzione del rappresentante legale, non importa per quale ragione, comunque rimane tutelato dalla previsione dell'art. 40 dello stesso d.lgs., che impone la nomina di un difensore d‘ufficio, che ne garantisca l'assistenza in ogni fase del procedimento - L’incompatibilità prevista dall‘art. 39 ha carattere assoluto, come dimostra a contrario l’espressa deroga contenuta nel d.lgs. n. 231/2001, art. 43, co. 2, in tema di notificazioni all’ente, il quale fa espressamente salve quelle eseguite mediante consegna ai legale rappresentante incompatibile, e da ciò consegue che il rappresentante incompatibile non può compiere alcun atto difensivo nell'interesse dell‘ente e che quest‘ultimo, se materialmente posto in essere, deve considerarsi inefficace)
28 dicembre 2023 (ud. 5 ottobre 2023) n. 51455 - sentenza - Corte di cassazione - sezione IV penale* (Omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro - La colpa di organizzazione e l’assimilazione della stessa alla colpa, intesa quale violazione di regole cautelari, implica che la mancata adozione e l’inefficace attuazione degli specifici modelli di organizzazione e di gestione prefigurati dal legislatore rispettivamente agli artt. 6 e 7 del d.lgs. 231/2001 e all'art. 30 del d.lgs. 81/2008 non è un elemento costitutivo della tipicità dell’illecito dell’ente ma una circostanza atta ex lege a dimostrare che sussiste la colpa di organizzazione - Il verificarsi del reato non implica ex se l’inidoneità o l’inefficace attuazione del modello organizzativo che sia stato adottato dall’ente - Il modello organizzativo non coincide con il sistema di gestione della sicurezza del lavoro incentrato sul documento di valutazione dei rischi di cui agli artt. 17, 18, 28 e 29 d.lgs. n. 81/2008 giacché, mentre questo individua i rischi implicati dalle attività lavorative e determina le misure atte a eliminarli o ridurli, il modello di organizzazione previsto dal decreto 231 è strumento di governo del rischio di commissione di reati da parte di taluno dei soggetti previsti dall’art. 5 del decreto - Il modello, nella specificazione di cui all’art. 30 del d.lgs. 81/2008, non si riduce al DVR o al POS ma configura un sistema aziendale preordinato, tra l’altro, al corretto adempimento delle attività di valutazione del rischio a mente dell’art. 30 co. 1 lett. b) - Il modello delinea l’infrastruttura che permette il corretto assolvimento dei doveri prevenzionistici, discendenti dalla normativa di settore e dalla stessa valutazione dei rischi - Edificare la responsabilità dell’ente su condotte che sono riferibili, in astratto prima ancora che in concreto, esclusivamente alia persona fisica rappresenta un errore giuridico - E’ errato associare l'ente ed il soggetto imputato in quanto datore di lavoro nel rimprovero per l'omissione di cautele il cui approntamento compete al datore di lavoro persona fisica - La fattispecie dell’illecito dell'ente presuppone una relazione funzionale corrente tra reo ed ente ed altresì una relazione teleologica tra reato ed ente, ricorrente quando il primo è stato commesso nell’interesse del secondo o questo ne ha tratto vantaggio - All'interesse viene per lo più attribuita un'accezione soggettivizzante, nel senso che esso viene inteso come allusivo alla finalità che muove il reo e non alla oggettiva attitudine del reato di concretizzare un'utilità per l’ente sicché è al reo che occorre guardare per accertare se quell’elemento ricorre nel caso concreto - Il vantaggio, invece, è proprio l'utilità che l’ente ricava dal reato commesso - L’inidoneità o la inefficace attuazione del modello non discende dalle condizioni di lavoro registrate sul cantiere - Gli obblighi facenti capo al datore di lavoro in tema di documenti finalizzati alla prevenzione del rischio, individuazione dei soggetti responsabili della loro attuazione, adozione di misure concrete per il controllo dell'applicazione delle prescrizioni dei piani di sicurezza e scelte di organizzazione del lavoro non attengono ai profili di colpa della società incolpata)
20 dicembre 2023 (ud. 23 novembre 2023) n. 50770 - sentenza - Corte di cassazione - sezione III penale* (Reati ambientali - Attività di gestione di rifiuti non autorizzata - Qualora il fatto ascritto all’imputato sia contestato con chiarezza, l’erronea indicazione di una norma violata non inclusa nel catalogo dei reati presupposto si risolve in un mero errore materiale, atteso che, ai fini della contestazione dell'accusa, ciò che rileva non è l’indicazione degli articoli di legge che si assumono violati, bensì la compiuta descrizione del fatto - La mera adozione del Modello di organizzazione e gestione non è sufficiente a far scattare l’attenuante dell'articolo 12, comma 2, lettera b), del d.lgs. 231/2001 essendo necessario invece, come specificamente richiesto dalla lettera della norma, che tale Modello sia reso operativo e che sia anche idoneo a prevenire la commissione di reati della stessa specie - Non sussiste alcun automatismo tra l'adozione del Modello e la concessione dell’attenuante, che è subordinata ad un giudizio di natura fattuale, essendo il giudice tenuto a verificare se la lettera della norma sia stata rispettata specificatamente e nel suo complesso - Non costituisce motivazione manifestamente illogica quella che ritenga insussistenti i presupposti della concessione dell'attenuante dell'articolo 12, comma 2, lettera b), del d.lgs. 231/2001 sulla base del contenuto del c.d. protocollo ambientale di cui sottolinei la assoluta genericità della prima parte, la mancata individuazione di meccanismi concretamente utili a scongiurare la reiterazione dei reati, l'assenza di un efficace sistema di comunicazione dal basso, la mancata nomina dell’Organismo di vigilanza, neppure contemplate nell'organigramma funzionale allegato al protocollo – L’attenuante di cui all'art. 12, comma 1, lettera b), del d. lgs. 231/2001 non può che trovare applicazione a quei reati che presuppongono un danno patrimoniale e non anche a quelli che si esauriscono in violazioni formali e di pericolo astratto, in cui vengono punite determinate condotte indipendentemente e a prescindere dalla produzione di un danno, patrimoniale e non patrimoniale - Per quantificare la sanzione da irrogare alla persona giuridica, il giudice penale è tenuto ad applicare i medesimi criteri utilizzati per le pene disposte nei confronti delle persone fisiche e ad esplicitare il percorso logico condotto per giungere alla sanzione finale, con motivazione che diventa tanto più stringente quanto più egli intenda discostarsi dal minimo edittale)
12 dicembre 2023 (ud. 23 novembre 2023) n. 49306 - sentenza - Corte di cassazione - sezione III penale* (Reati ambientali - Attività di gestione di rifiuti non autorizzata - L'articolo 25-undecies d.lgs. 231/2001 è stato introdotto dal d.lgs. 121/2011 a far data dal 16 agosto 2011 sicché, essendo la contestazione del reato di cui all’art. 256, comma 1, d.lgs. 152/2006 genericamente riferita ad un arco temporale compreso tra un tempo antecedente e un tempo successivo a tale data, non rinvenendosi nella sentenza alcun riferimento alla esclusione, nel giudizio di colpevolezza, del periodo in cui la condotta non era considerata quale reato presupposto dell’illecito amministrativo da reato dell’ente, si deve ritenere che la sanzione irrogata sia stata quantificata considerando anche il periodo in cui l'illecito amministrativo da reato non era ancora stato introdotto e la sentenza vada perciò annullata - Il reato di cui all'art. 256, comma 1, d.lgs. 152/2006 ha, di regola, natura di reato istantaneo ma qualora, stante la ripetitività della condotta, si configuri quale reato eventualmente abituale, il termine prescrizionale partirà dal giorno di cessazione dell'abitualità anche agli effetti della decadenza dalla contestazione dell’illecito amministrativo ai sensi dell’art. 60 d.lgs. 231/2001 - Ove post factum sia stato adottato e reso operativo un modello organizzativo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi, ai sensi dell’art. 12, comma 2, lett. b) d.lgs. 231/2001 è prevista una diminuzione della pena da un terzo alla metà - Non sussiste alcun automatismo tra l’adozione del modello e la concessione dell’attenuante dell’art. 12, comma 2, lett. b), che è subordinata anche all’operatività e all’idoneità del modello adottato - Insussistenza dei presupposti della concessione dell'attenuante di cui all’art. 12, comma 2, lett. b) d.lgs. 231/2001 a fronte dell’assoluta genericità della prima parte del modello, della la mancata individuazione di meccanismi concretamente utili a scongiurare la reiterazione dei reati, dell’assenza di un efficace sistema di comunicazione dal basso e della mancata nomina dell’organismo di vigilanza, neppure contemplato nell’organigramma funzionale allegato al protocollo)
27 novembre 2023 (c.c. 9 novembre 2023) n. 47564 - sentenza - Corte di cassazione - sezione V penale* (Delitti di criminalità organizzata - Associazione per delinquere finalizzata alla commissione di truffe aggravate e di falsi materiali in atto pubblico - Ai fini dell’art. 17, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 231/2001, il presupposto dell’eliminazione delle carenze organizzative mediante l'adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della stessa specie di quello verificatosi non è ravvisabile in caso di concreta inadeguatezza delle modifiche organizzative adottate per il carattere meramente formale degli interventi, confermato dal fatto che un dirigente, associato per delinquere, lungi dall’essersi dimesso, conserva un ruolo apicale attraverso il quale cerca di consolidare gli effetti di una truffa connotata dalle medesime caratteristiche di quelle oggetto del programma delittuoso dell'associazione - L’idoneità dei mutamenti organizzativi, alla luce delle concrete caratteristiche di attuazione delle truffe, connotate dalla predisposizione di mezzi idonei ad incidere nel tempo sul procedimento doganale, deve necessariamente essere apprezzata anche quanto alla possibilità di cercare di eliminare gli effetti di condotte delittuose intraprese ma non ancora portate a compimento con il conseguimento del vantaggio perseguito - Le autorizzazioni, licenze o concessioni di cui all'art. 9, comma 2, lett. b) del d.lgs. n. 231/2001 non devono identificarsi esclusivamente nei provvedimenti che legittimano, in tutto o in parte, lo svolgimento dell’attività d’impresa, altrimenti la lett. b) risulterebbe un duplicato della precedente lett. a), che contempla tra le sanzioni interdittive proprio l’interdizione dall'esercizio dell'attività, in tal modo tradendo il principio di gradualità e di proporzionalità della risposta sanzionatoria, oltre a contrastare con la stessa lettera della legge che circoscrive la sua portata ai provvedimenti amministrativi funzionali alla commissione dell’illecito, ossia idonei a sviare l'attività imprenditoriale dalla necessaria cornice di legalità nella quale si deve svolgere - Non vi è alcuna illogicità nella motivazione della l’attenuazione delle misure interdittive in un quadro di bilanciamento tra esigenza di prevenzione rispetto all’obiettivo di impedire la commissione di nuovi delitti ed esigenza di continuità dell‘attività imprenditoriale, anche alla luce dell'ormai disvelata trama del meccanismo fraudolento)
26 settembre 2023 (ud. 12 luglio 2023) n. 39129 - sentenza - Corte di cassazione - sezione III penale* (Lesioni personali gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro - I criteri di imputazione oggettiva rappresentati dall‘interesse o dal vantaggio, da riferire entrambi alla condotta del soggetto agente e non all‘evento, ricorrono, rispettivamente, il primo, quando l‘autore del reato abbia violato la normativa cautelare con il consapevole intento di conseguire un risparmio di spesa per l’ente, indipendentemente dal suo effettivo raggiungimento, e, il secondo, qualora l’autore del reato abbia violato sistematicamente le norme antinfortunistiche, ricavandone oggettivamente un qualche vantaggio per l’ente, sotto forma di risparmio di spesa o di massimizzazione della produzione, indipendentemente dalla volontà di ottenere il vantaggio stesso - I criteri di imputazione riferiti all‘interesse e al vantaggio sono giuridicamente distinti giacché, mentre il primo è criterio soggettivo, da valutare ex ante, e consistente nella proiezione finalistica volta a far conseguire all'ente un profitto indipendentemente dall’effettiva realizzazione dello stesso, il secondo è criterio oggettivo, accertabile ex post e consistente nel concreto vantaggio derivato all’ente dal reato - La responsabilità amministrativa dell’ente non può essere esclusa in considerazione dell’esiguità del vantaggio o della scarsa consistenza dell’interesse perseguito, in quanto anche la mancata adozione di cautele comportanti limitati risparmi di spesa può essere causa di reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica - Il criterio di imputazione oggettiva dell'interesse può sussistere anche in relazione a una trasgressione isolata dovuta ad un‘iniziativa estemporanea, senza la necessità di provare la natura sistematica delle violazioni antinfortunistiche, allorché altre evidenze fattuali dimostrino il collegamento finalistico tra la violazione e l’interesse dell’ente - Sussiste il criterio di imputazione oggettiva rappresentato dall‘interesse se l’autore del reato ha consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di conseguire un’utilità per l’ente e il risparmio di spesa avuto di mira, pur modesto ma non irrisorio, è collegato al mancato rispetto delle regole cautelari)
12 settembre 2023 (ud. 14 giugno 2023) n. 37144 - sentenza - Corte di cassazione - sezione III penale* (Decadenza dalla contestazione dell'illecito amministrativo dipendente da reato quando il reato da cui dipende l’illecito è estinto per prescrizione - Reati ambientali - Attività di recupero di rifiuti non autorizzata ed in particolare attività di “messa in riserva" di cui alla voce R13 dell'Allegato C alla Parte quarta del d.lgs. 152/2006 con deposito di rifiuti in area non autorizzata - Al pari della fattispecie di cui all'art. 256, comma 2, d.lgs. 152 del 2006, anche la contravvenzione prevista dal primo comma della disposizione incriminatrice può, a seconda dei casi, assumere i contorni di un reato istantaneo, permanente o eventualmente abituale nel caso di ripetitività di condotte già di per sé idonee ad integrare il reato - Le condotte illecite in tema di rifiuti, compreso il reato di deposito incontrollato non connotato da una volontà esclusivamente dismissiva dei rifiuti, che, per la sua episodicità, esaurisce gli effetti della condotta fin dal momento dell'abbandono e non presuppone una successiva attività gestoria volta al recupero o allo smaltimento, hanno natura permanente quando l'attività illecita sia prodromica al successivo recupero o smaltimento delle cose abbandonate, sicché, in tal caso, la condotta cessa soltanto con il compimento delle fasi ulteriori rispetto a quella dei rilascio - Ai fini dell'accertamento della natura giuridica della condotta e conseguentemente del dies a quo per il decorso del termine di prescrizione, costituiscono significativi indici rivelatori della permanenza la sistematica pluralità di azioni di identico o analogo contenuto, la pertinenza del rifiuto al circuito produttivo dell'agente, la reiterata utilizzazione di un unico sito quale punto di rilascio dei rifiuti - La consumazione del reato consistente in un'attività non autorizzata di recupero di rifiuti sub specie di messa in riserva si protrae sino all'interruzione della condotta illecita da individuarsi con l'ottenimento dell’autorizzazione ovvero con la definitiva cessazione della specifica attività gestoria di recupero)
22 giugno 2023 (ud. 17 maggio 2023) n. 27148 - sentenza - Corte di cassazione - sezione III penale* (Reati ambientali - E’ inammissibile per difetto di interesse il ricorso per cassazione proposto dall'imputato avverso sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, emessa con riferimento a reato presupposto della responsabilità da reato degli enti, non essendo configurabile un autonomo interesse dell'imputato neppure nel caso in cui dalla responsabilità dell'ente possano discendere conseguenze economiche indirette o riflesse per la sua posizione di socio o amministratore - Il modello di organizzazione e gestione deve essere realizzato «su misura» per ciascuna impresa e per ogni diversa organizzazione soprattutto in relazione alle peculiarità dei reati ambientali, che determinano la necessità che la mappatura dei rischi sia condotta in modo specifico per ciascun reato, non essendo pienamente configurabile una modalità attuativa unitaria per il gruppo di questi reati, che possono essere commessi, nell'ambito dell'attività d'impresa, con modalità che nella pratica possono risultare estremamente eterogenee e disparate - Il Modello Organizzativo è generico e lacunoso se non sono adottate le cautele organizzative e gestionali per prevedere la commissione dei reati, tra cui quello di gestione abusiva di rifiuti - In merito ai reati ambientali, l’assetto organizzativo deve ritenersi negligente, in senso normativo, se il Modello Organizzativo non prevede altro che la descrizione dell'attività svolta dando atto che i rifiuti sono gestiti conformemente alle normative vigenti oppure mediante l’applicazione di rigide procedure di controllo sull'affidabilità dei fornitori - Non ottempera all’obbligo di adottare le cautele organizzative e gestionali necessarie a prevenire la commissione dei reati il Modello che, in merito al rischio di inquinamento di suolo, sottosuolo e acque, da atto di procedure, istruzioni operative, rispetto dei requisiti ambientali etc. senza però nulla prevedere in concreto, senza indicare le misure da adottare e chi ne abbia il compito, senza indicare le persone che rivestono le qualifiche indicate in organigramma, senza che sia istituito il pur previsto organo di vigilanza - In materia di reati ambientali, il modello di organizzazione e gestione, per avere efficacia esimente, deve essere adottato in riferimento alla specifica struttura e tipo di attività dell'impresa, prevedendo in modo chiaro e preciso i compiti, le responsabilità individuali e gli strumenti in concreto volti a prevenire la commissione di reati contro l'ambiente, e deve essere efficacemente attuato mediante l'istituzione dell'organismo di vigilanza dotato di concreti poteri di controllo e la previsione di sistemi di revisione periodica, che garantiscano la «tenuta» del modello nel tempo - Se la quantificazione in via equitativa costituisce una modalità corretta di quantificazione del danno, tale criterio non può trovare applicazione in materia di confisca del profitto del reato, che va invece quantificato in modo certo - Il profitto del reato può ben consistere in risparmi di spesa ma essi tuttavia devono essere quantificati in concreto dal Giudice procedendo, a titolo esemplificativo, ad una stima dei costi di smaltimento lecito dei rifiuti ammassati ovvero del costo di una fidejussione relativa a tale operazione di gestione dei rifiuti)
21 giugno 2023 (ud. 15 febbraio 2023) n. 26787 - sentenza - Corte di cassazione - sezione III penale* (Nel caso di fusione, anche per incorporazione, l’ente che ne risulta risponde dei reati dei quali erano responsabili gli enti partecipanti alla fusione - Sebbene sia pur vero che il meccanismo della fusione, tanto più se per incorporazione, determina un fenomeno che la giurisprudenza della Suprema Corte, stante la successio in universum ius che essa comporta rispetto ai rapporti giuridici della società preesistente in favore della nuova società ovvero della società incorporante, ha accostato alla successio mortis causa, tuttavia siffatta analogia, meramente descrittiva ed evocativa di fenomeni antropomorfici non riproducibili ad instar naturae nei soggetti giuridici impersonali, esaurisce i suoi effetti sul piano del diritto civile, non potendo certamente ritenersi che per effetto della intervenuta estinzione della società dovuta alla sua fusione per incorporazione con altro soggetto collettivo, si realizzino tutte le conseguenze che sono proprie dell’avvenuto decesso dell'imputato - Reati ambientali - reato previsto dall'art. 256, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 152 del 2006 - Essendo stato omesso di eseguire le periodiche movimentazioni dei rifiuti finalizzate al loro corretto smaltimento ma lasciando gli stessi presso i luoghi di stoccaggio per periodi di tempo superiori a quelli consentiti, la Società ha conseguito un indebito risparmio di spesa, costituendo questo il “vantaggio” da essa tratto dalla commissione del reato materialmente attribuito ai suoi amministratori, a nulla rilevando che, successivamente, i rifiuti siano stati comunque portati via, trattandosi di una condotta posta in essere successivamente alla commissione del reato)
14 giugno 2023 (dep. 15 giugno 2023) n. 3601 - sentenza - Tribunale di Bari sezione I penale in composizione monocratica (La sentenza delle SS.UU. della Corte di cassazione n. 14840/2023 non è ostativa all’ammissione dell’ente alla messa alla prova - La questione della possibilità per l’ente di esser ammesso alla prova non manifesta caratteri di pregiudizialità o di consequenzialità rispetto alla questione oggetto del principio di diritto affermato dalle Sezioni unite, avente natura esclusivamente processuale, attenendo alla legittimazione all'impugnazione dell'ordinanza ex art. 464 bis c.p.p. in capo al procuratore generale e all’elencazione delle categorie generali dei motivi deducibili con l’impugnazione - Nell’ordinamento italiano, il principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione, pure a Sezioni unite, non è fonte del diritto, rappresentando, piuttosto, la generalizzazione dell'interpretazione di una disposizione in relazione a una fattispecie concreta, in altri termini, assolve la funzione di universalizzare la decisione individuale e, consolidandosi nel tempo, realizza la funzione nomofilattica assegnata alla Corte di cassazione - L’affermazione sull'impossibilità per l'ente di essere ammesso alla prova contenuta nella sentenza delle Sezioni unite, non è persuasiva - Anche ove si volesse ritenere che l’ammissione dell'ente alla prova sia il frutto non già di un’interpretazione estensiva ma di un'applicazione analogica in bonam partem della legge penale, ciò non appare contrastare col principio di riserva di legge, corollario del principio di legalità ex art. 25, c. 2, Cost. - L’ente può essere ammesso alla prova se il reato presupposto contestato rientra tra quelli indicati dall'art. 168 bis, c. 1, c.p.)
19 maggio 2023 (ud. 2 marzo 2023) n. 21640 - sentenza - Corte di cassazione - sezione V penale* (Articolo 25-bis del d.lgs. 231/2001 - Falsità in strumenti o segni di riconoscimento - In presenza di una declaratoria di prescrizione del reato presupposto, il giudice, ai sensi dell'art. 8, comma primo, lett. b) d.lgs. n. 231 del 2001, deve procedere all’accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l’illecito fu commesso che, però, non può prescindere da una verifica, quantomeno incidentale, della sussistenza del fatto di reato - L'addebito di responsabilità all'ente non si fonda su un'estensione, più o meno automatica, della responsabilità individuale al soggetto collettivo bensì sulla dimostrazione di una difettosa organizzazione da parte dell'ente, a fronte dell'obbligo di auto-normazione volta alla prevenzione del rischio di realizzazione di un reato presupposto, secondo lo schema legale dell'attribuzione di responsabilità mediante analisi del modello organizzativo - E’ tautologico riportare l’interesse dell'ente alla posizione apicale del legale rappresentante sia della ditta individuale produttrice dei prodotti con marchio contraffatto sia dell'ente che commercializza i prodotti contraffatti ed è apodittico desumere da questa identità personale e dall'oggetto delle attività di impresa il vantaggio dell'ente, senza prendere in considerazione invece elementi concreti indicativi dell'interesse e della consapevolezza dell'illecito in capo all'ente - Per i reati commessi dai soggetti apicali, ai fini del giudizio di idoneità del modello di organizzazione e gestione adottato, il giudice è chiamato ad adottare il criterio epistemico-valutativo della cd. "prognosi postuma", proprio della imputazione della responsabilità per colpa: deve cioè idealmente collocarsi nel momento in cui l'illecito è stato commesso e verificare se il "comportamento alternativo lecito”, ossia l'osservanza del modello organizzativo virtuoso, per come esso è stato attuato in concreto, avrebbe eliminato o ridotto il pericolo di verificazione di illeciti della stessa specie di quello verificatosi, non richiedendosi una valutazione della "compliance" alle regole cautelari di tipo globale - L'accertamento della responsabilità dell'ente deve passare attraverso la verifica della sussistenza di specifici nessi, di ordine naturalistico e normativo, che intercorrono tra la carenza organizzativa e il fatto-reato, sicché il reato presupposto deve essere messo in collegamento con la carenza di auto-organizzazione preventiva, che costituisce la vera e propria condotta stigmatizzabile dell'ente - Il giudice di merito deve dimostrare, al fine di giustificare l'affermazione di responsabilità dell'ente, di aver valutato il suo deficit di auto-organizzazione, vale a dire la carenza di quel complesso delle regole elaborate dall'ente per la prevenzione del rischio reato, che trovano la loro sede naturale nei "Modelli di organizzazione, gestione e controllo", delineati, su un piano generale di contenuti, dagli artt. 6 e 7 d.lgs. n. 231 del 2001 - Non è consentito al giudice di merito un vaglio sull'adeguatezza del modello condotto solo “in generale” ma è necessaria una verifica in concreto e non è possibile giungere a sanzionare l'ente in ragione di una "cultura d'impresa deviante", ovvero mediante un criterio sillogistico semplificatorio secondo cui la commissione del reato equivale a dimostrare l'inidoneità dell'assetto organizzativo - Il giudice di merito deve verificare se il reato della persona fisica sia la concretizzazione del rischio che la regola cautelare organizzativa violata mirava ad evitare o, quantomeno, tendeva a rendere minimo ovvero deve accertare che, se il modello “idoneo” fosse stato rispettato, l'evento non si sarebbe verificato - I criteri di imputazione oggettiva del vantaggio o interesse dell’ente sono alternativi e concorrenti tra loro in quanto il criterio dell’interesse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile "ex ante ", cioè al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo, mentre quello del vantaggio ha una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile "ex post", sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell'illecito - La motivazione non può limitarsi ad abbinare l'interesse della società all'interesse proprio della persona fisica, legale rappresentante di entrambe le aziende legate alla produzione e commercializzazione dei prodotti contraffatti, senza prendere neppure in esame il fatturato complessivo dell'ente rispetto agli introiti derivanti dalla commercializzazione dei prodotti, che, pur se non configurabile come parametro decisivo ai fini di ritenere o meno sussistente la responsabilità ex d.lgs. 231, può comunque costituire uno degli indicatori valutabili al riguardo - Qualora il reato presupposto sia costituito dai delitti di cui agli artt. 473 e 474 cod. pen., dovrebbe applicarsi l'art. 25-bis d.lgs. n. 231/2001, che non prevede un minimo sanzionatorio, invece dell'art. 10 del medesimo testo normativo, norma generale che prevede il minimo di cento quote - L'applicazione delle sanzioni interdittive previste dall'art. 9 d.lgs. 231/2001 è subordinata alla sussistenza delle condizioni indicate dall'art. 13 sicché il giudice penale che intenda applicare detta sanzione deve necessariamente motivare la ricorrenza delle condizioni di legge che ne costituiscono indispensabile presupposto - La pubblicazione della sentenza di condanna per estratto costituisce una sanzione ulteriore e facoltativa, dunque da motivare appositamente, e non discende automaticamente dalla condanna)
17 maggio 2023 (ud. 20 febbraio 2023) n. 1419 - sentenza - Corte d'appello di Milano - sezione II penale* (In tema di responsabilità da reato degli enti, l'estinzione fisiologica e non fraudolenta dell'ente in conseguenza della liquidazione volontaria e della successiva cancellazione dal registro delle imprese determina l'estinzione dell'illecito, ricorrendo un caso assimilabile alla morte dell'imputato - Società già posta in liquidazione all'atto della notifica del primo atto di incolpazione e successiva cancellazione avvenuta quando già gli imputati erano a conoscenza delle contestazioni - Al fine di sostenere la fraudolenza della cancellazione dal registro delle imprese, dovrebbe potersi sostenere che la messa in liquidazione della società avesse, nelle intenzioni dei deliberanti e pur nella assenza di conoscenza delle vicende processuali che sarebbero sorte in seguito, finalità elusive della normativa di responsabilizzazione dell'Ente - Fusione per incorporazione - L’omessa citazione a giudizio della società incorporante costituisce nullità assoluta e insanabile, ai sensi dell'art. 179 c.p.p., di tutti gli atti del giudizio di primo grado, sin dalla celebrazione dell'udienza preliminare, nonché della sentenza di primo grado, trattandosi di vizio che attiene alla mancata costituzione del contraddittorio e alla conoscenza della stessa imputazione da parte di soggetti destinatari delle conseguenze sanzionatorie ex d.lgs. 231/2001)
6 aprile 2023 (ud. 27 ottobre 2022) n. 14840 - sentenza - Corte di cassazione - sezioni unite penali* (Messa alla prova - Il procuratore generale presso la Corte di appello è legittimato ad impugnare, con ricorso per cassazione, l'ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato, ai sensi degli artt. 464-bis e 464-quater cod. proc. pen. - Il procuratore generale è legittimato ad impugnare con ricorso per cassazione, per i motivi di cui all’art. 606 cod. proc. pen., l’ordinanza di ammissione alla prova di cui all’art. 464-bis, cod. proc. pen., ritualmente comunicatagli, mentre, in caso di omessa comunicazione della stessa, è legittimato ad impugnare quest'ultima insieme alla sentenza di estinzione del reato - L'istituto dell’ammissione alla prova di cui all'art. 168-bis cod. pen., non trova applicazione con riferimento alla disciplina della responsabilità degli enti di cui al d.lgs. n. 231 del 2001)
27 febbraio 2023 (ud. 20 ottobre 2022) n. 8476 - sentenza - Corte di cassazione sezione - IV penale* (Reato di lesioni personali colpose con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro - Individuazione del soggetto investito della posizione di garanzia in relazione all'infortunio e definizione della portata della delega - Differenze tra la disciplina della delega di funzioni contemplata dall'art. 16 del d.lgs. n. 81/2008 e la disciplina della delega gestoria contemplata dal diritto societario all'art. 2381 cod. civ. - Secondo la previsione dell’art. 16 comma 3 del d.lgs. n. 81/2008, in caso di delega di funzioni permane in capo al datore di lavoro delegante l’obbligo di vigilanza in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite e tale obbligo si intende assolto in caso di adozione ed attuazione efficace del modello di verifica e controllo di cui all'art. 30 comma 4 - La delega di funzioni prevista dall'art. 16 del d.lgs. n. 81/2008 presuppone un trasferimento di poteri e correlati obblighi dal datore di lavoro verso altre figure non qualificabili come tali e che non lo divengono per effetto della delega - La delega di gestione, anche quando abbia ad oggetto la sicurezza sul lavoro, invece, nel caso di strutture societarie complesse, consente di concentrare i poteri decisionali e di spesa connessi alla funzione datoriale, che fa capo ad una pluralità di soggetti ovvero i membri del consiglio di amministrazione, su alcuni di essi - Con la delega ex art. 16 d.lgs. n. 81/2008 si opera il trasferimento di alcune funzioni proprie del ruolo datoriale, i delegati vengono investiti di poteri e di doveri dei quali sono privi a titolo originario e, di contro, fra soggetti che sono a titolo originario titolari della posizione di datore di lavoro non è concepibile il trasferimento della funzione ma solo l'adozione di un modello organizzativo tale per cui taluni poteri decisionali e di spesa, se del caso anche quelli relativi alla sicurezza ed alla salute dei lavoratori, vengono affidati alla gestione di alcuni tra i datori)
15 febbraio 2023 - ordinanza - Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Milano* (Profili di illegittimità costituzionale dell’art. 61 d.lgs. 231/2001 in tema di regola di giudizio per la sentenza di non luogo a procedere per contrasto con l’art. 3 Costituzione in rapporto all’art. 425 comma 3 c.p.p. come modificato dal d.lgs. 150 del 2022 con eliminazione del precedente riferimento ai criteri di insufficienza e contraddittorietà degli elementi raccolti per il sostegno dell’azione penale e adozione del nuovo canone interpretativo riassunto nella formula che impone il proscioglimento della persona fisica quando gli elementi di prova «non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna - Il difetto di coordinamento tra l’innovazione apportata al comma 3 dell’art. 425 c.p.p. ed il mantenimento della regola di giudizio di cui all’art. 61 d.lgs. 231, senza pervenire ad alcuna forma di interpretazione che possa reputarsi creativa o manu iudicis abrogativa dell’art. 61 d.lgs. in parte qua, trova soluzione rammentando come la regola di giudizio prevista dal previgente testo dell'art. 425 c.p.p. per il processo nei confronti della persona fisica, sostanzialmente sovrapponibile all’attuale che presiede al testo dell’art. 61 d.lgs. 231, sia stata interpretata, in chiave evolutiva, da alcune decisioni della Suprema Corte di Cassazione, fra cui Sez. 5, n. 32023, del 4/6/2017, che già aveva schiuso alla possibilità che il giudice dell’udienza preliminare verificasse, ai fini del rinvio a giudizio, “che la piattaforma degli elementi conoscitivi, costituiti dalle prove già raccolte e da quelle che potranno essere verosimilmente acquisite nella sviluppo processuale - secondo una valutazione prognostica ispirata a ragionevolezza - sia munita di una consistenza tale da far ritenere probabile la condanna e da dimostrare, pertanto, l’effettiva, seppure potenziale, utilità del passaggio alla fase dibattimentale” - Il criterio ermeneutico già esposto dalla giurisprudenza della Suprema Corte pertanto può ben costituire base di riferimento ai fini dell’interpretazione attuale della regola di giudizio di cui all’art. 61 d. lgs. 231/2001 in termini sostanzialmente equiparabili a quella introdotta dal d.lgs. 150/2022 nel procedimento nei riguardi dell’imputato persona fisica e in linea con i principi ispiratori di tale riforma, senza che alcuna disparità di trattamento si possa determinare fra le valutazioni riservate agli imputati persone fisiche o giuridiche)
11 gennaio 2023 (ud. 4 ottobre 2022) n. 570 - sentenza - Corte di cassazione - sezione IV penale* (Omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro - L’imputazione all'ente dell'illecito penale realizzato nel suo ambito operativo dipende dal riscontro della c.d. colpa di organizzazione dell'ente, consistente nel non avere predisposto un insieme di accorgimenti preventivi idonei ad evitare la commissione di reati del tipo di quello realizzato - Il requisito della colpa di organizzazione dell'ente ha la stessa funzione che assume la colpa nel reato commesso dalla persona fisica, quale elemento costitutivo del fatto tipico integrato dalla violazione colpevole ovvero rimproverabile della regola cautelare - Proprio l'enfasi posta sul ruolo della colpa di organizzazione e l'assimilazione della stessa alla colpa, intesa quale violazione di regole cautelari, convince che la mancata adozione e l'inefficace attuazione degli specifici modelli di organizzazione e di gestione prefigurati dagli artt. 6 e 7 del d.lgs. n. 231/2001 e dall'art. 30 del d.lgs. n. 81/2008 non può assurgere ad elemento costitutivo della tipicità dell'illecito dell’ente ma integra una circostanza atta ex lege a dimostrare che sussiste la colpa di organizzazione, la quale va però specificamente provata dall'accusa, mentre l'ente può dare dimostrazione della assenza di tale colpa - L'assenza del modello, la sua inidoneità o la sua inefficace attuazione non sono ex se elementi costitutivi dell'illecito dell'ente giacché tali sono invece, oltre alla compresenza della relazione organica e teleologica tra il soggetto responsabile del reato presupposto e l’ente, la colpa di organizzazione, il reato presupposto ed il nesso causale che deve correre tra i due - La colpa di organizzazione, da cui deriva il reato presupposto, è cosa diversa dalla colpa riconducibile al soggetto apicale cui è ascritto il reato - I profili di responsabilità da reato dell’amministratore/datore di lavoro non devono sovrapporsi e confondersi con i profili di responsabilità da illecito amministrativo dell’ente - La responsabilità amministrativa dell’ente non può fondarsi sulla genericità ed inadeguatezza del modello organizzativo, senza positiva dimostrazione della sussistenza di una colpa di organizzazione - La tipicità dell'illecito amministrativo imputabile all'ente costituisce, per così dire, un modo di essere colposo, specificamente individuato, proprio dell'organizzazione dell'ente, che abbia consentito al soggetto/persona fisica organico all'ente di commettere il reato - L'elemento finalistico della condotta dell'agente deve essere conseguenza non tanto di un atteggiamento soggettivo proprio della persona fisica quanto di un preciso assetto organizzativo negligente dell'impresa, da intendersi in senso normativo, perché fondato sul rimprovero derivante dall'inottemperanza da parte dell'ente dell'obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione dei reati previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità del soggetto collettivo - La ricorrenza di carenze organizzative atte a determinare le condizioni di verificazione del reato presupposto giustifica il rimprovero e l'imputazione dell'illecito all’ente, oltre a sorreggere la costruzione giuridica per cui l'ente risponde dell'illecito per fatto proprio e non per fatto altrui e ciò rafforza l'esigenza che la colpa di organizzazione sia rigorosamente provata e non confusa o sovrapposta con la colpevolezza del dipendente o amministratore dell'ente responsabile del reato)
9 novembre 2022 - decreto di archiviazione - Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano* (Illecito amministrativo dell’ente in dipendenza di reati tributari - Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti - Definizione del complementare procedimento tributario mediante la procedura del ravvedimento operoso - Interpretazione del divieto di bis in idem di cui all’art. 4 prot. 7 CEDU e 50 CDFUE elaborata dalle Corti europee - Non è possibile iniziare o proseguire un secondo procedimento nei confronti di un soggetto in relazione ad un medesimo fatto per cui si sia già concluso in via definitiva un primo procedimento amministrativo laddove la sanzione irrogata possa definirsi sostanzialmente penale - Nei casi in cui è prevista la repressione in forza sia della legge penale sia di quella amministrativa, il divieto di bis in idem non opera se tra i due procedimenti paralleli sussista un nesso materiale e temporale sufficientemente stretto tale per cui le eventuali conseguenze derivanti da una tale organizzazione del trattamento giuridico del comportamento in questione siano proporzionate e prevedibili per la persona sottoposta alla giustizia - E’ legittimo prevedere un sistema di doppio binario sanzionatorio laddove tra i due procedimenti vi sia una close connection tale per cui entrambi si possano considerare fasi separate di una risposta unitaria nei confronti di un dato comportamento - I fatti di frode fiscale per cui si procede ex D.lgs. 231/2001 sono esattamente gli stessi contestati dall'Agenzia delle Entrate nel Processo Verbale di Constatazione notificato all’ente, anche ove nella nozione di fatto si dovesse includere l’elemento soggettivo - Le sanzioni tributarie applicate dall'Agenzia delle Entrate devono ritenersi sostanzialmente penali alla luce dei criteri enunciati dalle Corti europee - La stretta connessione temporale e materiale tra i due procedimenti ne determina la complementarità e prevedibilità - La prosecuzione del procedimento ex D.lgs. 231/2001 nei confronti dell’ente può, a seguito della definizione del complementare procedimento tributario mediante la procedura del ravvedimento operoso, considerarsi pregiudizievole di diritti fondamentali riconosciuti a livello europeo direttamente applicabili nel nostro ordinamento ex artt. 11 e 117 Cost. - Poiché risulta assai difficile pervenire ad un giudizio assoluto ed oggettivo di proporzionalità della sanzione amministrativa irrogata rispetto all’offesa arrecata, non appare possibile, sul piano ermeneutico, non tenere conto del fatto che appare concreto il rischio (se non elevato) che la prosecuzione del procedimento porti all’applicazione di una pena sproporzionata, considerata l’assenza nel sistema del Decreto 231 di una norma che imponga esplicitamente di tener conto, in sede di commisurazione, di sanzioni amministrative già irrogate - La disciplina dettata dal D.lgs. 231/2001 intende incentivare l’ente, sia prima che dopo la commissione di un reato, a dotarsi di un apparato organizzativo adeguato, idoneo a contrastare i rischi-reato connessi all’attività svolta sicché il momento sanzionatorio, quale extrema ratio, si giustifica e si legittima come conseguenza della mancata riorganizzazione - La società indagata, che già prima dei fatti aveva implementato un modello organizzativo ai sensi del D.lgs. 231 che tenesse conto anche della macroarea di rischio relativa al rapporto con i fornitori di beni/servizi, ha proseguito virtuosamente nello sforzo di dotarsi di un’organizzazione adeguata rispetto alla finalità preventiva perseguita dal decreto così operando una netta cesura con il precedente assetto organizzativo - Se è vero che tanto le sanzioni tributarie quanto quelle previste dal Decreto 231 perseguono una finalità dissuasiva e preventiva che va al di là della mera funzione ripristinatoria e retributiva, non si può negare che un più che soddisfacente risultato in questi termini sia stato perciò già raggiunto, sicché la prosecuzione del procedimento ex D.Lgs. 231/2001 costituirebbe un’indebita duplicazione, che sfocerebbe nella sottoposizione, ormai non più giustificata, della società agli ulteriori effetti stigmatizzanti e afflittivi che il coinvolgimento in un procedimento penale comporta)
26 ottobre 2022 (c.c. 28 giugno 2022) n. 40563 - sentenza - Corte di cassazione - sezione VI penale (La sentenza di applicazione della sanzione pecuniaria su richiesta dell’ente, ai sensi dell’art. 63, d.lgs. n. 231 del 2001, non comporta la condanna dell'ente medesimo al pagamento delle spese processuali - La nomina di un commissario giudiziale, a norma dell’art. 15, d.lgs. n. 231 del 2001, non può essere annoverata tra le sanzioni amministrative applicabili all'ente bensì rappresenta una misura del tutto diversa da quelle, per natura e funzioni, alternativa rispetto ad esse nonché precipuamente volta ad evitarne alcuni effetti collaterali - Il commissariamento costituisce misura sostitutiva delle sanzioni interdittive, diretta ad evitare che l'accertata responsabilità dell'ente si risolva in un pregiudizio per la collettività ogni qual volta la sanzione inflitta dal giudice incida sul servizio pubblico svolto dall'ente, provocandone l'interruzione, ovvero provochi rilevanti ripercussioni sull'occupazione)
20 ottobre 2022 (ud. 26 gennaio 2022) n. 39615 - sentenza - Corte di cassazione - sezione IV penale (Lesioni colpose patite da un dipendente della società a seguito della violazione delle norme poste a tutela della sicurezza sul lavoro - In tema di responsabilità amministrativa degli enti derivante da reati colposi di evento, i criteri di imputazione oggettiva, rappresentati dal riferimento contenuto nell'art. 5 del d.lgs. 231/2001 all'interesse o al vantaggio, sono alternativi e concorrenti tra di loro e devono essere riferiti alla condotta anziché all'evento - Ricorre il requisito dell’interesse quando l'autore del reato ha consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di conseguire un'utilità per l'ente, mentre sussiste il requisito del vantaggio quando la persona fisica ha violato sistematicamente le norme prevenzionistiche, consentendo una riduzione dei costi ed un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto - L'interesse è un criterio soggettivo, il quale rappresenta l'intento del reo di arrecare un beneficio all’ente mediante la commissione del reato e perciò è indagabile solamente ex ante ed è del tutto irrilevante che si sia o meno realizzato il profitto sperato - Nei reati colposi d'evento, affinché l'interesse per l'ente sussista, è certamente necessaria la consapevolezza della violazione delle norme antinfortunistiche, in quanto è proprio da tale violazione che la persona fisica ritiene di poter trarre un beneficio economico per l'ente vale a dire un risparmio di spesa - La consapevolezza della violazione delle norme antinfortunistiche può apparire più evidente nei casi di colpa c.d. cosciente, o con previsione dell'evento, nei quali la volontà dell'agente non è diretta verso l'evento ed egli, pur avendo concretamente presente la connessione causale tra la violazione delle norme cautelari e l'evento illecito, si astiene dall'agire doveroso per trascuratezza, imperizia, insipienza, irragionevolezza o altro biasimevole, riponendo la propria fiducia nella non verificazione dell'evento, ma, d’altra parte, essendo pienamente consapevole della violazione delle regole cautelari, ponendo in essere tale violazione proprio allo scopo, come spesso accade, di ottenere un risparmio di spesa - La volontà di risparmiare è indispensabile affinché sussista l'interesse dell'ente - Il vantaggio è invece criterio oggettivo, legato all'effettiva realizzazione di un profitto in capo all'ente quale conseguenza della commissione del reato, e perciò deve essere analizzato, a differenza dell'interesse, ex post, avendo riguardo al vantaggio ottenuto tramite la condotta - La condotta, nei reati colposi d'evento contro la vita e l'incolumità personale commessi sul lavoro, è rappresentata dalla violazione delle regole cautelari antinfortunistiche ed è dunque in riferimento ad essa che bisogna indagare se, ex post, l’ente abbia ottenuto un vantaggio di carattere economico - Qualora la persona fisica abbia violato sistematicamente le norme prevenzionistiche, consentendo una riduzione dei costi ed un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto, allora potrà ravvisarsi il vantaggio per l'ente - In tale schema, marcatamente obiettivo, non è necessario che il reo abbia volontariamente violato le regole cautelari al fine di risparmiare, in quanto la mancanza di tale volontà rappresenta la sostanziale differenza rispetto all'interesse, ma solamente che risulti integrata la violazione delle regole cautelari contestate - Il vantaggio viene così rapportato alle specifiche contestazioni mosse alla persona fisica, salvaguardandosi il principio di colpevolezza, ma allo stesso tempo permettendo che venga attinto da sanzione penale anche il soggetto che, in concreto ed obiettivamente, si è giovato della violazione cautelare, vale a dire l'ente - Quanto alla consistenza del vantaggio, deve certamente trattarsi di importo non irrisorio, il cui concreto apprezzamento è rimesso alla valutazione del giudice di merito, che resta insindacabile ove congruamente ed adeguatamente motivata - Il requisito della colpa di organizzazione assolve la stessa funzione che la colpa assume nel reato commesso dalla persona fisica, quale elemento costitutivo del fatto tipico integrato dalla violazione colpevole, ovvero rimproverabile, della regola cautelare - L'enfasi posta sul ruolo della colpa di organizzazione e l'assimilazione della stessa alla colpa, intesa quale violazione di regole cautelari, convince che la mancata adozione e l'inefficace attuazione degli specifici modelli di organizzazione e di gestione prefigurati dal legislatore rispettivamente agli artt. 6 e 7 del d.lgs. 231/2001 ed all'art. 30 del d.lgs. 81/2008 non può assurgere ad elemento costitutivo della tipicità dell'illecito dell'ente, ma integra una circostanza atta ex lege a dimostrare che sussiste la colpa di organizzazione, che va però specificamente provata dall'accusa, mentre l'ente può dare dimostrazione dell'assenza di tale colpa - Gli elementi costitutivi dell'illecito dell'ente, oltre alla compresenza della relazione organica e teleologica tra il soggetto responsabile del reato presupposto e l'ente ovverosia la c.d. immedesimazione organica, sono la colpa di organizzazione, il reato presupposto ed il nesso causale che deve correre tra i due)
21 settembre 2022 (ud. 24 maggio 2022) n. 34943 - sentenza - Corte di cassazione - sezione IV penale* (Per i soggetti sottoposti all’altrui direzione e controllo, il legislatore ha individuato un fattore di riconduzione del reato all'ente diverso da quello valevole per gli apicali e rappresentato dalla violazione degli obblighi di direzione e di controllo facenti capo alla figura apicale, violazione avente la funzione di assicurare che il reato del sottoposto metta radici nella colpa di organizzazione dell'ente tanto che, ove sia stato adottato un idoneo modello di organizzazione e gestione e lo stesso sia stato anche efficacemente attuato, la violazione degli obblighi di controllo e di gestione perde la sua valenza indiziaria e degrada a fatto dell'apicale non espressivo della colpa di organizzazione dell'ente - La qualità della persona fisica autrice del reato implica che, ove si tratti di uno dei soggetti indicati dalla lettera a) dell'art. 5 del d.lgs. 231/2001, l'adozione e la efficace attuazione di idoneo MOG non è sufficiente ad escludere la responsabilità dell'ente, ancora occorrendo che esso sia stato fraudolentemente eluso, e che, nel caso invece di soggetto sottoposto, secondo la nozione ricavabile dall'art. 5 lett. b) del decreto, l'adozione e l'efficace attuazione di idoneo MOG è di per sé sufficiente ad escludere la responsabilità dell'ente, anche quando il reato sia stato reso possibile dalla violazione degli obblighi di direzione e controllo gravanti sui soggetti apicali - La disposizione dell’art. 5, comma 1 lett. a) del d.lgs. 231/2001 non è rivolta ad individuare le posizioni apicali del settore lavoristico (datore di lavoro, dirigente, preposto) bensì a indicare, in termini generali e omnicomprensivi, la massima espressione di rappresentanza e di gestione dell'ente-persona giuridica la cui responsabilità è determinata dalla commissione dei reati presupposto - L’art. 5, comma 1 lett. a) del d.lgs. 231/2001 esclude che una delle funzioni apicali possa essere riconosciuta al soggetto cui siano attribuite le mansioni di Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione - Al RSPP è riconosciuta una funzione di ausilio al datore di lavoro e di collaborazione resa in ragione del rapporto di ausiliarietà e di subordinazione al datore di lavoro che non può essere ricondotta ad alcuna delle figure comprese nella categoria delle persone dotate di veste apicale come delineata dall'art. 5 comma 1 lett. a) d.lgs. 231/2001 - Il conferimento mediante atto di delega di specifiche attribuzioni per lo svolgimento di una funzione determinata anche se nevralgica dell'azienda come quella attinente alla prevenzione e protezione dei lavoratori dai rischi implicati dal processo produttivo e al rispetto delle misure di sicurezza adottate sul luogo di lavoro non ha rilievo decisivo per fare assurgere il delegato a soggetto in posizione di amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unità produttiva secondo la previsione dell’art. 5 lett. a) d.lgs. 231/2001 in quanto il delegato rimane sottoposto al più ampio potere del delegante, che viene esercitato anche sotto forma di vigilanza, ed è tenuto a rapportarsi e a riferire al delegante ai fini dell'adozione di quelle misure di prevenzione o di protezione che sfuggano al suo potere di gestione o di spesa - Il riconoscimento al RSPP del potere di compiere scelte decisionali in piena autonomia in materia di sicurezza non è equiparabile al riconoscimento di una veste apicale secondo la previsione dell'art. 5 lett. a) d.lgs. 231/2001 laddove la piena autonomia di decisione costituisce il presupposto di operatività della delega di funzioni in materia di prevenzione sul lavoro ma non implica il riconoscimento di poteri di amministrazione, di gestione e di rappresentanza che coinvolgono l'ente nel suo complesso ovvero una articolazione organizzativa dello stesso - Anche la sottoscrizione del DVR da parte del RSPP delegato alla sicurezza non costituisce indice di esercizio di poteri rappresentativi, laddove la valutazione dei rischi collegati alla prestazione di lavoro è compito non delegabile del datore di lavoro - Ai fini della individuazione delle persone dotate di funzioni di rappresentanza, di gestione e di direzione dell'ente e di una unità organizzativa provvista di autonomia finanziaria non può prescindersi dai criteri identificativi fissati dagli istituti dell'ordinamento giuridico generale e non di un particolare settore come quello lavoristico, ivi compresi gli strumenti deputati alla costituzione ovvero al trasferimento di funzioni da soggetti verticistici quali la procura - Lo strumento delineato dall'art. 16 del d.lgs. 81/2008 attiene al diverso ambito della delega di funzioni nel settore della prevenzione dei rischi in ambito lavorativo e non determina il trasferimento della funzione datoriale, nella sua accezione gestionale e di indirizzo, né, di regola, la costituzione di una posizione verticistica, ma risulta strutturato per sollevare il datore di lavoro da singoli incombenti in materia di sicurezza nel limitato ambito delle funzioni trasferite)
19 settembre 2022 (ud. 21 giugno 2022) n. 34397 - sentenza - Corte di cassazione - sezione III penale* (Reati ambientali - Per affermare la responsabilità dell'ente non è necessario il definitivo e completo accertamento della responsabilità penale individuale ma è sufficiente un mero accertamento incidentale, purché risultino integrati i presupposti oggettivi e soggettivi di cui agli artt. 5, 6, 7 e 8 del d.lgs. 231/2001 - Difetta di motivazione la sentenza che si limiti ad accertare i profili di responsabilità delle persone fisiche, assumendo che debba anche riconoscersi la piena responsabilità amministrativa dell’ente “sia a seguito di acquisizione della documentazione che dalle testimonianze escusse in dibattimento", in tal modo non individuando alcun percorso argomentativo idoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice - Il rappresentante legale indagato o imputato del reato presupposto non può provvedere, a causa di tale condizione di incompatibilità, alla nomina del difensore dell'ente, per il generale e assoluto divieto di rappresentanza posto dall'art. 39 del d.lgs. 231/2001 - La mancata nomina di un difensore d'ufficio in sostituzione del difensore di fiducia dell'ente, nominato dal rappresentante legale incompatibile in violazione del divieto ex art. 39 cit., comporta la nullità degli atti successivi ai sensi dell'art. 178, comma 1, lett. c), c.p.p.)
15 settembre 2022 (ud. 30 giugno 2022) n. 33976 - sentenza - Corte di cassazione - sezione IV penale* (Nel caso di responsabilità degli enti in relazione a reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, i criteri di imputazione oggettiva vanno riferiti alla condotta del soggetto agente e non all'evento, essendo possibile che l'agente violi consapevolmente la cautela o addirittura preveda l'evento che ne può derivare, pur senza volerlo, per corrispondere a istanze funzionali a strategie dell'ente - I canali che colleghino teleologicamente la condotta del reo all’interesse o vantaggio dell’ente vanno intesi non solo come risparmio di spesa conseguente alla mancata predisposizione del presidio di sicurezza ma anche come incremento economico dovuto all'aumento della produttività non rallentata dal rispetto della norma cautelare - Salva l'ipotesi dell'inconsistenza, che si traduce sostanzialmente nella non apprezzabilità, la responsabilità dell’ente non può essere esclusa in considerazione dell'esiguità del vantaggio o della scarsa consistenza dell'interesse perseguito, in quanto anche la mancata adozione di cautele finalizzate o comportanti limitati risparmi di spesa può essere causa di lesioni personali gravi - L'interesse può sussistere anche in relazione a una trasgressione isolata dovuta a un'iniziativa estemporanea, senza la necessità di provare la natura sistematica delle violazioni antinfortunistiche, allorché altre evidenze fattuali dimostrino il collegamento finalistico tra la violazione e l'interesse dell'ente - L’art. 25-septies d.lgs. n. 231/2001 non richiede la natura sistematica delle violazioni della normativa antinfortunistica per la configurabilità della responsabilità dell'ente derivante dai reati colposi ivi contemplati - Il connotato della sistematicità delle violazioni della normativa antinfortunistica non è nemmeno imposto dalla necessità di rinvenire un collegamento tra l'azione umana e la responsabilità dell'ente che renda questa compatibile con il principio di colpevolezza sicché sarebbe eccentrico rispetto allo spirito della legge ritenere irrilevanti tutte quelle condotte che, pur sorrette dalla intenzionalità, in quanto episodiche e occasionali non siano espressive di una politica aziendale di sistematica violazione delle regole cautelari, considerato peraltro l'innegabile quoziente di genericità del concetto di sistematicità - Il connotato della sistematicità delle violazioni della normativa antinfortunistica, in realtà, attiene al piano prettamente probatorio, quale possibile indizio dell'esistenza dell'elemento finalistico della condotta dell'agente, idoneo al tempo stesso a scongiurare il rischio di far coincidere un modo di essere dell'impresa con l’atteggiamento soggettivo proprio della persona fisica - Quale logico corollario, l'interesse può sussistere anche in relazione a una trasgressione isolata allorché altre evidenze fattuali dimostrino tale collegamento finalistico, così neutralizzando il valore probatorio astrattamente riconoscibile al connotato della sistematicità - Il connotato della sistematicità delle violazioni ben può rilevare su un piano strettamente probatorio quale possibile indice della sussistenza e consistenza, sul piano economico, del vantaggio, derivante dalla mancata previsione e/o adozione delle dovute misure di prevenzione - Per impedire un'automatica applicazione della norma che ne dilati a dismisura l'ambito di operatività ad ogni caso di mancata adozione di qualsivoglia misura di prevenzione, anche isolata, l'esiguità del risparmio può rilevare per escludere il profilo dell'interesse e/o del vantaggio e, quindi, la responsabilità dell'ente ove la violazione si collochi in un contesto di generale osservanza da parte dell'impresa delle disposizioni in materia di sicurezza - Tale conclusione si giustifica con il rilievo che proprio il generale contesto di complessiva osservanza della disciplina cautelare concorre ad accreditare il difetto della colpa di organizzazione, sotto il profilo della non prevedibilità per l'ente della regola cautelare risultata trascurata, ma presuppone pur sempre che la violazione non insista su un'area di rischio di rilievo, perché diversamente risulta impraticabile sostenere l'assenza della colpa di organizzazione rispetto ad una violazione di una regola cautelare essenziale per il buon funzionamento del sistema di sicurezza - Un risparmino pari a 1.860 euro, rispetto alla maggior somma di circa 100/130.000 euro impiegata per l’adeguamento del complessivo sistema antinfortunistico, può essere ritenuto consistente ai fini della sussistenza del criterio oggettivo d'imputabilità della responsabilità dell'ente ed apprezzabile perché collegato al mancato rispetto delle regole cautelari, a prescindere da una astratta valutazione aritmetica della spesa non sostenuta rispetto alle capacità patrimoniali dell'ente ovvero alle maggiori somme da queste impiegate per la tutela della sicurezza dei lavoratori - Il vantaggio per l’ente dettato dal risparmio di spesa, pur esiguo/minimo anche in relazione alla spesa sostenuta dall'ente nella materia antinfortunistica, in un contesto di generale osservanza da parte della società delle disposizioni in materia di sicurezza del lavoro, può essere argomentato dalla ritenuta oggettiva prevalenza delle esigenze della produzione e del profitto su quelle dalla tutela dei lavoratori quale conseguenza delle cautele omesse, in termini oltre che di oggettivo risparmio di spesa anche di riduzione dei costi per gli oneri di consulenza necessari per un adeguato modello organizzativo, per i necessari interventi strutturali e per la connessa attività di formazione e informazione dei lavoratori, in quanto rapportabili agli interventi eseguiti dall'ente all'esito dell'infortunio al fine di dare, solo allora, prevalenza alla tutela dei lavoratori)
4 agosto 2022 (ud. 23 giugno 2022) n. 30685 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione III penale* (In tema di responsabilità degli enti, in presenza di una declaratoria di prescrizione del reato presupposto, il giudice, ai sensi dell’art. 8, comma 1, lettera b), d.lgs. 231/2001, deve procedere all'accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l'illecito fu commesso che, però, non può prescindere da una verifica, quantomeno incidentale, della sussistenza del fatto di reato - L'onere di autonoma motivazione non può dirsi soddisfatto dalla mera presa d'atto dell'insussistenza ictu oculi di una causa di proscioglimento ex art. 129 c.p.p.)
11 luglio 2022 (ud. 12 aprile 2022) n. 1046 - sentenza - Giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale di Milano dr.ssa Pasquinelli - (Udienza preliminare - Reati societari e abusi di mercato - False comunicazioni sociali e manipolazione del mercato - Fattispecie di reato per le quali è previsto, oltre alla falsità della informazione comunicata, che la stessa sia di rilevanza e consistenza tali da incidere significativamente sulla percezione dei destinatari circa lo stato economico, patrimoniale e finanziario della società - Le condotte che la Consob ha ritenuto rilevanti sul piano amministrativo non necessariamente corrispondono ad altrettante ipotesi di reato - Il giudizio di inidoneità delle prospettate falsità a ingannare i destinatari delle informazioni e comunicazioni espresso dalla Consob costituisce valutazione incidentale di insussistenza di un elemento fondamentale della materialità dei reati di false comunicazioni sociali e manipolazione del mercato - Le conclusioni della Consob in punto di inidoneità delle informazioni ipoteticamente false a trarre in errore i loro destinatari non sono di fatto processualmente superabili, con conseguente impossibilità o quanto meno alta improbabilità di poter affermare, anche all'esito di un lungo e dispendioso processo dibattimentale, la sussistenza di un fondamentale requisito oggettivo dei reati contestati - Le valutazioni formalmente espresse da Consob non solo ostano ad un'affermazione di piena responsabilità degli imputati per i reati loro rispettivamente ascritti ma altresì rendono difficile, per la fonte qualificata da cui originano, che possa intervenire una diversa stima "oltre ogni ragionevole dubbio" all'esito di un ipotetico dibattimento - L'analisi tecnica svolta dall'Autorità Indipendente deputata alla tutela dei mercati anche e soprattutto rispetto a condotte del tipo di quella in contestazione è difficilmente superabile anche attraverso l'approfondimento dibattimentale giacché Consob costituisce la massima autorità in ambito finanziario e, anche ad ipotizzare lo svolgimento di ulteriori perizie tecniche sull'incidenza delle informazioni asseritamente false a trarre in inganno il mercato, le affermazioni dalla stessa espresse, quand'anche contemporaneamente confermate e smentite in dibattimento da altri illustri quanto ipotetici consulenti di parte, sono comunque idonee a fondare quantomeno quel "ragionevole dubbio" sufficiente per l'assoluzione degli imputati)
15 giugno 2022 (ud. 11 novembre 2021) n. 23401 - sentenza - Corte di cassazione - sezione VI penale* (Reati societari - Aggiotaggio - Il modello costituisce uno degli elementi che concorre alla configurabilità o meno della colpa dell'ente, nel senso che l'imputazione ad esso dell'illecito è collegata all'inidoneità od all'inefficace attuazione del modello, secondo una concezione normativa della colpa: l'ente risponde in quanto non si è dato un'organizzazione adeguata, omettendo di osservare le regole cautelari che devono caratterizzarla, secondo le linee dettate dall’art. 6 del d.lgs. 231/2001 - Occorre una corrispondenza causale tra la violazione della regola cautelare e la produzione del risultato offensivo e, nel caso in cui non sia possibile escludere con certezza il ruolo causale dei fattori di rischio considerati dalla norma cautelare, la responsabilità colposa non può essere affermata - Il giudice, nella sua valutazione del modello, deve collocarsi idealmente nel momento in cui il reato è stato commesso e verificarne la prevedibilità ed evitabilità qualora fosse stato adottato ed efficacemente attuato un modello idoneo secondo il meccanismo epistemico-valutativo della c.d. prognosi postuma già sperimentato in altri ambiti del diritto penale - Il giudice è chiamato ad una valutazione del modello in concreto, non solo in astratto, verificandone l'idoneità limitatamente alla prevenzione dei reati della specie di quello verificatosi - Il modello organizzativo non viene testato dal giudice nella sua globalità bensì in relazione alle regole cautelari che risultano violate e che comportano il rischio di reiterazione di reati della stessa specie e nell’ambito di tale giudizio occorre accertare la sussistenza della relazione causale tra reato ovvero illecito amministrativo e violazione del protocollo di gestione del rischio - I codici di comportamento approvati dal Ministero della Giustizia costituiscono anche per l’autorità giudiziaria un parametro di riferimento importante ma non vincolante in quanto non possono rappresentare la regola organizzativa esclusiva ed esaustiva - In presenza di un modello organizzativo conforme ai codici di comportamento, il giudice è tenuto specificamente a motivare le ragioni per le quali possa ciò nonostante ravvisarsi la colpa di organizzazione dell'ente, individuando la specifica disciplina di settore, anche di rango secondario, che ritenga violata o, in mancanza, le prescrizioni della migliore scienza ed esperienza dello specifico àmbito produttivo interessato, dalle quali i codici di comportamento ed il modello con essi congruente si siano discostati, in tal modo rendendo possibile la commissione del reato - Con riferimento ai reati di aggiotaggio, deve dirsi idoneo il modello che preveda la partecipazione di due o più soggetti al compimento delle attività a rischio, nonché specifiche procedure autorizzative per comunicati stampa e divulgazioni di analisi e studi aventi ad oggetto strumenti finanziari - La circostanza che un organismo di vigilanza monocratico sia posto nell’organigramma aziendale alle dirette dipendenze del presidente, senza sufficienti garanzie di autonomia da quest'ultimo e, attraverso di esso, dagli amministratori della società, rappresenta una lacuna del modello che può condurre a ravvisare la responsabilità dell'ente soltanto se abbia avuto un'efficienza causale nella commissione del reato presupposto da parte del soggetto apicale, nel senso che la condotta di questi sia stata resa possibile, anche in via concorrente, proprio dall'assenza o dall'insufficienza dell’autonomia e dei poteri di controllo dell’organismo - La scelta di fondo del legislatore di tenere distinta la responsabilità dell'ente da quella dei suoi vertici, riconducendo alla prima solo quelle condotte causalmente ricollegabili ad una colpa di organizzazione, costituisce anche il metro dell'ingerenza consentita all'organismo di vigilanza sugli atti degli apicali, e quindi il contenuto necessario del modello, perché lo stesso possa reputarsi idoneo - Un modello che rendesse obbligatorio un preventivo controllo di qualsiasi atto del presidente o dell'amministratore delegato di una società, senza distinzione di contenuti e/o di rilevanza, sarebbe difficilmente conciliabile con il potere di rappresentanza, d'indirizzo e di gestione dell'ente, che la legge civile riconosce a quegli organi - L’organismo di vigilanza che si trasformi in una specie di supervisore dell'attività degli organi direttivi e d'indirizzo della società, inserendosi, di fatto, nella gestione di essa, esorbiterebbe dal compito affidatogli dall'art. 6 lett. b) del d.lgs. 231/2001 che è solamente quello di individuare e segnalare le criticità del modello e della sua attuazione, senza alcuna responsabilità di gestione -L’organismo di vigilanza non può avere connotazioni di tipo gestorio, che ne minerebbero inevitabilmente la stessa autonomia: ad esso spettano, piuttosto, compiti di controllo sistemico continuativo sulle regole cautelari predisposte e sul rispetto di esse nell'ambito del modello organizzativo di cui l'ente si è dotato - Con riferimento alla prevenzione dei cc.dd. reati di comunicazione, può dirsi idoneo un modello ancorché non preveda una forma di controllo preventivo del testo finale dei comunicati e delle informazioni divulgate da presidente ed amministratore delegato della società, essendo ineliminabile un margine di autonomia di questi organi nell'esercizio di tale attività, poiché coessenziale al fascio di poteri e responsabilità loro riconosciuti dalla legge civile - L’elusione fraudolenta del modello implica necessariamente una condotta munita di connotazione decettiva, consistendo nel sottrarsi con malizia ad un obbligo ovvero nell'aggiramento di un vincolo, nello specifico rappresentato dalle prescrizioni del modello; rafforzato poi dal predicato di “fraudolenza”, contenuto nella norma, che, lungi dall'essere una mera ridondanza, vuole evidenziare l’insufficienza, a tal fine, della semplice e frontale violazione delle regole del modello, pretendendo una condotta ingannatoria - L’efficacia decettiva della condotta deve dispiegarsi all'interno della struttura organizzativa dell'ente, verso, cioè, gli organi e l'apparato di controllo dello stesso, e non nei confronti dei terzi estranei: l'elusione fraudolenta va valutata, infatti, in riferimento non al precetto penale, bensì alle prescrizioni del modello organizzativo, dovendo rappresentare una modalità esecutiva della condotta del soggetto apicale, non anche un elemento costitutivo del reato da questi commesso - L'avere il presidente e l’amministratore delegato approfittato dello spazio di autonomia tollerabilmente lasciato loro dal modello organizzativo in ragione del loro ruolo e, d'intesa tra loro ma in completo spregio dei dati elaborati e loro offerti dalle competenti strutture tecniche della società, l'aver alterato dati e divulgato ai mercati finanziari informazioni inveritiere non rappresenta una mera violazione delle prescrizioni del modello ma una condotta munita di efficacia decettiva nei confronti degli altri organi dell'ente, non soltanto perché tenuta senza il rispetto del procedimento di comunicazione previsto dal modello, ma altresì in quanto frutto di un accordo estemporaneo e tale, perciò, da rendere impossibile ogni interlocuzione da parte di qualsiasi altro organo sociale)
30 maggio 2022 (ud. 5 maggio 2022) n. 21034 - sentenza - Corte di cassazione - sezione III penale* (Reati ambientali - Scarichi di acque reflue industriali contenenti sostanze pericolose - E’ ravvisabile l’interesse della società se l'apertura e il mantenimento dello scarico oggetto della contestazione ha consentito all'ente di recapitare i propri reflui senza necessità di raccoglierli e smaltirli secondo la disciplina vigente sostenendone i maggiori costi - L'interesse e il vantaggio per l'ente, che devono essere verificati in concreto, nel senso che la società deve ricevere una effettiva e potenziale utilità, ancorché di natura economica, dalla commissione del reato, sono valutabili anche in termini di risparmio di costi, tanto che si deve ritenere posta nell'interesse dell'ente, e dunque fonte di responsabilità amministrativa, anche quella condotta che attui scelte organizzative o gestionali dell'ente da considerare inadeguate, con la conseguenza che la condotta, anche se non implica direttamente o indirettamente un risparmio di spesa, se è coerente con la politica imprenditoriale di cui tali scelte sono espressione e alla cui attuazione contribuisce, è da considerare realizzata nell'interesse dell'ente)
27 maggio 2022 - ordinanza - Tribunale di Bologna sezione II penale in composizione monocratica (La procedura prevista dall’art. 58 del d.lgs. n. 231/2001, secondo la quale il P.M., ove non proceda alla contestazione dell’illecito amministrativo, emette decreto motivato di archiviazione degli atti, comunicandolo al procuratore generale che, a sua volta, potrà svolgere gli accertamenti indispensabili ed eventualmente procedere alla contestazione dell’illecito, ha carattere di intrinseca specialità - La specialità della procedura prevista dall’art. 58 del d.lgs. n. 231/2001 ne comporta l’incompatibilità con l’iter previsto dal codice di procedura penale per l’ipotesi ordinaria di archiviazione della notizia di reato e, per l’effetto, l’inoperatività dell’art. 34 del d.lgs. n. 231/2001 che prevede l’osservanza nell’ambito del procedimento agli enti delle disposizioni del codice di procedura penale se ed in quanto compatibili - La persona offesa dall’illecito amministrativo dipendente da reato non ha diritto di essere informata circa l’archiviazione - Poiché l’art. 58 devolve l’archiviazione al P.M. e non al G.I.P., non è in alcun modo ipotizzabile un contraddittorio camerale ex art. 409 c.p.p. di fronte alla parte pubblica né un’eventuale opposizione della persona offesa all’archiviazione, essendo tale via preclusa dalle norme in tema che non riservano alcuno spazio all’intervento del giudice)
26 maggio 2022 (ud. 24 marzo 2022) n. 20559 - sentenza - Corte di cassazione - sezione III penale* (Omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro - In tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica i criteri di imputazione oggettiva rappresentati dall'interesse e dal vantaggio, da riferire entrambi alla condotta del soggetto agente e non all'evento, ricorrono, rispettivamente, il primo, quando l'autore del reato abbia violato la normativa cautelare con il consapevole intento di conseguire un risparmio di spesa per l'ente, indipendentemente dal suo effettivo raggiungimento, e, il secondo, qualora l'autore del reato abbia violato sistematicamente le norme antinfortunistiche, ricavandone oggettivamente un qualche vantaggio per l'ente, sotto forma di risparmio di spesa o di massimizzazione della produzione, indipendentemente dalla volontà di ottenere il vantaggio stesso - La responsabilità amministrativa dell'ente derivante dal reato di omicidio o lesioni personali aggravate dalla violazione della disciplina antinfortunistica non può essere esclusa in considerazione dell’esiguità del vantaggio o della scarsa consistenza dell'interesse perseguito, in quanto anche la mancata adozione di cautele comportanti limitati risparmi di spesa può essere causa di lesioni personali gravi - In tema di responsabilità amministrativa degli enti derivante dal reato di omicidio o lesioni personali aggravate dalla violazione della disciplina antinfortunistica, il criterio di imputazione oggettiva dell'interesse può sussistere anche in relazione a una trasgressione isolata dovuta ad un'iniziativa estemporanea, senza la necessità di provare la natura sistematica delle violazioni antinfortunistiche, allorché altre evidenze fattuali dimostrino il collegamento finalistico tra la violazione e l’interesse dell'ente - Il criterio di imputazione del «vantaggio» può sussistere anche in relazione ad una singola condotta, quando il «vantaggio» è oggettivamente apprezzabile ed eziologicamente collegato a questa, e la medesima integra la realizzazione di una delle fattispecie di reato previste dal d.lgs. n. 231 del 2001 ed è riferibile ad una persona agente per conto dell'ente a norma dell'art. 5 del medesimo d.lgs. - Il vantaggio economico deve essere messo in correlazione con il complessivo comportamento del legale rappresentante della società ed è ravvisabile nel caso in cui la società, attraverso l'azione del proprio legale rappresentante, ottiene un documentato aumento di fatturato ed un ampliamento dei settori di operatività per effetto della gestione di un'attività in violazione di regole cautelari in materia di tutela di salute e sicurezza sul lavoro, stante l'affidamento in subappalto di tale attività ad una impresa sprovvista di qualunque idonea competenza, ed alla quale non abbia fornito neppure le informazioni sui rischi di cui specificamente dispone - La sentenza pronunciata nei confronti degli agenti dell’ente all'esito di concordato di pena ex art. 599-bis cod. proc. pen. non esplica efficacia di giudicato nei confronti dell’ente ma rileva solo a norma dell'art. 238-bis cod. proc. pen. - In tema di responsabilità da reato degli enti, la separazione delle posizioni processuali di alcuni degli imputati del reato presupposto per effetto della scelta di riti alternativi non incide sulla contestazione formulata nei confronti dell'ente né riduce l'ambito della cognizione giudiziale - Il principio dell'autonomia della cognizione giudiziale, affermato per escludere che l'assoluzione di uno degli imputati del reato presupposto determini automaticamente l'esclusione della responsabilità dell'ente, deve ritenersi applicabile anche quando uno o più imputati del reato presupposto vengano separatamente condannati nelle more del procedimento per l'irrogazione delle sanzioni di cui al d.lgs. n. 231 del 2001 - Dato il principio dell'autonomia della cognizione giudiziale, nell'ipotesi in cui i due procedimenti siano trattati ab origine o proseguano separatamente, dovrà essere osservato il regime previsto dagli artt. 238 e 238-bis cod. proc. pen. - La sentenza pronunciata in diverso procedimento e passata in giudicato nei confronti dell'autore del reato sarà utilizzabile ai fini della prova dei fatti in essa accertati, nel distinto giudizio nei confronti dell'ente, solo a norma degli artt. 187 e 192, comma 3, cod. proc. pen. ed a corrispondente conclusione deve pervenirsi quando la sentenza irrevocabile è pronunciata nei confronti dell'ente ed il giudizio prosegue a carico dell'autore del reato - A norma dell'art. 36 d.lgs. n. 231 del 2001, la competenza a conoscere gli illeciti amministrativi dell'ente appartiene al giudice penale competente per i reati dai quali gli stessi dipendono - In tema di annullamento da parte della Corte di cassazione della sentenza impugnata ai soli effetti civili, il principio secondo il quale il rinvio al giudice civile, di cui alla seconda parte dell'art. 622 cod. proc. pen., è limitato all’ipotesi in cui la sentenza di proscioglimento venga caducata esclusivamente in accoglimento del ricorso della parte civile, mancando o venendo rigettati altri ricorsi rilevanti agli effetti penali deve trovare applicazione anche quando l'annullamento ad effetti diversi da quelli civili riguardi esclusivamente la responsabilità di un ente a norma del d.lgs. n. 231 del 2001)
20 maggio 2022 - ordinanza - Tribunale di Milano Ufficio del giudice per le indagini preliminari* (Deve riconoscersi alla società di diritto estero, chiamata a rispondere dell'illecito amministrativo da reato di cui si sarebbe resa responsabile a mezzo della rappresentanza italiana, il diritto alla ricezione degli atti fondamentali del procedimento e, segnatamente, della contestazione ex art. 59 d.lgs. 231/2001, a pena di nullità in forma tale da consentire alla persona giuridica l'utile esercizio delle facoltà e dei diritti alla medesima spettanti nell’ambito del procedimento promosso nei suoi confronti e, quindi, nella lingua conosciuta - Esclusa ontologicamente la possibilità di attribuire all’ente collettivo una lingua madre o lingua parlata, pare inevitabile doversi fare riferimento alla lingua conosciuta dal legale rappresentante o comunque dal preposto alla rappresentanza italiana, a prescindere dalla sua identificazione formale in termini di filiale o sede secondaria - Debbono riconoscersi alla persona giuridica che si vede contestato l'illecito amministrativo da reato le garanzie fondamentali spettanti all’imputato nel procedimento penale, salva la clausola di compatibilità, così da ricondurre anche il procedimento a carico dell'ente nell’alveo del principio costituzionale del giusto processo)
11 aprile 2022 (c.c. 11 gennaio 2022) n. 13936 - sentenza - Corte di cassazione - sezione VI penale* (sequestro preventivo a fini di confisca, ai sensi degli artt. 19, 25 e 53 del d.lgs. n. 231/2001, del profitto del reato presupposto di traffico di influenze illecite di cui all'art. 346 bis cod. pen. corrispondente a provvigioni maturate e ricevute dal legale rappresentante della società per attività di mediazione illecitamente svolta - in attuazione del principio di proporzionalità della misura cautelare, il giudice può autorizzare il dissequestro parziale delle somme sottoposte a sequestro preventivo finalizzato alla confisca per consentire all'ente di pagare le imposte dovute sulle medesime quale profitto di attività illecite quando l'entità del vincolo reale disposto, pur legittimamente determinato in misura corrispondente al prezzo o al profitto del reato, rischi di determinare, anche in ragione dell'incidenza dell'obbligo tributario, già prima della definizione del processo, la cessazione definitiva dell'esercizio dell'attività dell'ente - lo svincolo parziale delle somme sequestrate deve ritenersi ammesso alla stringente condizione della dimostrazione di un sequestro finalizzato alla confisca che, nella sua concreta dimensione afflittiva, metta in pericolo la operatività corrente e, dunque, la sussistenza stessa del soggetto economico e al solo limitato fine di pagare il debito tributario, con vincolo espresso di destinazione e pagamento in forme "controllate" - il giudice deve, pertanto, accertare, sulla base delle allegazioni delle parti, se la società ricorrente possa provvedere al pagamento delle imposte dovute per effetto dell’applicazione dell'art. 14, comma 4, della legge n. 537/1993 sulla base delle risorse disponibili o ricorrendo al credito bancario e se l'inadempimento alle imposte dovute ponga a rischio la stessa continuità nella operatività dell'ente e, in caso di positivo accertamento delle condizioni poste, può disporre il dissequestro parziale delle somme in sequestro al solo fine di consentire l'adempimento del debito tributario ai sensi dell'art. 14, comma 4, della legge n. 537 del 1993 secondo modalità "controllate" e, dunque, in assenza di un amministratore giudiziario che provveda all'incombente, ad esempio mediante il ricorso a forme negoziate con l’amministrazione finanziaria o la costituzione di un conto corrente ad hoc)
23 dicembre 2021 (ud. 17 dicembre 2021) n. 47010 - sentenza - Corte di cassazione - sezione IV penale* (associazione per delinquere finalizzata alla commissione di violazioni finanziarie - l’art. 2 del d.lgs. 231/01 prevede che l'ente non possa essere ritenuto responsabile per un fatto costituente reato se la responsabilità amministrativa in relazione a quel reato non è prevista espressamente da una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto illecito - pertanto l'ente potrà essere imputato dell’illecito di cui all’art. 24-ter del d.lgs. 231/2001 per il reato di cui all'art. 416 c.p. qualora vi sia per lo stesso una concomitante imputazione per reati-fine rientranti nel novero di quelli previsti dal d.lgs. 231/2001 - l'ente risponde non già dei reati-fine ma delle proiezioni patrimoniali del programma criminoso, venendo gli illeciti avvinti dal vincolo associativo, e quindi la responsabilità dell'ente resta limitata all'associazione - l'ente sopporta le conseguenze patrimoniali della fattispecie associativa in funzione delle sue caratteristiche di fenomeno complesso, autonomo ma collegato ai reati-fine, e ciò esplica i suoi riflessi anche in tema di confisca - il profitto del reato di associazione per delinquere, sequestrabile ai fini della successiva confisca per equivalente, è costituito dal complesso dei vantaggi direttamente conseguenti dall'insieme dei reati-fine, dai quali è del tutto autonomo e la cui effettiva realizzazione è agevolata dall'organizzazione criminale - la determinazione del profitto della società ritenuta responsabile in via amministrativa per la fattispecie associativa deve essere operata con riferimento motivazionale al periodo in cui l'art. 416 c.p. costituiva reato valutabile come fonte di responsabilità dell'Ente - è il momento consumativo del reato che rileva ai fini dell'applicazione delle sanzioni previste dall’art. 9 del d.lgs. 231/01 nel senso che, in base alla connessa previsione di cui all'art. 2, l'intera disciplina sanzionatoria del decreto non trova applicazione in relazione a fatti commessi prima della sua entrata in vigore - il momento di acquisizione del profitto invece è del tutto irrilevante in quanto esso costituisce solo l'oggetto della sanzione-confisca, che incontra il suo necessario presupposto nell'esistenza di un reato che risulti commesso nella vigenza del d.lgs. 231/2001 - in ragione della sua natura tipicamente sanzionatoria, la misura ablativa non può essere fatta retroagire a condotte realizzate anteriormente alla rilevata esistenza dei presupposti e delle condizioni per la stessa configurabilità della responsabilità amministrativa dell'ente, assumendo rilievo al riguardo solo le condotte temporalmente coperte dalla vigenza nel catalogo dei reati-presupposto della fattispecie associativa)
6 settembre 2021 (ud. 2 dicembre 2020) n. 32899 - sentenza - Corte di cassazione - sezione IV penale* (ai fini dell'integrazione della circostanza aggravante di cui all'art. 589, co. 2, e all'art. 590, co. 3, cod. pen., la locuzione "se il fatto è commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro” va interpretata come riferita ad eventi nei quali risulta concretizzato il rischio lavorativo, per essere quelli causati dalla violazione di doveri cautelari correlati a tale tipo di rischio - per rischio lavorativo deve intendersi quello derivante dallo svolgimento di attività lavorativa e che ha ordinariamente ad oggetto la sicurezza e la salute dei lavoratori ma può concernere anche la sicurezza e la salute di terzi, ove questi vengano a trovarsi nella medesima situazione di esposizione del lavoratore - la locuzione “norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro” degli artt. 589, co. 2, e 590, co. 3, cod. pen. sta ad indicare il medesimo oggetto designato dalla locuzione “norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro” dell’art. 25-septies d.lgs. 231/2001 - ai fini della pregiudiziale questione della riconoscibilità della giurisdizione nazionale per fatti commessi sul territorio italiano da enti non aventi alcuna sede in esso, l'ambito di applicazione del d.lgs. 231/2001 è dato dal luogo di consumazione del reato e non dal luogo in cui si trova la sede o una articolazione della persona giuridica imputata ed è irrilevante il luogo in cui si situa la colpa di organizzazione - la responsabilità dell'ente è sì autonoma ma anche "derivata" dal reato, di tal che la giurisdizione va apprezzata rispetto al reato-presupposto, a nulla rilevando che la colpa di organizzazione e dunque la predisposizione di modelli non adeguati sia avvenuta all'estero - l'assenza del modello, la sua inidoneità o la sua inefficacia attuazione non sono ex se elementi costitutivi dell'illecito dell'ente - elementi costitutivi dell’illecito sono la colpa di organizzazione, il reato presupposto ed il nesso causale che deve correre tra i due nonché, perché qualifica il reato presupposto, l’immedesimazione organica “rafforzata” espressa dalla compresenza della relazione organica e della relazione teleologica - la colpa di organizzazione non si identifica con l'assenza del modello, mentre la corretta messa in campo di questo integra una presunzione legale di assenza di colpa di organizzazione e ciò implica che l'assenza di un modello conformato all'archetipo valevole per la legislazione nazionale non è di ostacolo all'esclusione di una colpa di organizzazione quando “l'organizzazione diligente” sia in altro modo dimostrata né può l'accusa limitarsi a dimostrare la mancata adozione di un simile modello - la presenza di modelli conformi alla previsione normativa permette all'ente di beneficiare di una presunzione legale di assenza di colpa di organizzazione ma una limitazione della prova della insussistenza di una colpa di organizzazione pure in assenza di un modello quale quello delineato dalla legislazione nazionale finirebbe per porre evidenti dubbi di legittimità costituzionale - nel sistema italiano l'adozione di specifici modelli organizzativi è una causa di esclusione della responsabilità ma non costituisce un obbligo e tale ricostruzione esclude ogni differenza di trattamento tra enti nazionali ed enti stranieri, abbiano o meno quest'ultimi la sede principale nel territorio dello Stato - il riconoscimento della giurisdizione italiana sugli illeciti commessi in Italia da enti stranieri non aventi sede principale nel territorio italiano non è in contrasto con il principio di colpevolezza di cui all’art. 27 Cost.)
17 giugno 2021 (ud. 19 marzo 2021) n. 348 - sentenza - Tribunale di Vicenza - sezione penale* (il novero dei soggetti apicali individuati dall'art. 25 ter d.lgs. 231/2001 risulta assolutamente sovrapponibile a quello individuato dall'art. 5 trattandosi di soggetti che rientrano in coloro che esercitano funzioni di amministrazione o direzione dell’ente - la sottoposizione a procedura concorsuale non comporta l’estinzione dell’illecito da reato della società in quanto trattasi di causa di estinzione non prevista dal d.lgs. 231/2001 - l'estinzione della società si produce soltanto all'eventuale cancellazione della stessa da parte del curatore dopo la chiusura della procedura concorsuale ma non è consentito dichiarare l’estinzione dell’illecito da reato dell'ente sulla scorta di un giudizio prognostico circa l'esito della procedura fallimentare - la sanzione pecuniaria è recuperabile attraverso l’insinuazione al passivo del fallimento del relativo credito dello Stato che è specificamente assistito da privilegio ai sensi dell'art. 27, comma 2, d.lgs. n. 231/2001 - l'interesse dell’ente deve esprimersi su un piano di oggettività, concretezza ed attualità, come tensione finalistica ad un beneficio, anche se non necessariamente di carattere economico, da potersi apprezzare in capo all'ente, pur attenendo alla condotta dell’autore del fatto-persona fisica, trattandosi dell’indicatore della destinazione genetica del reato all'ente - i reati che puniscono la divulgazione di false informazioni al mercato e alle autorità di vigilanza idonee ad ingenerare una non corretta rappresentazione delle condizioni patrimoniali e reddituali di una banca o delle caratteristiche di determinate operazioni effettuate, attraverso la rappresentazione di una solidità patrimoniale artificiosamente creata, non puniscono le operazioni di capitale finanziato né sono funzionali a consentire tale operatività, che costituisce antecedente svincolato dalla commissione dei reati, da cui prescinde né hanno ad oggetto condotte atte a determinare un diretto ed illecito depauperamento patrimoniale della banca - i reati di aggiotaggio e ostacolo alle funzioni di vigilanza non sono finalizzati ad effettuare operazioni in difetto delle condizioni di sostenibilità o in danno dell’ente né a consentire l’operatività con capitale finanziato, perché tali operazioni non dipendono dalla falsa rappresentazione al mercato o alla vigilanza e la loro materiale realizzazione è indipendente dalle condotte delittuose, anche se dalle stesse può esserne stata agevolata ma come conseguenza indiretta e ulteriore rispetto ad una operatività già in essere - il piano della generale operatività in capitale finanziato nell’ambito di una più ampia gestione generale di impresa che si sia rivelata, all'esito, fallimentare va tenuto ben distinto dal piano della finalizzazione delle condotte delittuose di aggiotaggio e di ostacolo alle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza che, inseritesi nella complessiva attività di impresa, si prefigurino vantaggiose per l’ente per gli effetti favorevoli che, nel contesto di criticità in cui l’ente versa, consentano all`ente di ottenere dei benefici benché non sufficienti, nel lungo termine, a risolvere le carenze indotte da una errata politica di impresa - l’interesse dell’ente va tarato sull’utilità diretta conseguibile dall'ente dalle false prospettazioni al mercato e alla vigilanza che siano funzionali a favorire l’ente in termini di conseguimento di un risultato utile nella prospettiva di ottenere un vantaggio economico immediato che, di fatto, si sia poi anche realizzato - nella visione prospettica ex ante è configurabile l'interesse esclusivo o comunque prevalente della banca alla commissione dei reati di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza quali parte integrante di una politica di impresa funzionale a garantire la prosecuzione dell'attività in un'ottica di mantenimento di una operatività che consenta, da un lato, di assicurare l'afflusso di nuovo capitale e il mantenimento di quello esistente, dall’altro, di impiegare risorse per l’attività caratteristica e che, nel medio-lungo termine, si prospetti come soluzione per traghettare l’istituto al riequilibrio economico finanziario)
8 giugno 2021 (ud. 3 marzo 2021) n. 22256 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione IV penale* (lesioni colpose commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro - onde impedire un'applicazione automatica della norma che ne dilati a dismisura l'ambito di operatività ad ogni caso di mancata adozione di qualsivoglia misura di prevenzione, che implica quasi sempre un risparmio di spesa il quale può però non essere rilevante, ove il giudice di merito accerti l'esiguità del risparmio di spesa derivante dall'omissione delle cautele dovute, in un contesto di generale osservanza da parte dell'impresa delle disposizioni in materia di sicurezza del lavoro ed in mancanza di altra prova che la persona fisica, omettendo di adottare tali cautele, abbia agito proprio allo scopo di conseguire un’utilità per la persona giuridica e quindi in una situazione in cui l'omessa adozione delle cautele dovute sia plausibilmente riconducibile anche a una semplice sottovalutazione del rischio o ad un'errata valutazione delle misure di sicurezza necessarie alla salvaguardia della salute dei lavoratori, ai fini del riconoscimento del requisito del vantaggio occorre la prova della oggettiva prevalenza delle esigenze della produzione e del profitto su quella della tutela della salute dei lavoratori quale conseguenza delle cautele omesse: la prova, cioè, dell'effettivo, apprezzabile, cioè non irrisorio, vantaggio consistente nel risparmio di spesa o nella massimizzazione della produzione, che può derivare, anche, dall'omissione di una singola cautela e anche dalla conseguente mera riduzione dei tempi di lavorazione non desumibile, sic et simpliciter, dall'omessa adozione della misura di prevenzione dovuta - laddove non vi sia la prova, desumibile anche dalla sistematica sottovalutazione dei rischi, che l'omessa adozione delle cautele sia il frutto di una scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi di impresa, cioè di una specifica politica aziendale volta alla massimazione del profitto con un contenimento dei costi in materia di sicurezza a scapito della tutela della vita e della salute dei lavoratori, e risulti invece l’occasionalità della violazione delle norme antinfortunistiche, dovendosi escludere il requisito dell'interesse, deve essere rigorosamente provato quello del vantaggio, che può alternativamente consistere in un apprezzabile risparmio di spesa o in un, sempre apprezzabile, aumento della produttività, e la motivazione della sentenza che riconosca tale vantaggio deve dare adeguatamente conto delle prove, anche per presunzioni, dalle quali lo ha desunto - è insufficiente la motivazione circa la sussistenza del vantaggio derivato all'ente dall'omessa previsione e adozione delle cautele dovute sotto il profilo dell'asserito risparmio di spesa che non dia conto né delle ragioni per le quali, nonostante il ricorso da parte della società a un consulente per la predisposizione del DVRI, la previsione della misura omessa avrebbe comportato una spesa ulteriore, né dei costi per l'esecuzione delle misure omesse né della generale organizzazione dell’ente in materia di sicurezza del lavoro)
1 giugno 2021 (ud. 2 marzo 2021) n. 21522 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione IV penale* (lesioni gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro - il requisito dell'interesse dell'ente ricorre quando la persona fisica, pur non volendo il verificarsi dell'evento morte o lesioni del lavoratore, ha consapevolmente agito allo scopo di far conseguire un'utilità alla persona giuridica e ciò accade, per esempio, quando la mancata adozione delle cautele antinfortunistiche risulti essere l'esito non di una semplice sottovalutazione dei rischi o di una cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie ma di una scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi d'impresa - ricorre invece il requisito del vantaggio per l'ente quando la persona fisica, agendo per conto dell’ente, non volendo il verificarsi dell'evento morte o lesioni del lavoratore, ha violato sistematicamente le norme prevenzionali e, dunque, ha realizzato una politica d'impresa disattenta alla materia della sicurezza sul lavoro, consentendo una riduzione dei costi ed un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto - l’interesse alla massimizzazione del profitto è ravvisabile nella scelta dell’imprenditore di utilizzare un’apparecchiatura nel ciclo produttivo prima dell'intervento del collaudo definitivo, imprescindibile requisito di sicurezza, al fine di far fronte a crescenti ordinativi non altrimenti soddisfacibili - il vantaggio conseguito dall’azienda è ravvisabile nel risparmio dei necessari costi di formazione ed informazione dei dipendenti, nella riduzione dei tempi di lavorazione e nella riduzione degli investimenti per l'acquisto di strumenti cautelativi o per lo svolgimento di corsi di formazione dei dipendenti - la sottovalutazione sistematica dei rischi va considerata chiaro sintomo di scelte imprenditoriali volte ad ottenere risparmi sul costi a dispetto degli obblighi di sicurezza gravanti sull'imprenditore a tutela della salute dei lavoratori - agli effetti dell’applicazione della diminuente di cui all'art. 12, comma 2, lett. a) d.lgs. 231/2001 la locuzione ‘efficacemente adoperato' è riferita solo all'eliminazione delle conseguenze del reato e non all’integrale risarcimento del danno - a fronte di un risarcimento non integrale non possono dirsi verificate entrambe le condizioni di cui all'art. 12, comma 2, lett. a) d.lgs. 231/2001 - la condizione di cui alla lett. b) del comma 2 dell'art. 12 d.lgs. 231/2001 non è alternativa a quella di cui alla lett. a), dovendo essere entrambe integrate al fine del riconoscimento dell'attenuante)
7 aprile 2021 (ud. 15 ottobre 2020) n. 10748 - sentenza - Tribunale di Milano - sezione II penale in composizione collegiale* (illeciti di cui agli artt. 25-ter e 25-sexies del d.lgs. n. 231/01 dipendenti da delitti di false comunicazioni sociali e aggiotaggio - le fattispecie di cui all'art. 25-ter si pongono in continuità normativa con le fattispecie previste dalla disposizione prima della novella del 2005, in un rapporto di specie a genere giacché la precedente disciplina almeno formalmente limitava la responsabilità dell’ente alla sola ipotesi di perpetrazione del reato da parte di amministratori, direttori generali o liquidatori o da persone sottoposte alla loro vigilanza e nell'interesse della società, non anche a vantaggio - non rappresentano accorgimenti organizzativi concretamente idonei a prevenire il rischio criminoso i sistemi di regole interne della banca che, ancorché complessi, difettino delle puntuali previsioni del d.lgs. 231/2001 con particolare riguardo alla mappatura delle aree a rischio, alla predisposizione di specifici protocolli diretti alla prevenzione dei reati, agli indispensabili flussi informativi verso l’organismo di vigilanza e al sistema disciplinare - è da ritenere omessa o quantomeno insufficiente la vigilanza esercitata da un organismo che, pur composto di professionisti di elevato spessore e comprovata esperienza in materia di finanza aziendale, controllo contabile e vigilanza bancaria e pur munito di penetranti poteri di iniziativa e controllo, inclusa la facoltà di chiedere e acquisire informazioni da ogni livello e settore operativo della banca, sostanzialmente omette i dovuti accertamenti funzionali alla prevenzione dei reati, indisturbatamente reiterati, nonostante la rilevanza del tema contabile già colto nelle ispezioni di Banca d'Italia di cui l’organismo era a conoscenza e persino assurto a contestazione giudiziaria con l’incolpazione della banca - nel periodo d'interesse l’organismo di vigilanza ha assistito inerte agli accadimenti, limitandosi a insignificanti prese d'atto, nella vorticosa spirale degli eventi che un più accorto esercizio delle funzioni di controllo avrebbe certamente scongiurato)
5 febbraio 2021 (ud. 17 novembre 2020) n. 4482 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione IV penale* (lesioni colpose commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro - l'art. 25-septies del d.lgs. 231/2001 non richiede la natura sistematica delle violazioni alla normativa antinfortunistica per la configurabilità della responsabilità dell'ente derivante dai reati colposi ivi contemplati - l'interesse dell'ente ricorre quando la persona fisica, pur non volendo il verificarsi dell'evento morte o lesioni del lavoratore, ha consapevolmente agito allo scopo di far conseguire un'utilità alla persona giuridica e ciò accade, per esempio, quando la mancata adozione delle cautele antinfortunistiche risulti essere l'esito, non di una semplice sottovalutazione dei rischi o di una cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie, ma di una scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi d'impresa: pur non volendo (quale opzione dolosa) il verificarsi dell'infortunio in danno del lavoratore, l'autore del reato ha consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di soddisfare un interesse dell`ente (ad esempio, far ottenere alla società un risparmio sui costi in materia di prevenzione) - è eccentrico rispetto allo spirito della legge ritenere irrilevanti tutte quelle condotte, pur sorrette dalla intenzionalità, ma, in quanto episodiche e occasionali, non espressive di una politica aziendale di sistematica violazione delle regole cautelari - il carattere della sistematicità, peraltro, presenta in sé innegabili connotati di genericità: la ripetizione di più condotte, poste in essere in violazione di regole cautelari, potrebbe non essere ancora espressiva di un modo di essere dell’organizzazione e, quindi, di una sistematicità nell'atteggiamento anti doveroso - l'innegabile quoziente di genericità del concetto non consente neppure di stabilire, in termini sufficientemente precisi, quali comportamenti rilevino a tal fine (identici; analoghi; diversi, ma pur sempre consistenti in violazioni delle regole anti infortunistiche) - l’atteggiamento finalistico dell'agente fa parte della sua interna deliberazione e, come tale, va investigato, eventualmente anche alla stregua di una sistematicità dei comportamenti anti doverosi, che certamente sono espressivi di un modo di essere della organizzazione e che possono aver influenzato la determinazione del soggetto - il connotato della sistematicità appartiene ad un piano prettamente probatorio, quale possibile indizio della esistenza dell'elemento finalistico della condotta dell'agente, al tempo stesso scongiurando il rischio di far coincidere un modo di essere dell'impresa con l’atteggiamento soggettivo proprio della persona fisica - diversa è la rilevanza del connotato della sistematicità delle violazioni in termini di elemento probatorio della esistenza di una direzione finalistica della condotta del reo: il vantaggio è misurabile ex post e rileva ex se, laddove la prova dell'interesse, parametro eminentemente finalistico e da valutarsi ex ante, può certamente ricavarsi dalla dimostrata tendenza dell'ente alla trasgressione delle regole antinfortunistiche, finalizzata al contenimento dei costi di produzione o all'incremento dei profitti)
25 gennaio 2021 (ud. 21 ottobre 2020) n. 2848 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione IV penale* (lesioni colpose commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro - i due criteri d'imputazione dell'interesse e del vantaggio si pongono in rapporto di alternatività e, nei reati colposi d'evento, devono intendersi riferiti alla condotta e non all'esito antigiuridico - il concetto di "interesse" attiene ad una valutazione antecedente la commissione del reato presupposto, mentre il concetto di "vantaggio" implica l'effettivo conseguimento dello stesso a seguito della consumazione del reato, afferendo, pertanto, ad una valutazione ex post - in materia di responsabilità amministrativa con riguardo all’art. 25-septies d.lgs. 231/01, l'interesse e/o il vantaggio vanno letti, nella prospettiva patrimoniale dell'ente, come risparmio di risorse economiche conseguente alla mancata predisposizione dello strumentario di sicurezza ovvero come incremento economico conseguente all'aumento della produttività non ostacolata dal pedissequo rispetto della normativa prevenzionale - nei reati colposi, l'interesse e/o vantaggio si ricollegano al risparmio nelle spese che l'ente dovrebbe sostenere per l'adozione delle misure precauzionali ovvero nell'agevolazione dell'aumento di produttività che può derivare, per l'ente, dallo sveltimento dell'attività lavorativa, "favorita" dalla mancata osservanza della normativa cautelare, il cui rispetto, invece, ne avrebbe "rallentato" i tempi)
23 dicembre 2020 (ud. 18 novembre 2020) n. 37381 - sentenza - Corte di cassazione - sezione II penale* (la responsabilità da reato dell'ente deve essere esclusa qualora i soggetti indicati dall’art. 5, comma primo lett. a) e b) d.lgs. 231/2001 abbiano agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi in quanto ciò determina il venir meno dello schema di immedesimazione organica e l'illecito commesso, pur tornando a vantaggio dell'ente, non può più ritenersi come fatto suo proprio, ma un vantaggio fortuito, non attribuibile alla volontà della persona giuridica - l’interesse e il vantaggio degli enti provenienti dalla condotta dei loro legali rappresentanti sono ravvisabili quando la stessa creazione degli enti e le modalità con le quali a loro vantaggio sono effettuate operazioni fraudolente costituenti i reati di truffa aggravata e storni di somme individuate dai reati di malversazione ai danni dello Stato rientrano nel più vasto programma criminoso descritto a proposito del reato associativo contestato, che non avrebbe potuto realizzarsi se non attraverso le condotte illecite commesse dagli stessi legali rappresentanti ridondanti, in primo luogo, a favore degli enti e, poi, per loro tramite, anche a favore dei partecipi ed organizzatori del sodalizio)
26 ottobre 2020 (ud. 22 settembre 2020) n. 29584 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione IV penale* (lesioni personali colpose commesse con violazione delle norme sulla tutela della sicurezza sul lavoro - l'interesse dell'ente ricorre quando la persona fisica, pur non volendo il verificarsi dell'evento morte o lesioni del lavoratore, ha consapevolmente agito allo scopo di far conseguire un'utilità alla persona giuridica cioè, per esempio, quando la mancata adozione delle cautele antinfortunistiche risulti essere l'esito non di una semplice sottovalutazione dei rischi o di una cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie ma di una scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi d'impresa - è eccentrico rispetto allo spirito della legge ritenere irrilevanti tutte quelle condotte, pur sorrette dalla intenzionalità, ma, in quanto episodiche e occasionali, non espressive di una politica aziendale di sistematica violazione delle regole cautelari - la sistematicità della violazione delle regole cautelari può non essere ancora espressiva di un modo di essere dell'organizzazione e, quindi, di una sistematicità nell'atteggiamento anti doveroso ma può costituire indizio della esistenza dell'elemento finalistico della condotta dell'agente - la prova dell'interesse, parametro eminentemente finalistico e da valutarsi ex ante, può certamente ricavarsi dalla dimostrata tendenza dell'ente alla trasgressione delle regole antinfortunistiche, finalizzata al contenimento dei costi di produzione o all'incremento dei profitti, ma l'interesse può sussistere anche in relazione a una trasgressione isolata, allorché altre evidenze fattuali dimostrino tale collegamento finalistico, così neutralizzando il valore probatorio astrattamente riconoscibile al connotato della sistematicità)
16 aprile 2020 (ud. 15 gennaio 2020) n. 12278 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione VI penale* (prescrizione dell’illecito contestato all’ente - la prescrizione del reato presupposto successivamente alla contestazione all'ente dell'illecito non ne determina l'estinzione per il medesimo motivo giacché il relativo termine, una volta esercitata l'azione, rimane sospeso fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il procedimento nei confronti della persona giuridica - la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dell'ente, in quanto atto di contestazione dell'illecito, interrompe, per il solo fatto della sua emissione, la prescrizione e ne sospende il decorso dei termini fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio, ai sensi degli artt. 59 e 22, commi 2 e 4, del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231)
4 marzo 2020 (ud. 29 novembre 2019) n. 8785 - sentenza - Corte di cassazione - sezione III penale* (delitti di criminalità organizzata - associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati tributari - qualora si proceda per associazione per delinquere e per reati non previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità dell'ente collettivo, la rilevanza di questi ultimi non può essere indirettamente recuperata per il loro carattere di delitti scopo del reato associativo contestato - l’ente risponde non per i reati-fine non inclusi in quelli costituenti il presupposto della responsabilità amministrativa da reato bensì del reato associativo espressamente previsto all’art. 24-ter D.lgs. n. 231/2001 - la realizzazione del programma criminoso e degli illeciti effettivamente posti in essere viene in rilievo non al fine di valutare la responsabilità della persona giuridica per ciascuno di essi ma solo nei limiti in cui i medesimi abbiano apportato un vantaggio patrimoniale alla societas sceleris e dunque possano consentire di individuare il profitto conseguito ai fini della confisca, in tal caso non assumendo alcun rilievo che gli illeciti realizzati dai sodali non siano riconducibili ai reati-presupposto - anche in ipotesi di reato associativo è applicabile la confisca di quanto alla società derivi per il tramite dei reati fine - sono i singoli reati fine a generare materialmente le entrate ma queste si fanno profitto divisibile solo per il tramite della sovrastruttura costituita dall’associazione per delinquere ed il necessario passaggio dalle casse dell'associazione e dalle decisioni dei suoi vertici rende il profitto dei reati-fine il profitto proprio dell'associazione – il vantaggio patrimoniale derivante ex se dal reato associativo è suscettibile di essere oggetto di ablazione anche qualora i delitti-scopo non siano inclusi nei reati-presupposto - il delitto di associazione per delinquere è idoneo a generare un profitto che è sequestrabile ai fini della successiva confisca per equivalente in via del tutto autonoma rispetto a quello prodotto dai reati fine e che è costituito dal complesso dei vantaggi direttamente conseguenti dall’insieme di questi ultimi, siano essi attribuibili ad uno o più associati, anche non identificati, posto che l’istituzione della societas sceleris è funzionale alla ripartizione degli utili derivanti dalla realizzazione del programma criminoso - la circostanza che la società sia gestita da soggetto diverso dal legale rappresentante, mero prestanome, ed il potere gestorio sia esercitato dall’amministratore di fatto, estraneo all’ente, indica che la società ha natura fittizia ed è uno schermo utilizzato per porre in essere l’attività illecita, donde appare evidente la responsabilità dell’Ente per il reato associativo, dimostrando la etero-direzione della società in sé una mala gestio che integra la colpa organizzativa - a determinare l’inapplicabilità delle sanzioni interdittive non è sufficiente la sola predisposizione di un modello organizzativo idoneo alla prevenzione dei reati ma occorre ricorrano tutte le condizione richieste dall’art. 17 del d.lgs. 231/2001 cioè il risarcimento integrale del danno, la eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, l’eliminazione delle carenze organizzative che hanno agevolato la commissione del reato, l’adozione e l’attuazione dei modelli organizzativi idonei a prevenire i reati, la messa a disposizione del profitto conseguito illecitamente - pur avendo natura punitiva la confisca applicata a carico dell’ente non costituisce violazione del principio del ne bis in idem a fronte dell'irrogazione delle sanzioni in ambito tributario-amministrativo se il cumulo delle sanzioni risulta proporzionale alla gravità del fatto commesso in conformità ai principi di cui agli artt. 49, 50, 52 CDFUE e 4 Prot. n. 7 CEDU - in base al criterio di ammissibilità del doppio binario sanzionatorio “sufficiently close connection in substance and time”, la stretta connessione sostanziale e temporale tra i due procedimenti consente di escludere la illegittimità della sanzione cumulativa)
29 gennaio 2020 (ud. 7 novembre 2019) n. 3731 - sentenza - Corte di cassazione - sezione IV penale* (lesioni colpose gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro - i criteri di imputazione oggettiva della responsabilità dell’ente rappresentati dall’interesse o dal vantaggio sono alternativi e concorrenti tra loro in quanto il criterio dell'interesse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante cioè al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo mentre quello del vantaggio ha una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell'illecito - interesse e vantaggio non costituiscono un'endiadi essendo concetti giuridicamente diversi e potendosi ipotizzare un interesse prefigurato come discendente da un indebito arricchimento e magari non realizzato e invece un vantaggio obiettivamente conseguito tramite la commissione di un reato - in tema di responsabilità derivante da reati colposi di evento i criteri di imputazione oggettiva rappresentati dall’interesse o dal vantaggio devono essere riferiti alla condotta e non all'evento - nei reati colposi di evento il finalismo della condotta prevista dall’articolo 5 del d.lgs. 231 è compatibile con la non volontarietà dell'evento lesivo sempre che si accerti che la condotta che ha cagionato quest'ultimo sia stata determinata da scelte rispondenti all'interesse dell'ente o sia stata finalizzata all'ottenimento di un vantaggio per l'ente medesimo - il requisito dell'interesse dell'ente ricorre quando la persona fisica, pur non volendo il verificarsi dell'evento morte o lesioni del lavoratore, ha consapevolmente agito allo scopo di far conseguire un'utilità alla persona giuridica e ciò accade, per esempio, quando la mancata adozione delle cautele antinfortunistiche risulti essere l'esito non di una semplice sottovalutazione dei rischi o di una cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie ma di una scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi d'impresa: pur non volendo (quale opzione dolosa) il verificarsi dell'infortunio in danno del lavoratore, l'autore del reato ha consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di soddisfare un interesse dell'ente, ad esempio far ottenere alla società un risparmio sui costi in materia di prevenzione – ricorre il requisito del vantaggio per l'ente quando la persona fisica, agendo per conto dell'ente, non volendo il verificarsi dell'evento morte o lesioni del lavoratore, ha violato sistematicamente le norme prevenzionali e dunque ha realizzato una politica d'impresa disattenta alla materia della sicurezza sul lavoro, consentendo una riduzione dei costi ed un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto - la responsabilità dell'ente non può essere esclusa in considerazione dell'esiguità del vantaggio o della scarsa consistenza dell'interesse perseguito in quanto anche la mancata adozione di cautele comportanti limitati risparmi di spesa può essere causa di lesioni personali gravi - il risparmio in favore dell'impresa nel quale si concretizzano i criteri di imputazione oggettiva rappresentati dall'interesse e dal vantaggio può consistere anche nella sola riduzione dei tempi di lavorazione - fonti di risparmio di spesa sono anche il risparmio sui costi di consulenza, sugli interventi strumentali, sulle attività di formazione e di informazione del personale ovvero la velocizzazione degli interventi di manutenzione ed il risparmio sul materiale di scarto - costituisce vantaggio di spesa per l'ente il mancato decremento patrimoniale per l'utilizzo in più occasioni di un solo lavoratore non formato anziché di una coppia di lavoratori di cui uno formato - in tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica il giudice di merito, ove investito da specifica deduzione, deve procedere innanzitutto ad accertare l'esistenza o meno di un modello organizzativo e di gestione, quindi, ove il modello esista, deve verificare che lo stesso sia conforme alle norme ed infine deve accertare che esso sia stato efficacemente attuato o meno nell'ottica prevenzionale prima della commissione del fatto)
15 gennaio 2020 (ud. 1/10/2019) n. 1432 - sentenza - Corte di cassazione - sezione III penale* (in tema di responsabilità da reato delle persone giuridiche, la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dell’ente, in quanto atto di contestazione dell’illecito, interrompe, per il solo fatto della sua emissione, la prescrizione e ne sospende il decorso dei termini fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio, ai sensi degli artt. 59 e 22, commi 2 e 4, del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 - l’assoluzione per non aver commesso il fatto di una società, appellante per motivi non esclusivamente personali, non consente l’estensione della stessa decisione alla posizione di altra società non appellante - il principio previsto dall’art. 587 c.p.p. riguarda l’estensione, all’imputato non impugnante sul punto, degli effetti favorevoli derivanti dall’accoglimento del motivo di natura oggettiva dedotto dal coimputato, ma non implica l’estensione da un coimputato all’altro dei motivi di impugnazione, con conseguente dovere da parte del giudice di esaminarli)
9 dicembre 2019 (ud. 27 novembre 2019) n. 49775 - sentenza - Corte di cassazione - sezione IV penale*
(è inammissibile per difetto di interesse il ricorso per cassazione proposto dall'imputato avverso sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione emessa con riferimento a reato presupposto della responsabilità da reato degli enti non essendo configurabile un autonomo interesse dell'imputato neppure nel caso in cui dalla responsabilità dell'ente possano discendere conseguenze economiche indirette o riflesse per la sua posizione di socio o amministratore - in tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica i criteri di imputazione oggettiva rappresentati dall'interesse e dal vantaggio, da riferire entrambi alla condotta del soggetto agente e non all'evento, ricorrono, rispettivamente, il primo, quando l'autore del reato abbia violato la normativa cautelare con il consapevole intento di conseguire un risparmio di spesa per l'ente, indipendentemente dal suo effettivo raggiungimento, e, il secondo, qualora l'autore del reato abbia violato sistematicamente le norme antinfortunistiche, ricavandone oggettivamente un qualche vantaggio per l'ente, sotto forma di risparmio di spesa o di massimizzazione della produzione, indipendentemente dalla volontà di ottenere il vantaggio stesso - carenza motivazionale della sentenza di appello che non contenga alcuna argomentazione in merito all'interesse o vantaggio della società perseguito attraverso la condotta criminosa se non con un sommario rinvio alla motivazione della sentenza di primo grado che a propria volta però si limita a un breve accenno a un non meglio precisato risparmio sui tempi di lavoro e sulle spese)
2 dicembre 2019 (ud. 19 novembre 2019) n. 48779 - sentenza - Corte di cassazione - sezione IV penale* (lesioni colpose commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro - protratta sistematica violazione della normativa prevenzionistica a vantaggio dell'ente, che aveva comunque risparmiato i costi connessi alla mancata messa in opera della procedura lavorativa corretta, mentre la prassi pericolosa consentita e avallata realizzava di fatto un procedimento più snello e rapido che quindi accelerava i tempi di produzione - risparmio dei costi connessi ad un'adeguata attività di formazione ed informazione dei lavoratori - i concetti di interesse e vantaggio nei reati colposi d'evento vanno di necessità riferiti alla condotta e non all'esito antigiuridico - i termini "interesse" e "vantaggio" esprimono concetti giuridicamente diversi e possono essere alternativi - nei reati colposi d'evento il finalismo della condotta prevista dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 5, è compatibile con la non volontarietà dell'evento lesivo, sempre che si accerti che la condotta che ha cagionato quest'ultimo sia stata determinata da scelte rispondenti all'interesse dell'ente o sia stata finalizzata all'ottenimento di un vantaggio per l'ente medesimo - ricorre il requisito del vantaggio allorché la persona fisica, agendo per conto dell'ente, pur non volendo il verificarsi dell'evento morte o lesioni del lavoratore, ha violato sistematicamente le norme prevenzionistiche e, dunque, ha realizzato una politica d'impresa disattenta alla materia della sicurezza del lavoro, consentendo una riduzione dei costi ed un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto)
28 ottobre 2019 (ud. 24 settembre 2019) n. 43656 - sentenza - Corte di cassazione - sezione IV penale* (omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro - il finalismo della condotta prevista dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 5, è compatibile con la non volontarietà dell'evento lesivo, sempre che si accetti che la condotta che ha cagionato quest'ultimo sia stata determinata da scelte rispondenti all'interesse dell'ente o sia stata finalizzata all'ottenimento di un vantaggio per l'ente medesimo - ricorre il requisito dell'interesse quando la persona fisica ha consapevolmente agito allo scopo di conseguire un'utilità per la persona giuridica, ad esempio quando la mancata adozione delle cautele antinfortunistiche risulti essere l'esito non di una semplice sottovalutazione dei rischi o di una cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie ma di una scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi d'impresa -ricorre il requisito del vantaggio quando la persona fisica, agendo per conto dell'ente, ha violato sistematicamente le norme prevenzionistiche e, dunque, ha realizzato una politica d'impresa disattenta alla materia della sicurezza del lavoro, consentendo una riduzione dei costi ed un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto - sussiste l'interesse dell'ente nel caso in cui l'omessa predisposizione dei sistemi di sicurezza determini un risparmio di spesa mentre si configura il requisito del vantaggio qualora la mancata osservanza della normativa cautelare consenta un aumento della produttività - la responsabilità dell'ente non può essere esclusa in considerazione dell'esiguità del vantaggio o della scarsa consistenza dell'interesse perseguito, in quanto anche la mancata adozione di cautele comportanti limitati risparmi di spesa può essere causa di lesioni personali gravi - fonti di risparmio di spesa sono anche il risparmio sui costi di consulenza, sugli interventi strumentali, sulle attività di formazione e di informazione del personale ovvero la velocizzazione degli interventi di manutenzione ed il risparmio sul materiale di scarto - modello di organizzazione, gestione e controllo adottato dal consiglio di amministrazione prima dei fatti e nomina di un organismo di vigilanza - il piano operativo di sicurezza è cosa diversa dal modello di organizzazione, gestione e controllo - l’equazione "responsabilità penale della persona fisica datore di lavoro/preposto uguale responsabilità amministrativa dell'ente" trascura l'articolata disciplina posta dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001 - in tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica compete al giudice di merito, investito da specifica deduzione, accertare preliminarmente l'esistenza di un modello organizzativo e di gestione del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, ex articolo 6; poi, nell'evenienza che il modello esista, che lo stesso sia conforme alle norme; infine, che esso sia stato efficacemente attuato o meno nell'ottica prevenzionale, prima della commissione del fatto)
5 settembre 2019 (ud. 1 agosto 2019) n. 37120 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione feriale penale* (confisca di beni mobili ed immobili, somme di denaro, valori corrispondenti al profitto realizzato da ciascuno degli imputati - le operazioni di riciclaggio, così come quelle di reimpiego, ove abbiano ad oggetto somme di denaro assicurano il profitto del reato e non il profitto conseguito dall’autore del reato, rilevando tale profilo in diversa sede, che è rappresentato esattamente dal valore delle somme di denaro che siano state oggetto delle operazioni dirette ad ostacolare l’individuazione della provenienza delittuosa poiché, in assenza di quelle operazioni, dette somme sarebbero destinate ad essere sottratte definitivamente, in quanto provento del delitto presupposto rispetto al delitto di riciclaggio - dal momento che il riciclaggio ha per oggetto somme di denaro, il profitto del reato è l’intero ammontare delle somme che sono state "ripulite" attraverso le operazioni di riciclaggio compiute dall’imputato e il fatto che un imputato abbia goduto solo in parte del profitto del riciclaggio non cambia la sostanza delle cose, vale a dire che l’intera somma riciclata costituisca il profitto del reato, di cui l’imputato ha goduto in concorso con gli altri coimputati - l’esistenza di un autonomo provvedimento di sequestro che ha colpito i beni delle società, utilizzate dall’imputato per commettere le truffe aggravate poste a fondamento della confisca per equivalente, e dunque un patrimonio autonomo e separato da quello del ricorrente, non incide sull’operatività e sulla misura della confisca per equivalente che deve colpire il patrimonio personale dell’imputato, trattandosi di sanzione autonoma e differente rispetto alla confisca Decreto Legislativo n. 231 del 2001, ex articolo 53 - in tema di confisca per equivalente deve applicarsi il principio solidaristico che implica l’imputazione dell’intera azione e dell’effetto conseguente in capo a ciascun concorrente e pertanto, una volta perduta l’individualità storica del profitto illecito, la sua confisca e il sequestro preventivo ad essa finalizzato possono interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l'intera entità del profitto accertato, ma l’espropriazione non può essere duplicata o comunque eccedere nel quantum l’ammontare complessivo dello stesso)
8 luglio 2019 (ud. 28 maggio 2019) n. 29538 - sentenza - Corte di cassazione - sezione IV penale* (omicidio colposo derivante da violazione delle norme di prevenzione della sicurezza del lavoro - non viola il principio di correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza con conseguente modifica della res iudicanda la sentenza che ravvisa un interesse diverso da quello contestato nel capo d'imputazione senza pregiudizio per la possibilità di difesa dell'ente - è applicabile all’ente il principio secondo il quale la violazione dell’art. 521 c.p.p. non è configurabile qualora la diversa qualificazione giuridica appaia come uno dei possibili epiloghi decisori del giudizio, secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile, in relazione al quale l’imputato ed il suo difensore abbiano avuto nella fase di merito la possibilità di interloquire in ordine al contenuto dell'imputazione, anche attraverso l'ordinario rimedio dell'impugnazione e allorché nella contestazione, considerata nella sua interezza, siano rinvenibili gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza, poiché l'immutazione si verifica solo nel caso in cui tra i due episodi ricorra un rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale per essersi realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell'addebito nei confronti dell'imputato, posto, così, a sorpresa di fronte ad un fatto del tutto nuovo senza avere avuto nessuna possibilità d'effettiva difesa - la colpa di organizzazione deve intendersi in senso normativo ed è fondata sul rimprovero derivante dall'inottemperanza da parte dell'ente dell'obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione dei reati previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità del soggetto collettivo, dovendo tali accorgimenti essere consacrati in un documento che individua i rischi e delinea le misure atte a contrastarli - in relazione a reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica i criteri di imputazione oggettiva della responsabilità dell’ente vanno riferiti alla condotta del soggetto agente e non all'evento, in conformità alla diversa conformazione dell'illecito, essendo possibile che l'agente violi consapevolmente la cautela, o addirittura preveda l'evento che ne può derivare, pur senza volerlo, per corrispondere ad istanze funzionali a strategie dell'ente - il modello organizzativo adottato, sebbene conforme alle norme BS OHSAS 18001:2007, non può dirsi efficacemente attuato, come richiesto dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 6, comma 1, lettera a), quando, pur essendosi provveduto all'analisi dei rischi, l'istruzione operativa predisposta risulta incompleta rispetto all'attività effettivamente svolta dall’infortunato, quando manca un'attività di monitoraggio sulle misure prevenzionistiche approntate e di adeguamento della specifica procedura ai rischi propri dell'attività e quando si ravvisano carenze nelle attività di audit e ritardi nella esecuzione delle attività previste dall'Action Plan)
20 giugno 2019 (ud. 6 marzo 2019) n. 27542 - sentenza - Corte di cassazione - sezione II penale* (in tema di responsabilità degli enti, in presenza di una declaratoria di prescrizione del reato presupposto, il giudice, ai sensi dell’art. 8, comma primo, lett. b) D.Lgs. n. 231 del 2001, deve procedere all’accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l’illecito fu commesso - la richiesta di rinvio a giudizio della persona giuridica intervenuta entro cinque anni dalla consumazione del reato presupposto, in quanto atto di contestazione dell’illecito, interrompe il corso della prescrizione e lo sospende fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio - l’ente partecipa al procedimento penale con il proprio rappresentante legale, salvo che questi sia imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo - la partecipazione dell’ente al procedimento è subordinata alla sua costituzione in giudizio, vale a dire alla manifesta espressione della sua volontà di prendervi parte mediante una dichiarazione scritta che, a pena di inammissibilità, deve contenere specifiche indicazioni - l’art. 39, comma 1, del D.Lgs. 231 indica il rapporto di rappresentanza, ossia quello che deve legare l’ente ad un rappresentante legale per dare visibilità concreta ad un soggetto altrimenti non dotato della fisicità propria dell’imputato/indagato - l’ente, per mezzo del suo rappresentante legale, può scegliere se intenda o meno partecipare al procedimento ma nel primo caso è tenuto a seguire un percorso procedimentale inderogabile che è quello della costituzione mediante il deposito della dichiarazione: la quale è finalizzata a "presentare" l’ente ossia a far emergere elementi che sono certamente il frutto della sua autonomia negoziale consistenti nell’esplicitazione del nome del legale rappresentante, che non deve pero essere l'imputato del reato dal quale dipende l’illecito amministrativo, nell’indicazione del proprio difensore di fiducia e nell’attestazione del già avvenuto rilascio della procura ai sensi dell’art. 100, comma 1, cod. proc. pen. - la sanzione per le iniziative difensive in assenza della preventiva costituzione è quella dell’inammissibilità - tuttavia non devono imputarsi all’ente le conseguenze della mancata osservanza delle forme previste dalla legge quando si versi in una situazione in cui sarebbe impossibile rispettarle come avviene negli atti c.d. a sorpresa o comunque caratterizzati da rapidità e urgenza nella rispettiva esecuzione, con riferimento soprattutto alla fase iniziale del procedimento nella quale l’ente non ha avuto, a volte, neppure sentore della pendenza delle indagini a proprio carico o comunque lo ha avuto in termini tali da non consentirgli di fatto il ricorso alla procedura ex art. 39 in tempo utile per l’esercizio delle facoltà di reazione sicché in tali casi la nomina del difensore di fiducia da parte del legale rappresentante dell’ente, secondo il disposto dell’art. 96 cod. proc. pen., abilita quello al pieno esercizio delle facoltà descritte dalle norme di volta in volta considerate e in linea di principio, anche alle ulteriori e connesse iniziative nell’interesse dell’ente quali l’attivazione delle procedure di impugnazione cautelare)
6 maggio 2019 (ud. 24 gennaio 2019) n. 18842 - sentenza – Corte di cassazione - sezione III penale* (in tema di responsabilità delle persone giuridiche, che configura una sorta di tertium genus di responsabilità compatibile con i principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza, una volta accertata la commissione di determinati reati da parte delle persone fisiche che esercitano funzioni apicali, i quali abbiano agito nell’interesse o a vantaggio delle società, incombe sui predetti enti l’onere, con effetti liberatori, di dimostrare di aver adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione dei reato, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi - la colpa di organizzazione, da intendersi in senso normativo, è fondata, nel sistema introdotto dal d.lgs. n. 231 del 2001, sul rimprovero derivante dall’inottemperanza da parte dell’ente dell’obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione dei reati previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità del soggetto collettivo, dovendo tali accorgimenti essere consacrati in un documento che individua i rischi e delinea le misure atte a contrastarli)
8 aprile 2019 (c.c. 26 febbraio 2019) n. 15329 - sentenza - Corte di cassazione - sezione VI penale* (in tema di responsabilità da reato degli enti il rappresentante legale incompatibile in quanto indagato non può provvedere alla nomina del difensore di fiducia nell’interesse dell’ente ostandovi il generale e assoluto divieto di rappresentanza posto dall’art. 39 d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 - durante le indagini preliminari si impone l’applicazione dell’art. 369-bis cod. proc. pen., norma compatibile con la disciplina del d.lgs. n. 231 del 2001, per cui il pubblico ministero, sin dal primo atto cui il difensore ha diritto di assistere, deve provvedere alla nomina del difensore d’ufficio, il quale può esercitare tutte le prerogative difensive a favore dell’ente, ad eccezione di quelle rientranti nella categoria degli atti c.d. personalissimi e analogamente avviene in ipotesi di applicazione di una misura cautelare di cui agli artt. 45 e ss, d.lgs. 231, nel corso delle indagini preliminari nei confronti dell’ente, tenuto conto che l’art. 47, comma 2, d.lgs. 231 impone, qualora la richiesta non sia stata presentata in udienza, il previo avviso della fissazione dell’udienza camerale al P.M., all’ente ed al difensore, così rendendosi necessaria la nomina di un difensore d’ufficio, la comunicazione dell’udienza ed il previo deposito degli atti rispetto all’udienza camerale fissata per deliberare in ordine alla richiesta formulata dal P.M. – l’omessa nomina di un difensore d’ufficio a fronte della nomina del difensore di fiducia da ritenersi inesistente in quanto effettuata dal rappresentante legale incompatibile in quanto indagato, comporta la nullità di tutti gli atti successivi con conseguente violazione, a mente dell’art. 178, lett. c), cod. proc. pen., del diritto di difesa tempestivamente eccepito nella prima occasione utile nell’ambito del procedimento dinanzi al Tribunale del riesame)
6 dicembre 2018 (ud. 25 settembre 2018) n. 54640 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione VI penale* (il sistema di attribuzione della responsabilità dell’ente si fonda sulla concreta riconducibilità del fatto alla sfera di operatività e interesse dell'ente e ad un profilo di immedesimazione della responsabilità la quale può essere esclusa solo nel caso di preventiva adozione di idonei modelli organizzativi cui sia correlato un proficuo e mirato sistema di prevenzione - nel caso di reato commesso da soggetto apicale la mancata adozione è di per sé bastevole al fine di suffragare la responsabilità dell'ente - nel caso di soggetto non apicale la circostanza che l'adozione del modello organizzativo valga ad escludere ai sensi dell'articolo 7 del d.lgs. 231/2001 la responsabilità dell'ente implica che in tale ipotesi il legislatore abbia ritenuto non addebitabile all'ente un profilo di colpa di organizzazione tale da rendere ravvisabile un'effettiva immedesimazione della responsabilità dovendosi quindi considerare il reato come estraneo alla sfera di operatività e concreta interferenza dell'ente - in assenza di un modello organizzativo idoneo la colpa di organizzazione risulta comunque sottesa ad un deficit di direzione o vigilanza incentrata su un sistema di regole cautelari che abbia in concreto propiziato il reato - occorre che l'assetto organizzativo risulti comunque in grado di assicurare un'azione preventiva con la conseguenza che solo il concreto ed effettivo esercizio di un mirato potere di direzione e controllo può valere a scongiurare la responsabilità, in questo senso dovendosi intendere il riferimento contenuto nell'articolo 7 all'inosservanza dei doveri di direzione e vigilanza connaturati all'esigenza preventiva - nel caso di mancata adozione di modelli organizzativi i presupposti della responsabilità dell'ente, a seconda che si tratti o meno di soggetto apicale, differiscono solo alla condizione che sia concretamente attestato un assetto ispirato da regole cautelari destinato comunque ad assicurare quell'azione preventiva, in tal caso essendo necessario provare che il fatto sia stato propiziato dall'inosservanza nel caso concreto della necessaria azione di direzione o vigilanza – qualora non risultino specificamente dedotti assetti incentrati sul concreto svolgimento di quell'azione, da qualificarsi nondimeno come necessaria non può dirsi occorrente, al fine di attestare la responsabilità dell'ente, una prova specifica ulteriore, avente ad oggetto la dimostrazione di una regola cautelare rimasta inosservata - la mancata previsione di un assetto connotato dall'attribuzione di mirati poteri e doveri e in grado di esercitare un'azione preventiva non può tradursi in una condizione di privilegio sotto il profilo probatorio ma implica che gli obblighi di direzione e vigilanza siano rimasti inosservati essendo da ciò derivata la commissione del reato da parte del soggetto non apicale - anche con riguardo alla responsabilità degli enti il parametro di valutazione ai fini della verifica della correlazione tra contestazione e sentenza non può che essere quello del rispetto del diritto di difesa che deve essere garantito sia sotto il profilo dell'analisi critica sia sotto quello della facoltà di prova - a fronte di una contestazione incentrata sul ruolo apicale associato alla mancata adozione di modelli organizzativi, la responsabilità dell'ente può essere affermata sulla base della diversa qualificazione del ruolo attribuibile al soggetto responsabile e sulla base del rilievo del mancato svolgimento di una concreta e mirata azione preventiva, correlata al catalogo normativo dei reati, al di là dell'astratto potere di controllo affidato al soggetto apicale)
14 novembre 2018 (c.c. 27 settembre 2018) n. 51515 - sentenza - Corte di cassazione - sezione unite penali* (l'appello avverso una misura interdittiva, che nelle more sia stata revocata a seguito delle condotte riparatorie ex art. 17 d.lgs. n. 231 del 2001, poste in essere dalla società indagata, non può essere dichiarato inammissibile de piano, secondo la procedura prevista dall'art. 127, comma 9, ma, considerando che la revoca può implicare valutazioni di ordine discrezionale, deve essere deciso nell'udienza camerale e nel contraddittorio delle parti, previamente avvisate - la revoca della misura interdittiva disposta a seguito di condotte riparatorie poste in essere ex art. 17 d. lgs. 231 del 2001, intervenuta nelle more dell'appello cautelare proposto nell'interesse della società indagata, non determina automaticamente la sopravvenuta carenza di interesse all'impugnazione)
20 luglio 2018 (ud. 10 luglio 2018) n. 34293 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione II penale* (in tema di responsabilità dipendente da reato degli enti e persone giuridiche è ammissibile il sequestro impeditivo di cui al comma primo dell'articolo 321 c.p.p. non essendovi totale sovrapposizione e quindi alcuna incompatibilità di natura logica-giuridica fra il suddetto sequestro e le misure interdittive - per il sequestro preventivo dei beni di cui è obbligatoria la confisca, eventualmente anche per equivalente, e quindi, secondo il disposto del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 19, dei beni che costituiscono prezzo e profitto del reato, non occorre la prova della sussistenza degli indizi di colpevolezza, né la loro gravità, né il "periculum" richiesto per il sequestro preventivo di cui all'articolo 321 c.p.p., comma 1, essendo sufficiente accertarne la confiscabilità una volta che sia astrattamente possibile sussumere il fatto in una determinata ipotesi di reato - il profitto del reato oggetto della confisca diretta di cui al Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 19, si identifica non soltanto con i beni appresi per effetto diretto ed immediato dell'illecito, ma anche con ogni altra utilità che sia conseguenza, anche indiretta o mediata, dell'attività criminosa, come ad es. il risparmio di spesa che si concreta nella mancata adozione di qualche oneroso accorgimento di natura cautelare o nello svolgimento di una attività in una condizione che risulta economicamente favorevole, anche se meno sicura di quanto dovuto - per reato contratto deve intendersi quel reato che tale possa essere definito per effetto della semplice stipula di un contratto e, quindi, a prescindere dalla sua esecuzione, in quanto si verifica un'immedesimazione del reato col negozio giuridico che ne risulta integralmente contaminato da illiceità: pertanto, poiché il relativo profitto è conseguenza immediata e diretta della suddetta illiceità, esso è assoggettabile totalmente a confisca - per reato in contratto s'intende, invece, quel reato in cui il comportamento penalmente rilevante non coincide con la stipulazione del contratto in sé, ma va ad incidere unicamente sulla fase di formazione della volontà contrattuale o su quella di esecuzione del programma negoziale: in tali casi, poiché il contratto è lecito e valido inter partes (ed eventualmente solo annullabile ex articoli 1418 e 1439 c.c.), occorre verificare se il profitto che ne ha tratto l'agente sia o meno ricollegabile alla condotta criminosa in quanto, solo nel primo caso, il profitto è confiscabile e non nelle ipotesi in cui sia il frutto di una prestazione lecita eseguita in favore della controparte - ove ci si trovi di fronte ad un reato in contratto, il profitto (confiscabile) dev'essere commisurato alla differenza fra l'intero valore del contratto e l'utilità effettivamente conseguita dalla controparte, ossia calcolato al netto dell'effettiva utilità eventualmente conseguita dal danneggiato dal reato)
7 giugno 2018 (c.c. 4 maggio 2018) n. 25980 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione II penale* (sequestro preventivo finalizzato alla confisca anche per equivalente del profitto del reato - truffa in danno delle comunità europee - il profitto del reato oggetto della confisca si identifica con il vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato presupposto ma, nel caso in cui questo venga consumato nell'ambito di un rapporto sinallagmatico, non può essere considerato tale anche l'utilità eventualmente conseguita dal danneggiato in ragione dell'esecuzione da parte dell'ente delle prestazioni che il contratto gli impone - il contratto stipulato in violazione di norme penali è nullo se la norma violata ha ad oggetto la stessa stipula del contratto (reato contratto), mentre è efficace, ancorché annullabile, se la norma violata è sì imperativa ma attiene al comportamento dei contraenti, che può al più essere fonte di responsabilità - nel caso di reato-contratto il profitto confiscabile è costituito dal ricavo lordo - nel caso di reati in contratto a prestazioni corrispettive, il profitto viene identificato con il vantaggio economico derivato dal reato al netto dell'effettiva utilità eventualmente conseguita dal danneggiato, nell'ambito del rapporto sinallagmatico con l' ente - la confisca per equivalente ed il relativo sequestro preventivo, nei cosiddetti «reati-contratto», possono avere ad oggetto l'intero prezzo del reato, senza necessità di distinzione tra questo ed il - il profitto del reato previsto dall'art. 640-bis cod. pen., ai fini dell'applicazione della confisca per equivalente, coincide con l'intero ammontare del finanziamento qualora il rapporto contrattuale non si sarebbe perfezionato ed il progetto non sarebbe stato approvato senza le caratteristiche falsamente attestate dal percettore mentre corrisponde alla maggiore quota dei fondi non dovuti nel caso in cui siano rappresentati dal beneficiario operazioni o costi riportati in fatture o relazioni ideologicamente false - ciò che rileva è l'incidenza dell'artifizio e raggiro nella fase genetica della procedura d'ammissione alle agevolazioni economiche ovvero nella fase esecutiva)
7 giugno 2018 (c.c. 4 maggio 2018) n. 25979 - sentenza - Corte di cassazione - sezione II penale* (sequestro preventivo finalizzato alla confisca, diretta o per equivalente, di denaro, beni o altre utilità costituenti profitto di reato di estorsione e autoriciclaggio - integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, approfittando della situazione del mercato del lavoro a lui favorevole per la prevalenza dell'offerta sulla domanda, costringe i lavoratori, con la minaccia larvata di licenziamento, ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate, in particolare consentendo a sottoscrivere buste paga attestanti il pagamento di somme maggiori rispetto a quelle effettivamente versate - ai fini dell'integrazione del reato di autoriciclaggio è necessario che la condotta sia dotata di particolare capacità dissimulatoria, sia cioè idonea a provare che l'autore del delitto presupposto abbia effettivamente voluto attuare un impiego finalizzato ad occultare l'origine illecita del denaro o dei beni oggetto del profitto sicché rilevano penalmente tutte le condotte di sostituzione che avvengano attraverso la reimmissione nel circuito economico-finanziario ovvero imprenditoriale del denaro o dei beni di provenienza illecita, finalizzate a conseguire un concreto effetto dissimulatorio che sostanzia il quid pluris che differenzia la condotta di godimento personale, insuscettibile di sanzione, dall'occultamento del profitto illecito, penalmente rilevante)
16 aprile 2018 (ud. 13 settembre 2017) n. 16713 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione IV penale* (i concetti di interesse e vantaggio nei reati colposi d'evento vanno di necessità riferiti alla condotta e non all'esito antigiuridico - nei reati colposi l'interesse/vantaggio si ricollegano al risparmio nelle spese che l'ente dovrebbe sostenere per l'adozione delle misure precauzionali ovvero nell'agevolazione sub specie dell'aumento di produttività che ne può derivare sempre per l'ente dallo sveltimento dell'attività lavorativa favorita dalla mancata osservanza della normativa cautelare, il cui rispetto, invece, tale attività avrebbe rallentato quantomeno nei tempi - il concetto di "interesse" attiene ad una valutazione antecedente alla commissione del reato presupposto, mentre il concetto di "vantaggio" implica l'effettivo conseguimento dello stesso a seguito della consumazione del reato e, dunque, una valutazione ex post - nei reati colposi d'evento, il finalismo della condotta prevista dall'art. 5 d.lgs. n. 231/2001 è compatibile con la non volontarietà dell'evento lesivo, sempre che si accerti che la condotta che ha cagionato quest'ultimo sia stata determinata da scelte rispondenti all'interesse dell'ente o sia stata finalizzata all'ottenimento di un vantaggio per l'ente medesimo. Ricorre il requisito dell'interesse quando la persona fisica, pur non volendo il verificarsi dell'evento morte o lesioni del lavoratore, ha consapevolmente agito allo scopo di conseguire un'utilità per la persona giuridica; ciò accade, ad esempio, quando la mancata adozione delle cautele antinfortunistiche risulti essere l'esito (non di una semplice sottovalutazione dei rischi o di una cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie, ma) di una scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi d'impresa: pur non volendo il verificarsi dell'infortunio a danno del lavoratore, l'autore del reato ha consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di soddisfare un interesse dell'ente (ad esempio far ottenere alla società un risparmio sui costi in materia di prevenzione) - ricorre il requisito del vantaggio quando la persona fisica, agendo per conto dell'ente, pur non volendo il verificarsi dell'evento morte o lesioni del lavoratore, ha violato sistematicamente le norme prevenzionistiche e, dunque, ha realizzato una politica d'impresa disattenta alla materia della sicurezza del lavoro, consentendo una riduzione dei costi ed un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto - il criterio del vantaggio, così inteso, appare indubbiamente quello più idoneo a fungere da collegamento tra l'ente e l'illecito commesso dai suoi organi apicali ovvero dai dipendenti sottoposti alla direzione o vigilanza dei primi - occorre, perciò, accertare in concreto le modalità del fatto e verificare se la violazione della normativa in materia di sicurezza o igiene del lavoro, che ha determinato l'infortunio, rispondesse ex ante ad un interesse della società o abbia consentito alla stessa di conseguire un vantaggio)
28 febbraio 2018 (c.c. 17 novembre 2017) n. 9072 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione II penale* (in tema di responsabilità degli enti, in presenza di una sentenza di applicazione della particolare tenuità del fatto, nei confronti della persona fisica responsabile della commissione del reato, il giudice deve procedere all'accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio il reato fu commesso; accertamento di responsabilità che non può prescindere da una opportuna verifica della sussistenza in concreto del fatto reato, in quanto l'applicazione dell'art. 131 bis, cod. pen. non esclude la responsabilità dell'ente, in via astratta, ma la stessa deve essere accertata effettivamente in concreto; non potendosi utilizzare, allo scopo, automaticamente la decisione di applicazione della particolare tenuità del fatto, emessa nei confronti della persona fisica)
27 febbraio 2018 (c.c. 31 gennaio 2018) n. 9047 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione VI penale* (il canale del whistleblowing realizza un sistema che garantisce la riservatezza del segnalante nel senso che il dipendente che utilizza una casella di posta elettronica interna al fine di segnalare eventuali abusi non ha necessità di firmarsi, ma il soggetto effettua la segnalazione attraverso le proprie credenziali ed è quindi individuabile seppure protetto - secondo la formulazione originaria dell'art. 54 bis del d.lgs. 165/2001 l'anonimato del denunciante (che, in realtà, è solo riserbo sulle generalità) opera unicamente in ambito disciplinare, essendo peraltro subordinato al fatto che la contestazione sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione, giacché, ove detta contestazione si basi, in tutto o in parte, sulla segnalazione stessa, l'identità può essere rivelata ove la sua conoscenza sia assolutamente indispensabile per la difesa dell'incolpato - in caso di utilizzo della segnalazione in ambito penale, non vi è alcuno spazio per l'anonimato (rectius: per il riserbo sulle generalità) - secondo la formulazione originaria del comma 1 dell'art. 54 bis del d.lgs. 165/2001 sono fatte salve le ordinarie previsioni di legge per il caso che la denuncia integri gli estremi dei reati di calunnia o diffamazione, ovvero ancora sia fonte di responsabilità civile, ai sensi dell'art. 2043 cod. civ. - la modifica dell’art. 54 bis ad opera della legge 30/11/2017 n. 179 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 14.12.2017) precisa espressamente e con disciplina più puntuale che nell'ambito del procedimento penale l'identità del segnalante è coperta dal segreto nei modi e nei limiti previsti dall'articolo 329 del codice di procedura penale)
19 gennaio 2018 (ud. 5 dicembre 2017) n. 2364 – sentenza - Corte di Cassazione - sezione IV penale* (inammissibilità dell'opposizione a decreto di condanna non contenente l'informazione di garanzia proposta dal difensore di fiducia della società per difetto di atto di costituzione ai sensi del decreto legislativo n. 231/2001, articolo 39, comma 2, e sul rilievo che la procura speciale era stata conferita al solo fine di proporre opposizione ex articolo 461 c.p.p. e non di costituirsi nel processo - il difensore di fiducia dell'ente munito di procura conserva tutte le facoltà connesse con il mandato solo prima della costituzione dell'ente, per l'espletamento dei diritti correlati alle attività della parte pubblica che si presentino col carattere della imprevedibilità e della urgenza, la legittimazione di quel difensore essendo naturalmente destinata ad essere validata dalla successiva costituzione dell'ente che confermi, nella relativa dichiarazione, la sua nomina - in tutti i frangenti e i segmenti procedimentali che invece seguono l'informazione di garanzia contenente l'avvertimento della necessità della costituzione per partecipare al procedimento, il mancato esercizio di tale onere deve essere ritenuto come una precisa opzione processuale che vale a incidere negativamente, travolgendola ex lege, anche sulla legittimazione del difensore di fiducia, i cui poteri restano incapaci di produrre effetti procedimentali, con il conseguente subentro di quelli del difensore di ufficio - la richiesta di emissione di decreto che applica la sanzione pecuniaria all'ente deve ritenersi atto interruttivo della prescrizione ai sensi del decreto legislativo n. 231 del 2001 articolo 22 in quanto contiene la contestazione dell'illecito amministrativo a norma dell'articolo 59, norma che rinvia, infatti, direttamente all'articolo 405 cod. proc. pen., che riguarda per l'appunto gli atti d'esercizio dell'azione penale - ai fini dell’interruzione della prescrizione è irrilevante la data della notificazione del decreto e pure la circostanza che l'atto non sia mai stato notificato o venga successivamente revocato)
16 gennaio 2018 (ud. 14 settembre 2017) n. 1754 – sentenza - Corte di Cassazione - sezione VI penale* (il profitto del reato deve comunque corrispondere a un mutamento materiale, attuale e di segno positivo della situazione patrimoniale del suo beneficiario ingenerato dal reato attraverso la creazione, trasformazione o l'acquisizione di cose suscettibili di valutazione economica - non costituisce profitto del reato un qualsivoglia vantaggio che, pur derivante dal reato, tuttavia sia futuro, sperato, eventuale, solo possibile, immateriale o non ancora materializzato in termini strettamente economico-patrimoniali - il profitto non coincide con una mera aspettativa di fatto, con una mera "chance", salvo che questa, in quanto fondata su circostanze specifiche, non presenti caratteri di concretezza ed effettività tale da costituire essa stessa una entità patrimoniale a sé stante, autonoma, giuridicamente ed economicamente suscettibile di valutazione in relazione alla sua proiezione sulla sfera patrimoniale del soggetto - la mera possibilità per la società di partecipare in futuro a gare di appalto o di essere inserita negli elenchi dei soggetti contrattisti non costituisce un vantaggio concreto valutabile in relazione alla sfera patrimoniale del soggetto e nemmeno una "chance" autonomamente qualificabile in termini di entità patrimoniale automa e quindi di profitto)
9 gennaio 2018 (ud. 5 ottobre 2017) n. 295 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione II penale* (i due criteri d'imputazione dell'interesse e del vantaggio si pongono in rapporto di alternatività, come confermato dalla congiunzione disgiuntiva "o", presente nel testo della disposizione - il criterio dell'interesse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante, al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo in relazione all'elemento psicologico della specifica persona fisica autore dell'illecito - il criterio del vantaggio ha, invece, una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell'illecito ed indipendentemente dalla finalizzazione originaria del reato - l'accertamento di un esclusivo interesse dell'autore del reato o di terzi alla sua consumazione impedisce di chiamare l'ente a rispondere dell'illecito amministrativo ma ciò non significa che il criterio del vantaggio perda automaticamente di significato - ai fini della configurabilità della responsabilità dell'ente è sufficiente che venga provato che lo stesso abbia ricavato dal reato un vantaggio, anche quando non è stato possibile determinare l'effettivo interesse vantato ex ante alla consumazione dell'illecito e purché non sia contestualmente stato accertato che quest'ultimo sia stato commesso nell'esclusivo interesse del suo autore persona fisica o di terzi – la nozione di interesse accolta nel primo comma dell'art. 5 del d.lgs. 231/2001 ha una dimensione non propriamente od esclusivamente soggettiva che determinerebbe una deriva psicologica nell'accertamento della fattispecie - la legge non richieda necessariamente che l'autore del reato abbia voluto perseguire l'interesse dell'ente perché sia configurabile la responsabilità di quest'ultimo ne' è richiesto che lo stesso sia stato anche solo consapevole di realizzare tale interesse attraverso la propria condotta - l'interesse dell'autore del reato può coincidere con quello dell'ente (rectius: la volontà dell'agente può essere quella di conseguire l'interesse dell'ente) ma la responsabilità dello stesso sussiste anche quando, perseguendo il proprio autonomo interesse, l'agente obiettivamente realizzi (rectius: la sua condotta illecita appaia ex ante in grado di realizzare, giacché rimane irrilevante che lo stesso effettivamente venga conseguito) anche quello dell'ente - perché possa ascriversi all'ente la responsabilità per il reato è sufficiente che la condotta dell'autore di quest'ultimo tenda oggettivamente e concretamente a realizzare, nella prospettiva del soggetto collettivo, anche l'interesse del medesimo - l'interesse esclusivo dell'agente che ha commesso il reato presupposto va individuato nei fatti illeciti posti in essere nel loro interesse esclusivo, per un fine personalissimo o di terzi ovverosia con condotte estranee alla politica di impresa - le condotte dell'agente poste in essere nell'interesse dell'ente sono quelle che rientrano nella politica societaria ossia tutte quelle condotte che trovano una spiegazione ed una causa nella vita societaria)
13 settembre 2017 (ud. 22 giugno 2017) n. 41768 - sentenza - Corte di Cassazione sezione VI penale* (il giudice penale competente a conoscere gli illeciti amministrativi dell'ente è il medesimo giudice penale competente per i reati dai quali gli stessi dipendono anche se la sua competenza in relazione a questi ultimi discende dall'applicazione delle regole di connessione - la previsione della separazione dei procedimenti quando l'osservanza delle disposizioni processuali lo rende necessario non può incidere sulle regole in tema di competenza - l'indicazione dell'ente originariamente responsabile è sufficiente ai fini di una compiuta descrizione dell'addebito mentre in relazione agli enti subentranti rileva solo la corretta instaurazione del contraddittorio attraverso una regolare citazione a giudizio contenente le ragioni da cui inferire il titolo di responsabilità - i risultati desumibili dalle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni ordinate per il reato presupposto sono comunque utilizzabili anche per accertare la responsabilità dell'ente ed anche se il procedimento relativo a quest'ultimo sia stato formalmente separato per vicende successive - l'utilizzabilità delle intercettazioni non è preclusa dalla posteriorità dell'annotazione del procedimento nei confronti degli enti rispetto al compimento delle operazioni di captazione - la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dell'ente in quanto atto di contestazione dell'illecito interrompe la prescrizione e ne sospende il decorso dei termini fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio - l'estinzione per prescrizione del reato impedisce unicamente all'accusa di procedere alla contestazione dell'illecito amministrativo ma non impedisce invece di portare avanti il procedimento già incardinato - è manifestatamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 22 d.lgs. n. 231 del 2001 per asserito contrasto con gli artt. 3, 24, secondo comma, e 111 Cost., in relazione alla presunta irragionevolezza della disciplina della prescrizione prevista per gli illeciti commessi dall'ente-imputato rispetto a quella prevista per gli imputati-persone fisiche - i modelli aziendali ISO UNI EN ISO 9001 non possono essere ritenuti equivalenti ai modelli richiesti dal d.lgs. n. 231 del 2001 - la regola della prevalenza del rilievo della causa estintiva del reato su quello concernente un vizio di motivazione o una nullità, salvo che non risulti evidente la prova dell'innocenza dell'imputato, resta ferma nei confronti degli imputati persone fisiche anche per le ipotesi in cui i reati dichiarati estinti per prescrizione costituiscano il presupposto della responsabilità amministrativa di un ente a norma del d.lgs. n. 231 del 2001, almeno quando a carico di detti imputati non vi siano statuizioni civili - non è ravvisabile una diversità di interesse giuridicamente apprezzabile a proporre impugnazione agli effetti penali in capo all'imputato persona fisica destinatario di sentenza di prescrizione secondo che la pronuncia attenga o non attenga a reati presupposto per la responsabilità amministrativa di un ente - all'ente dichiarato responsabile non si applichi la regola di cui all'art. 129, comma 2, cod. proc. pen. in caso di prescrizione del reato - la disciplina prevista dall'art. 129, comma 2, cod. proc. pen. è inapplicabile alla persona giuridica in caso di prescrizione del reato che si verifichi dopo la contestazione dell'illecito all'ente e di conseguenza non è precluso all'ente di proporre proprie ed autonome doglianze anche contro le parti della sentenza che affermano la sussistenza del reato presupposto nè alla impugnazione del medesimo potrà opporsi la regola della prevalenza della causa estintiva del reato sul vizio di motivazione o sulla nullità implicanti annullamento con rinvio per nuovo giudizio - l'unico soggetto legittimato ad impugnare il capo della sentenza relativo all'affermazione di responsabilità amministrativa dell'ente è solo quest'ultimo anche quando l'imputato persona fisica autore del reato sia anche rappresentante legale e insieme socio della persona giuridica)
24 febbraio 2017 (ud. 12 gennaio 2017) n. 9132 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione III penale* (reati ambientali - la responsabilità degli amministratori in materia di gestione dei rifiuti deriva non solo dai principi fissati dall'art. 178, d.lgs. n. 152 del 2006, che fa carico a tutti i soggetti a qualsiasi titolo coinvolti nella produzione, distribuzione, utilizzo e consumo di beni da cui originano i rifiuti del dovere di cooperare nella gestione del ciclo dei rifiuti ma più direttamente dal fatto che titolare dell'attività è la persona giuridica da essi rappresentata definita come produttore del prodotto e/o comunque detentore del rifiuto ai sensi dell'art. 183, comma 1, lett. g) e h), d.lgs. n. 152 del 2006 - le dimensioni dell'impresa non costituiscono condizione necessaria per l'esercizio della delega - proprio perché la legge costituisce la persona giuridica direttamente responsabile della gestione del ciclo del rifiuto da essa trattato, per attribuirsi rilevanza penale all'istituto della delega di funzioni, è necessario che a) la delega sia puntuale ed espressa, con esclusione in capo al delegante di poteri residuali di tipo discrezionale; b) il delegato sia tecnicamente idoneo e professionalmente qualificato per lo svolgimento del compito affidatogli; c) la delega riguardi non solo le funzioni ma anche i correlativi poteri decisionali e di spesa; d) l'esistenza della delega sia giudizialmente provata in modo certo - la mancanza di idonee deleghe di funzioni è fatto che di per sé prova la mancanza di un efficace modello organizzativo adeguato a prevenire la consumazione del reato da parte dei vertici societari)
28 ottobre 2016 (ud. 8 giugno 2016) n. 45472 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione III penale* (nel procedimento di applicazione di pena su richiesta, le parti non possono vincolare il giudice con un accordo avente ad oggetto anche le pene accessorie, le misure di sicurezza o la confisca, essendo dette misure fuori dalla loro disponibilità – pertanto, nel caso in cui il consenso si riferisca anche ad esse, il giudice non è obbligato a recepire o non recepire per intero l'accordo, rimanendo vincolato soltanto ai punti concordati riguardanti elementi nella disponibilità delle parti – tuttavia, poiché le sanzioni interdittive sono "sanzioni principali", non già "accessorie", come altresì desumibile dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 14, che ne definisce i criteri di commisurazione e di scelta, richiamando il corrispondente articolo 11 sulle sanzioni pecuniarie, esse devono essere oggetto di un espresso accordo processuale tra le parti in ordine al "tipo" e alla "durata" – le sanzioni pecuniarie, interdittive e della confisca hanno natura "principale" ma la confisca è sottratta alla disponibilità delle parti nella formulazione dell'accordo nel procedimento di applicazione di pena su richiesta ex Decreto Legislativo n. 231 del 2001 – la sottrazione della confisca alla disponibilità delle parti deriva dall'articolo 19 del medesimo decreto, che prevede la confisca obbligatoria del prezzo o del profitto del reato)
5 ottobre 2016 (dep. 28 ottobre 2016) n. 3087 - sentenza - Corte di Appello di L’Aquila* (lesioni colpose commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro - i reati dolosi e colposi possono essere la conseguenza di un'inadeguatezza organizzativa da parte dell'ente; in particolare, l'elemento giuridico della colpa può essere basato su una violazione delle norme per la tutela e la sicurezza sul lavoro da parte dell'ente in modo da concretizzare un abbattimento dei costi aziendali, traendone così un vantaggio - per evitare che la responsabilità dell'ente sorga solo per una colpa nella vigilanza, senza la possibilità di accertare un vantaggio o un interesse, la giurisprudenza ha stabilito che, nei reati colposi, il collegamento tra ente e illecito non ha ad oggetto l'evento, ma la violazione delle norme di sicurezza che comporta la commissione del reato - l'evento lesivo è solo la conseguenza della violazione di tali norme, sottolineando la non volontarietà, caratteristica fondamentale dei reati colposi - infine è necessario che il vantaggio dell'ente consista in un risparmio derivante da un deficit di sicurezza che ha portalo alla commissione del reato-presupposto da parte della persona fisica – nella fattispecie nella condotta della società non sussiste né l'interesse né il vantaggio poiché l'infortunio patito va ascritto alla mancata predisposizione di una presa elettrica - considerata la lievissima entità del costo sopportato dalla società per adottare l'accorgimento la cui mancanza ha cagionato l'evento è evidente che il reato non sia stato posto in essere nell'interesse o a vantaggio della società, le cui sorti economiche non erano in alcun modo influenzate dall'eventuale spesa)
27 settembre 2016 (ud. 23 febbraio 2016) n. 40033 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione IV penale* (omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro - il requisito dell'interesse, da valutarsi ex ante, è legato agli obiettivi strategici dell'impresa perseguiti nonostante la consapevolezza della assenza di mezzi tecnici e di adeguata formazione ed esperienza nonché delle proprie lacune operative e quindi mettendo a rischio, in tal modo, la salute dei lavoratori impiegati - il vantaggio, invece, è connesso alla dimostrazione di rilevanti corrispettivi economici riscontrabili tramite l'esame del fatturato - l'evento dannoso deve essere il risultato della mancata adozione di specifiche misure di prevenzione a fronte di un interesse rilevante dell'ente a porre in essere l'attività pericolosa nonostante la consapevole condotta colposa - la mancata adozione delle misure di prevenzione deve aver garantito all'ente un vantaggio sia in termini di concreto risultato economico dell'attività posta in essere senza le dovute cautele sia, e soprattutto, in termini di risparmio dei costi attuato mediante l'omissione delle misure in questione - il giudice, ai fini della responsabilità dell'ente, deve stabilire se la condotta di chi ha cagionato l'infortunio sia stata o meno determinata da scelte effettivamente rientranti nella sfera di interesse dell'ente o se abbia comportato un beneficio alla società sia in termini assoluti (cioè con riguardo ai valori economici) sia rispetto alle dimensioni della singola impresa, all'impatto sul risparmio dei costi ed al correlativo potenziale guadagno - l’interesse deve considerarsi insito nella natura del contratto di subappalto, trattandosi di contratto "a corpo", non in "economia", quindi con pagamento a stato avanzamento lavori, in quanto tale tipologia di contratto (che comporta il pagamento, non sulla base delle ore impiegate, bensì ad opera finita o in base agli stati di avanzamento lavori) spinge l'impresa ad accelerare i tempi di lavorazione al fine di concludere velocemente i lavori ottenendone il pagamento e di impiegare le proprie risorse in altre commesse in corso)
20 luglio 2016 (ud. 19 maggio 2016) n. 31210 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione IV penale* (omicidio e lesioni colposi commessi con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro - il requisito dell'interesse dell'ente ricorre quando la persona fisica, pur non volendo il verificarsi dell'evento morte o lesioni del lavoratore, ha consapevolmente agito allo scopo di far conseguire un'utilità alla persona giuridica e ciò accade, per esempio, quando la mancata adozione delle cautele antinfortunistiche risulti essere l'esito non di una semplice sottovalutazione dei rischi o di una cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie ma di una scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi d'impresa: pur non volendo (quale opzione dolosa) il verificarsi dell'infortunio in danno del lavoratore, l'autore del reato ha consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di soddisfare un interesse dell'ente (ad esempio, far ottenere alla società un risparmio sui costi in materia di prevenzione) - ricorre invece il requisito del vantaggio per l'ente quando la persona fisica, agendo per conto dell'ente, non volendo il verificarsi dell'evento morte o lesioni del lavoratore, ha violato sistematicamente le norme prevenzionali e, dunque, ha realizzato una politica d'impresa disattenta alla materia della sicurezza sul lavoro, consentendo una riduzione dei costi ed un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto)
14 giugno 2016 (ud. 20 aprile 2016) n. 24697 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione IV penale* (lesioni personali e omicidio colposi commessi con violazione delle norme sulla tutela della saute e sicurezza sul lavoro - agli effetti dell’art. 25 septies del d.lgs. 231/2001 l'interesse e/o il vantaggio vanno letti come risparmio di risorse economiche conseguente alla mancata predisposizione dello strumentario di sicurezza ovvero come incremento economico conseguente all'aumento della produttività non ostacolata dal pedissequo rispetto della normativa prevenzionale - nei reati colposi d'evento il finalismo della condotta previsto dall’articolo 5 del d.lgs. 231/2001 è compatibile con la non volontarietà dell'evento lesivo sempre che si accerti che la condotta che ha cagionato quest'ultimo sia stata determinata da scelte rispondenti all'interesse dell'ente o sia stata finalizzata all'ottenimento di un vantaggio per l'ente medesimo - ricorre il requisito dell'interesse quando la persona fisica, pur non volendo il verificarsi dell'evento morte o lesioni del lavoratore, ha consapevolmente agito allo scopo di conseguire un'utilità per la persona giuridica; ciò accade, ad esempio, quando la mancata adozione delle cautele antinfortunistiche risulti essere l'esito non di una semplice sottovalutazione dei rischi o di una cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie ma di una scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi d'impresa: pur non volendo il verificarsi dell'infortunio a danno del lavoratore, l'autore del reato ha consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di soddisfare un interesse dell'ente ad esempio far ottenere alla società un risparmio sui costi in materia di prevenzione - ricorre il requisito del vantaggio quando la persona fisica, agendo per conto dell'ente, pur non volendo il verificarsi dell'evento morte o lesioni del lavoratore, ha violato sistematicamente le norme prevenzionistiche e dunque ha realizzato una politica d'impresa disattenta alla materia della sicurezza del lavoro consentendo una riduzione dei costi ed un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto: il criterio del vantaggio così inteso appare indubbiamente quello più idoneo a fungere da collegamento tra l'ente e l'illecito commesso dai suoi organi apicali ovvero dai dipendenti sottoposti alla direzione o vigilanza dei primi - la responsabilità dell'ente non può essere esclusa per, la sola esiguità del vantaggio o per la scarsa consistenza dell'interesse perseguito, in un contesto generale in cui, sovente, limitate imprudenze o negligenze possono risolversi in immani catastrofi)
27 maggio 2016 (ud. 31 marzo 2016) n. 22474 – sentenza - Corte di Cassazione - sezioni unite penali* (in tema di false comunicazioni sociali, la modifica con cui la L. 27 maggio 2015, n. 69, articolo 9, che ha eliminato, nell'articolo 2621 c.c., l'inciso ancorché oggetto di valutazioni, non ha determinato alcun effetto parzialmente abrogativo della fattispecie giacché anche in tema di false comunicazioni sociali il falso valutativo mantiene tuttora rilievo penale - sussiste il delitto di false comunicazioni sociali, con riguardo alla esposizione o alla omissione di fatti oggetto di valutazione, se, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, l'agente da tali criteri si discosti consapevolmente e senza darne adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni)
13 maggio 2016 (ud. 19 aprile 2016) n. 20098 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione VI penale* (la richiesta di rinvio a giudizio della persona giuridica intervenuta entro cinque anni dalla consumazione del reato presupposto, in quanto atto di contestazione dell'illecito, interrompe il corso della prescrizione e lo sospende fino alla pronunzia della sentenza che definisce il giudizio - l'intervenuta prescrizione del reato presupposto successivamente alla contestazione all'ente dell'illecito non ne determina l'estinzione per il medesimo motivo, giacché il relativo termine, una volta esercitata l'azione, non corre fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il procedimento nei confronti della persona giuridica - in tema di responsabilità degli enti, in presenza di una declaratoria di prescrizione del reato presupposto, il giudice, ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 8, comma 1, lettera b) deve procedere all'accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l'illecito fu commesso che, però, non può prescindere da una verifica, quantomeno incidentale, della sussistenza del fatto di reato)
27 aprile 2016 (ud. 24 febbraio 2016) n. 17385 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione VI penale* (fattispecie di corruzione commesse nell'interesse ed a vantaggio di società da persone in posizione apicale e per effetto dell'inosservanza degli obblighi di direzione e vigilanza da parte delle società del gruppo con l'aggravante di aver conseguito un profitto di rilevante entità - la sentenza di non luogo a procedere costituisce una sentenza di merito su di un aspetto processuale - il giudice dell'udienza preliminare è chiamato ad una valutazione sulla sostanza degli elementi dedotti dal pubblico ministero a sostegno della richiesta di rinvio a giudizio e dunque ad espletare un giudizio di merito - nondimeno, tale giudizio di merito ha ad oggetto, non la fondatezza dell'accusa cioè la colpevolezza o l'innocenza dell'imputato, salvo il caso in cui essa sia evidente, bensì la capacità di siffatti elementi perché sufficienti, non insanabilmente contraddittori o idonei, di dimostrare la sussistenza di una minima probabilità che all'esito del dibattimento sia affermata la colpevolezza dell'imputato, in tale senso dovendosi declinare la sostenibilità dell'accusa in giudizio codificata in negativo nell'articolo 425 c.p.p., comma 3 e, quindi, la condizione che possa giustificare la sottoposizione dell'incolpato a processo - il GUP è tenuto a verificare cioè che la piattaforma degli elementi conoscitivi, costituiti dalle prove già raccolte e da quelle che potranno essere verosimilmente acquisite nello sviluppo processuale, secondo una valutazione prognostica ispirata a ragionevolezza, sia munita di una consistenza tale da far ritenere probabile la condanna e da dimostrare pertanto l'effettiva, seppure potenziale, "utilità del dibattimento" - ai fini del rinvio a giudizio, è necessario che sussista un "minimum probatorio" su cui innestare la valutazione circa la "serietà del livello di fondatezza delle accuse")
17 marzo 2016 (ud. 12 febbraio 2016) n. 11442 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione VI penale* (corruzione internazionale nell'interesse e vantaggio della società per azioni - vicende modificative dell’ente: fusione - contratti-schermo di consulenza con società intermediatrici nel pagamento di tangenti aventi sede in paesi esteri - manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale delle norme del d.lgs. 231/2001 in tema di vicende modificative dell’ente per eccesso di delega, per violazione del principio di personalità della responsabilità penale secondo i criteri elaborati dalla Corte Edu in tema di sanzione penale e per contrasto con l’art. 3 Cost. in relazione al diverso trattamento previsto in via generale dall'art. 7 della legge n. 689 del 1981 - l'archiviazione per essere ignoti gli autori del reato ha la funzione di legittimare il congelamento delle indagini senza alcuna preclusione allo svolgimento di ulteriori successive attività investigative per le quali non occorre l'autorizzazione alla riapertura - ai fini della punibilità dei reati commessi in parte all'estero è sufficiente che nel territorio dello Stato si sia verificato anche solo un frammento della condotta che, seppur privo dei requisiti di idoneità e di inequivocità richiesti per il tentativo, sia apprezzabile in modo tale da collegare la parte della condotta realizzata in Italia a quella realizzata in territorio estero - ai fini della punibilità dei reati commessi in parte all'estero è sufficiente l'essersi verificata in Italia anche la sola ideazione del delitto quantunque la restante condotta sia stata attuata all'estero - il ne bis in idem internazionale in materia penale non costituisca principio o consuetudine di diritto internazionale sicché deve trovare la sua fonte esclusivamente in un obbligo pattizio - gli accordi raggiunti in Nigeria e negli Stati Uniti d'America per la definizione dei processi penali avviati in tali Stati non precludono la rinnovazione del giudizio in Italia per i medesimi fatti e ciò non solo per il perseguimento degli illeciti previsti dal decreto legislativo n. 231 del 2001 ma neppure in relazione ai reati ad essi connessi, non vigendo alcun obbligo pattizio con tali Paesi che impedisca l'esercizio della giurisdizione italiana - la Convenzione Ocse sulla corruzione dei pubblici ufficiali stranieri e la Convenzione ONU contro la corruzione prevedono soltanto meccanismi procedurali volti ad evitare che in relazione allo stesso fatto vengano avviati dinanzi a diverse autorità nazionali paralleli procedimenti penali consistenti nella consultazione reciproca degli Stati al fine di stabilire quale tra le giurisdizioni concorrenti sia la più idonea ad esercitare l'azione penale - il d.lgs. n. 231 del 2001 all’art. 4 prevede solo in relazione ai reati commessi all'estero uno sbarramento alla perseguibilità dell'illecito commesso dall'ente nei casi in cui nei suoi confronti già proceda lo Stato del luogo in cui è stato commesso il fatto - quantunque la genesi e l'evoluzione dell'operazione corruttiva sino alla data dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 231 del 2001 non abbiano rilevanza per l'affermazione della responsabilità dell'ente, è legittimo l’accertamento di tali vicende ai fini della ricostruzione del quadro - corruzione propria antecedente consistente in un accordo corruttivo sostanzialmente unico dipanatosi in diverse tranches contrattuali in adempimento delle quali sono effettuati i versamenti che individuano il momento consumativo del reato - il delitto di corruzione si perfeziona alternativamente con l'accettazione della promessa ovvero con la dazione-ricezione dell'utilità e tuttavia ove alla promessa faccia seguito la dazione-ricezione è solo in tale ultimo momento che, approfondendosi l'offesa tipica, il reato viene a consumazione - grava sulla pubblica accusa l'onere di dimostrare l'esistenza dell'illecito dell'ente, mentre a quest'ultimo incombe l'onere, con effetti liberatori, di dimostrare di aver adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del reato, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi - carenze del modello individuabili nella previsione di misure preventive solo «sulla carta» e nell'assenza di alcun tipo di garanzia in grado di impedire o quanto meno rendere più difficile la partecipazione dei rappresentanti dell’ente alla condotta corruttiva complessiva quali il comitato di controllo, l'internal audit, ecc. - la prova della responsabilità dell'ente è rafforzata dal rilievo di una politica aziendale di mero formalismo cartolare («paper compliance policy») corrispondente alla sistematica violazione da parte dei soggetti responsabili della normativa penale e dall'entità dei fondi impiegati nelle dazioni corruttive)
22 febbraio 2016 (c.c. 8 gennaio 2016) n. 6916 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione V penale* (false comunicazioni sociali - in tema di bancarotta fraudolenta impropria "da reato societario" la nuova formulazione degli artt. 2621 e 2622 cod. civ., introdotta dalla L. 27 maggio 2015, n. 69, ha determinato, eliminando 1'inciso "ancorché oggetto di valutazioni" ed inserendo il riferimento, quale oggetto anche della condotta omissiva, ai "fatti materiali non rispondenti al vero", una successione di leggi con effetto abrogativo, peraltro limitato alle condotte di errata valutazione di una realtà effettivamente sussistente - il falso valutativo viene integrato allorquando si ricorre all'associazione di un dato numerico ad una realtà economica comunque esistente, e dunque in situazioni nelle quali l'associazione di un valore numerico ad una determinata realtà può essere considerata effettivamente come il risultato di una valutazione, ritenendosi al contrario che si rientra nel fuoco normativo della nuova norma incriminatrice nelle ipotesi in cui, attraverso un'operazione di questo genere, si fornisce di fatto una rappresentazione difforme dal vero della stessa realtà materiale)
29 gennaio 2016 (c.c. 27 ottobre 2015) n. 4064 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione V penale* (misure cautelari reali - esclusione dei beni del terzo di buona fede – requisiti oggettivi e soggettivi della buona fede - la Corte di Cassazione richiama alcune tra le più importanti pronunce recenti, al fine di fornire un quadro normativo di riferimento per ciò che riguarda il sequestro rivolto a beni societari, considerando anzitutto che, ai sensi dell’art. 2054 c.c., la società incorporante debba necessariamente rispondere dei fatti della società incorporata, onde scongiurare il ricorso a fusioni societarie elusive della misura del sequestro - la confisca ex art. 240 c.p. è infatti applicabile alle società, in particolare laddove il prezzo degli illeciti commessi dai legali rappresentanti sia stato da questi illecitamente reimpiegato e pertanto sia passibile di confisca una somma equivalente a tale prezzo del reato e di cui la società abbia disponibilità - Parimenti, la Corte Suprema richiama l’art. 6, comma 5 del d.lgs. 231/2001 che stabilisce la possibilità di applicare la confisca per equivalente del profitto anche nei confronti della persona giuridica - infine, con riferimento alla posizione del terzo estraneo al reato, in relazione alla confisca di cui all’art. 19 d.lgs. 231/2001 su beni di cui è titolare, soggetti a tale misura, la Corte ribadisce il consolidato orientamento espresso in precedenza da pronunce rese a Sezioni Unite che sottolinea la necessità che tale soggetto non solo sia estraneo alla fattispecie delittuosa ma da questa non debba nemmeno aver tratto alcun vantaggio o utilità - l’interpretazione della buona fede del soggetto ha portata decisamente ampia, tanto da richiedere come ulteriore componente soggettiva la totale estraneità, la non conoscibilità della situazione concreta ricorrendo all’ordinaria diligenza - pertanto, in conclusione, la regola espressa dall’art. 2054 cod. civ., che trova corrispondenza nell’art. 29, d.lgs. 231/2001, trova limiti alla propria applicabilità nei richiamati principi in materia di buona fede del terzo, estraneo al reato, la cui posizione resta meritevole di salvaguardia, anche laddove si tratti di persona giuridica - occorre, quindi, verificare nel caso concreto se la fusione per incorporazione abbia comportato vantaggi o utilità, tali da escludere la buona fede della società destinataria)
27 gennaio 2016 (c.c. 15 dicembre 2015) n. 3691 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione II penale* (autoriciclaggio - reato presupposto commesso prima dell'entrata in vigore della legge 186/2014 - irretroattività della legge penale - esclusione - la Suprema Corte ha approntato una opportuna interpretazione nomofilattica affermando che, in materia di successione delle leggi penali nel tempo e di irretroattività della legge penale sfavorevole, ai fini della collocazione cronologica dei fatti e della conseguente applicazione a questi della normativa vigente, occorre scindere il reato presupposto dalla condotta che presenti invece profili integrativi di cui all’art. 648-ter c.p. - nel caso in cui, analogamente al caso di specie, il reato presupposto derivi da altra e precedente norma incriminatrice (in questo caso, dal d.lgs. 74/2000), la successiva e diversa condotta adottata può integrare l’ipotesi di cui al nuovo art. 648-ter c.p., una volta che questa sia stata commessa successivamente all’entrata in vigore della legge 186/2014 senza, perciò, che possa ritenersi operare il citato divieto di irretroattività della norma penale incriminatrice)
12 gennaio 2016 (p.u. 12 novembre 2015) n. 890 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione V penale* (false comunicazioni sociali - punibilità del falso c.d. valutativo o qualitativo alla luce della modifiche introdotte agli artt. 2621, 2621-bis, 2621-ter, 2622 cod. civ. - nelle due distinte tipologie di reato, a seconda che si tratti di società non quotate, ipotesi prevista dal novellato art. 2621 cod. civ., o di società quotate, caso disciplinato dal testo del nuovo articolo 2622 cod. civ., si configura una fattispecie delittuosa di pericolo perseguibile d’ufficio che di fatto continua a ricomprendere anche i fatti oggetto di mera valutazione - la novella ha introdotto nel nostro ordinamento un nuovo principio di redazione del bilancio, orientato alla “rilevanza” - “materialità” e “rilevanza” dei fatti economici da rappresentare in bilancio rappresentano postulati imprescindibili per una corretta informazione sociale e parimenti il termine “fatti” andrebbe inteso nella sua più ampia e flessibile eccezione, tale da includere non solo gli elementi di informazione riguardanti il bilancio, ma anche le altre, obbligatorie, comunicazioni sociali - poiché circa detti fatti va considerato che possano esistere o meno nella realtà, ma mai essere in sé considerati “falsi” (quanto, semmai, la rappresentazione di questi lo sarebbe), l’esposizione di dati rilevanti, laddove non corrispondente al vero, integra un’ipotesi di falsità tipica, descritta dall’articolo 2621 c.c.. - il c.d. falso valutativo o qualitativo, riguardando l’assegnazione a determinate componenti di un valore, costituisce in sé attività valutativa nel procedere alla quale occorre rispettare i criteri valutativi di matrice civilistica, nonché quelli stabiliti dalla normativa eurocomunitaria e degli standards internazionali di riferimento - il mancato rispetto dei suindicati parametri costituisce la falsità della rappresentazione valutativa, passibile ai sensi del nuovo art. 2621 c.c. - ai sensi del nuovo art. 2621 c.c. anche i dispositivi valutativi sono passibili di sanzione penale, per mezzo del riferimento ai “fatti materiali” ricomprendenti la falsa rappresentazione, indicati nel testo della norma)
23 novembre 2015 (c.c. 14 ottobre 2015) n. 46162 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione III penale* (sequestro preventivo per equivalente del profitto del reato transnazionale di associazione per delinquere - nella valutazione del fumus commissi delicti il giudice del riesame non può avere riguardo alla sola astratta configurabilità del reato ma deve tener conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell'effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, indicando, sia pur sommariamente, le ragioni che rendono sostenibile l'impostazione accusatoria e plausibile un giudizio prognostico negativo per l'indagato - il delitto di associazione per delinquere può essere considerato in sé idoneo a generare un profitto, che è sequestrabile ai fini della successiva confisca per equivalente - nei casi previsti dalla legge - in via del tutto autonoma rispetto a quello prodotto dai reati fine, e che è costituito dal complesso dei vantaggi direttamente conseguenti dall'insieme di questi ultimi, siano essi attribuibili ad uno o più associati, anche non identificati, posto che l'istituzione della societas sceleris è funzionale alla ripartizione degli utili derivanti dalla realizzazione dl programma criminoso – se il sequestro del profitto del reato è disposto in relazione al solo reato associativo transnazionale (non potendo essere applicato con riferimento ai reati fiscali rientranti nel programma criminoso) è necessario motivare sull'esistenza dell'associazione ed in particolare sugli elementi costitutivi del reato di cui all'art.416 nonchè in ordine alla non ipotizzabilità di un concorso continuato nei reati fiscali)
29 ottobre 2015 (ud. 26 giugno 2015) n. 43689 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione I penale* (false comunicazioni sociali - bilancio di società sportiva - operazioni relative a trasferimenti derivanti da operazioni incrociate di giocatori comportanti una variazione in attivo del risultato economico di esercizio e del patrimonio netto - necessità che il fatto generatore della responsabilità dell'ente sia commesso nell'interesse e a vantaggio di esso - se le voci infedeli evidenziano, nel complesso, una prevalenza (anche in termini quantitativi) di sottrazione dell'utile alla pretese tributaria, è plausibile che l'intenzione decettiva si proietti verso un "risparmio" (sia pur illecito) di gravame tributario e il fatto sia così riconducibile in via di logica astratta alla persecuzione dell'interesse dell'organismo societario - la normativa fiscale (art. 109 TUIR) prevede però che i componenti positivi (quindi, le plusvalenze) concorrano a formare il reddito, formando integralmente massa imponibile nell'esercizio di competenza ovvero nell'esercizio in cui risultano verificate le condizioni di certezza nell’an e nel quantum dei componenti stessi, e siano soggette a tassazione con la conseguenza che all'aumento delle plusvalenze corrisponde una maggiore tassazione - in realtà il meccanismo di sopravvalutazione dei giocatori ha come effetto principale di aumentare i valori dell'attivo patrimoniale (anche se, nel complesso, non possono essere esclusi risparmi sul piano fiscale) e in ciò ricorrerebbe l'interesse dell'ente, diverso dal vantaggio che costituisce una sorta di variabile casuale nei termini posti dall'art. 5, comma 2, d.lgs. 231)
28 luglio 2015 (c.c. 28 maggio 2015) n. 33041 - sentenza - Corte di Cassazione - sezioni unite penali* (è ammissibile la richiesta di riesame presentata, ai sensi dell'art. 324 cod. proc. pen., avverso il decreto di sequestro preventivo dal difensore di fiducia nominato dal rappresentante dell'ente secondo il disposto dell'art. 96 cod. proc. pen., ed in assenza di un previo atto formale di costituzione a norma dell'art. 39 d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, sempre che, precedentemente o contestualmente alla esecuzione del sequestro, non sia stata comunicata la informazione di garanzia prevista dall'art. 57 del d.lgs. medesimo - In tema di responsabilità da reato degli enti, il rappresentante legale indagato o imputato del reato presupposto non può provvedere, a causa di tale condizione di incompatibilità, alla nomina del difensore di fiducia dell'ente, per il generale e assoluto divieto di rappresentanza posto dall'art. 39 d.lgs. n. 231 del 2001 - È inammissibile, per difetto di legittimazione rilevabile di ufficio ai sensi dell'art. 591, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., la richiesta di riesame di decreto di sequestro preventivo presentata dal difensore dell'ente nominato dal rappresentante che sia imputato o indagato del reato da cui dipende l'illecito amministrativo)
15 luglio 2015 (c.c. 28 maggio 2015) n. 30484 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione III penale* (rapporto tra sequestro e confisca ex articolo 19 d.lgs. n. 231 del 2001 e la procedura fallimentare - gli enti resisi responsabili di illeciti amministrativi derivanti da reato devono essere perseguiti e puniti con la confisca degli illeciti proventi al fine di ristabilire il turbato equilibrio economico ma ciò non può e non deve avvenire in pregiudizio di terzi che siano titolari di diritti acquisiti in buona fede sui beni oggetto di sequestro e confisca - è il giudice penale che, nel disporre il sequestro o la confisca, deve valutare se eventuali diritti vantati da terzi siano o meno stati acquisiti in buona fede e in caso di esito positivo di tale verifica il bene non sarà sottoposto né a sequestro né a confisca - il creditore che non abbia ancora ottenuto l'assegnazione del bene a conclusione della procedura concorsuale non può essere considerato terzo titolare di un diritto acquisito in buona fede perché prima di tale momento egli vanta una semplice pretesa (ma non la titolarità) di un diritto reale su un bene e perciò legittimamente su quel bene potranno insistere il sequestro penale prima e la confisca poi - coloro che si insinuano nel fallimento vantando un diritto di credito non possono essere ritenuti per ciò solo titolari di un diritto reale sul bene, perché sarà proprio con la procedura fallimentare che si stabilirà se il credito vantato possa o meno essere ammesso al passivo fallimentare - il curatore nel contempo individuerà tutti i beni che debbono formare la massa attiva del fallimento, arricchendola degli eventuali esiti favorevoli di azioni revocatorie, e soltanto alla fine della procedura si potrà (previa vendita dei beni ed autorizzazione da parte del giudice delegato del piano di riparto) procedere alla assegnazione dei beni ai creditori - solo al momento dell’assegnazione i creditori potranno essere ritenuti titolari di un diritto sui beni che potranno far valere nelle sedi adeguate - qualora il profitto tratto da taluno dei reati sia costituito da denaro, l'adozione del sequestro preventivo non è subordinata alla verifica che le somme provengano dal delitto e siano confluite nella effettiva disponibilità dell'indagato, in quanto il denaro oggetto di ablazione deve solo equivalere all'importo che corrisponde per valore al prezzo o al profitto del reato, non sussistendo alcun nesso pertinenziale tra il reato e il bene da confiscare - in tema di reati tributari, il profitto confiscabile anche nella forma per equivalente è costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito dalla consumarne del reato e può dunque consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell'accertamento del debito tributario)
10 luglio 2015 (ud. 16 giugno 2015) n. 29512 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione II penale* (ad integrare la responsabilità dell’ente è necessario che venga compiuto un reato da parte del soggetto riconducibile all'ente stesso ma non è anche necessario che tale reato venga accertato con individuazione e condanna del responsabile - la responsabilità penale presupposta può essere ritenuta incidenter tantum (ad esempio perché non si è potuto individuare il soggetto responsabile o perché questi è non imputabile) e ciò non ostante può essere sanzionata in via amministrativa la società - il titolo di responsabilità dell'ente, anche se presuppone la commissione di un reato, è autonomo rispetto a quello penale, di natura personale - l'intervenuta prescrizione del reato presupposto successivamente alla contestazione all'ente dell'illecito non ne determina l'estinzione per il medesimo motivo giacché il relativo termine, una volta esercitata l'azione, non corre fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il procedimento nei confronti della persona giuridica - l'interesse esclusivo dell'agente che ha commesso il reato presupposto va ravvisato in sostanza nelle condotte estranee alla politica di impresa - le condotte poste in essere nell'interesse dell'ente sono quelle che rientrano nella politica societaria ossia tutte quelle condotte che trovano una spiegazione ed una causa nella vita societaria - il sistema normativo introdotto dal d.lgs. n. 231 del 2001 configura un "tertium genus" di responsabilità compatibile con i principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza - l'ente è responsabile ove la pubblica accusa provi che il soggetto che ricopre al suo interno sia posizioni apicali sia subordinate ha commesso il reato presupposto nell'interesse (inteso come proiezione finalistica dell'azione) o a vantaggio (inteso come potenziale ed effettiva utilità anche di carattere non patrimoniale ed accertabile in modo oggettivo) dell'ente - se la suddetta prova non viene data o fallisce l'ente, anche se non ha adottato alcun modello di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati, non può essere ritenuto responsabile di alcunché - se la suddetta prova invece viene fornita, l'unico modo per l'ente di sfuggire alla declaratoria di responsabilità per il reato presupposto è quello di dimostrare di avere adottato un idoneo modello di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati - i criteri ascrittivi della responsabilità da reato degli enti rappresentati dal riferimento contenuto nell'art. 5 del d.lgs. 231 del 2001 all'interesse o al vantaggio evocano concetti distinti e devono essere intesi come criteri concorrenti ma comunque alternativi - l'interesse va inteso come proiezione finalistica dell'azione da valutarsi ex ante, il vantaggio va, invece, apprezzato come potenziale ed effettiva utilità anche di carattere non patrimoniale ed accertabile in modo oggettivo da valutarsi ex post - l'utilità economica ricavata dalla persona giuridica a seguito della consumazione di una truffa non può essere confiscata come profitto del reato nemmeno per equivalente quando la stessa sia stata già restituita al soggetto danneggiato)
9 luglio 2015 (c.c. 29 aprile 2015) - n. 29333 - ordinanza – Corte di Cassazione - sezione VII penale* (anche con riguardo all'applicazione di sanzioni su richiesta ex art. 444 c.p.p. a carico degli enti, nella motivazione della sentenza, ai fini dell'attestazione della responsabilità dell'ente per il reato allo stesso contestato il richiamo all'art. 129 c.p.p. è sufficiente a far ritenere che il giudice, a fronte della congiunta richiesta avanzata dalle parti in ordine l'applicazione della sanzione concordata, abbia verificato ed escluso la presenza di cause di proscioglimento, non occorrendo ulteriori e più analitiche disamine ai riguardo - il giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle ipotesi di cui all'art. 129 c.p.p. dev'essere accompagnato da una specifica motivazione soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non punibilità, dovendo, invece, ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente nell'enunciazione anche implicita che è stata compiuta la verifica richiesta dalle leggi e che non ricorrono le condizioni per la pronuncia di proscioglimento a norma del citato art. 129 c.p.p.)
5 maggio 2015 (c.c. 18 novembre 2014) n. 18634 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione VI penale* (per l'adozione di una misura cautelare interdittiva nei confronti dell'ente raggiunto da gravi indizi di responsabilità per l'illecito dipendente da reato la nozione di profitto di rilevante entità ha un contenuto più ampio di quello di profitto inteso come utile netto in quanto in tale concetto rientrano anche vantaggi non immediati comunque conseguiti attraverso la realizzazione dell'illecito - il giudizio circa la sussistenza di un profitto di rilevante entità non discende automaticamente dalla considerazione del valore del contratto o del fatturato ottenuto a seguito del reato, seppure tali importi ne siano, ove rilevanti, importante indizio almeno con riferimento ad alcuni dei reati indicati nel Decreto Legislativo n. 231 del 2001 - il legislatore non ha introdotto ed ammesso solo una modalità tipica di eliminazione del rischio di recidiva e cioè l'attuazione delle misure indicate al Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 17 - l'articolo 50 comma 1 del Decreto Legislativo n. 231 del 2001 pone in alternativa, quali fattori di revoca della misura applicata, l'effettuazione degli adempimenti di cui all’articolo 17 e la mancanza sopravvenuta delle condizioni indicate al precedente articolo 45, tra le quali è compreso il rischio di recidiva - la cessazione del rischio di recidiva ed a maggior ragione la sua attenuazione può essere determinata anche da comportamenti non conformi al modello tracciato con la previsione dell'articolo 17 e con il connesso meccanismo di sospensione del trattamento cautelare - la misura cautelare deve essere ripristinata semprechè il giudice, in accoglimento di una istanza di revoca od anche d'ufficio, non ritenga che il trattamento non trovi ulteriore legittimazione nelle condizioni di fatto sulle quali dovrebbe produrre in concreto i suoi effetti - chiamato ad assumere la decisione di ripristino della cautela sospesa, lo stesso giudice potrà anche d'ufficio rilevare, ove ne sussistano i motivi, la sopravvenuta insussistenza delle condizioni che devono permanentemente sorreggere, a norma del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 50, la restrizione cautelare della libertà - il Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 52, limita il ricorso per cassazione contro i provvedimenti emessi dal giudice dell'appello cautelare al solo vizio della violazione di legge - il vizio della violazione di legge attiene non alla completezza ed alla coerenza della motivazione ma alla sua stessa esistenza comprendente il caso in cui non faccia difetto una qualche argomentazione e però la stessa risulti inidonea a svelare il ragionamento sotteso al provvedimento impugnato)
17 marzo 2015 (c.c. 25 settembre 2014) n. 11170 - sentenza - Corte di cassazione - sezioni unite penali* (sequestro preventivo finalizzato alla confisca anche per equivalente del profitto del reato -ammissione della società al concordato preventivo e successiva declaratoria di fallimento con conseguenti mutamento delle imputazioni a carico degli organi apicali e caducazione del titolo di reato legittimante la responsabilità dell’ente necessaria per disporre il sequestro - necessità di un doppio livello di legalità cioè che il fatto commesso dagli organi apicali sia previsto da una legge entrata in vigore prima della commissione dello stesso e che tale reato sia previsto nel tassativo elenco del reati presupposto, dal quali soltanto può derivare la responsabilità amministrativa dell'ente - rapporti tra procedura fallimentare e sequestro preventivo/confisca anche per equivalente del profitto del reato - la confisca del prezzo o del profitto del reato disciplinata dall’art. 19 commi 1 e 2 del decreto legislativo n. 231 del 2001 è una vera e propria sanzione principale ed autonoma la cui applicazione non è lasciata alla discrezionalità del giudice ma è obbligatoria - in virtù dello stretto rapporto di connessione funzionale tra il sequestro preventivo e la confisca, il sequestro ha lo stesso regime di obbligatorietà della confisca - alla confisca e al conseguente sequestro è sempre posto il limite della salvaguardia dei diritti acquistati da terzi in buona fede - salvaguardati sono unicamente il diritto di proprietà e gli altri diritti reali insistenti sui beni oggetto di sequestro e confisca acquisiti da terzi in buona fede - il fallimento non è normativamente previsto quale causa estintiva dell'illecito dell'ente e non è possibile assimilare il fallimento della società alla morte del reo - acquisizione alla massa attiva fallimentare di beni societari gravati da sequestro preventivo anche per equivalente - le finalità del vincolo imposto dall'apertura della procedura fallimentare e di quello derivante dal sequestro e/o dalla confisca sono del tutto differenti e tra loro non confliggenti sicché i due vincoli possono coesistere in quanto l'uno non ostacola l'altro e anzi il sequestro prima e la confisca poi tutelano in misura rafforzata gli interessi del ceto creditorio - la titolarità del diritto del terzo può essere legittimamente riconosciuta prima che venga disposta la confisca ma anche dopo e ciò si verifica in caso di apertura della procedura fallimentare, venendo il diritto del terzo riconosciuto soltanto alla chiusura della procedura - compete al giudice penale che deve disporre il sequestro e/o la confisca l'onere di salvaguardare i diritti dei terzi acquisiti in buona fede valutandone la titolarità -quando sia stata pronunciata sentenza definitiva di condanna dell'ente e sia stata disposta la confisca dei beni appartenenti allo stesso, il giudice competente a decidere sulla istanza del terzo non potrà che essere, invece, il giudice dell'esecuzione penale - il creditore che non abbia ancora ottenuto l'assegnazione del bene a conclusione della procedura concorsuale non può essere considerato "terzo titolare di un diritto acquisito in buona fede" perché prima di tale momento il creditore vanta una semplice pretesa ma non certo la titolarità di un diritto reale su un bene - allo stesso modo il curatore fallimentare, che è certamente terzo rispetto al procedimento sequestro/confisca dei beni già appartenuti alla fallita società, non può agire in rappresentanza dei creditori per opporsi ai sequestro ed alla confisca - l'art. 53, comma 1, del decreto legislativo n. 231 del 2001 rimanda agli articoli del codice di procedura penale sui mezzi di impugnazione contro i sequestri e, quindi, ai soggetti legittimati tra i quali non può comprendersi il curatore fallimentare che non può vantare alcun diritto sul beni, anche perché il fallimento priva il fallito dell'amministrazione e della disponibilità dei beni esistenti alla data della dichiarazione di fallimento, trasferendo l'una e l'altra alla curatela, ma non della proprietà sugli stessi - è assai dubbio anche che il curatore fallimentare possa avere un interesse concreto giuridicamente tutelabile ad opporsi ai provvedimenti di sequestro e confisca, perché la massa fallimentare, la cui integrità il curatore è tenuto a garantire, non subisce alcun pregiudizio da tali provvedimenti, in quanto lo Stato potrà far valere il suo diritto sui beni sottoposti a vincolo fallimentare, salvaguardando i diritti riconosciuti al creditori, soltanto a conclusione della procedura - dunque l curatore fallimentare non è legittimato a proporre impugnazione contro il provvedimento di sequestro adottato al sensi dell'art. 19 del decreto legislativo n. 231 del 2001 e la verifica delle ragioni dei terzi al fine di accertarne la buona fede spetta al giudice penale e non al giudice fallimentare)
22 dicembre 2014 (c.c. 5 novembre 2014) n. 53430 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione VI penale* (l'area del profitto assoggettabile a confisca ex art. 19 del decreto n. 231 ha un'ampiezza diversa a seconda della fattispecie costituente reato presupposto - nel caso in cui l'attività illegale non comporti lo svolgimento di alcuna controprestazione lecita da parte dell'ente, il profitto confiscabile non potrà che identificarsi con l'intero valore del negozio, in quanto integralmente frutto di un'attività illegale, facendo difetto qualunque costo scorporabile, perché intrinsecamente illecito o comunque concernente attività strumentali e/o correlative rispetto al reato presupposto - nei casi in cui il reato presupposto sia costituito dal reato di manipolazione di mercato, il profitto andrà commisurato al solo aumento di valore del titolo azionario prodottosi in ragione dell'attività illegale dispiegata, atteso che soltanto la plusvalenza è riconducibile causalmente all'attività illegale, e non potranno essere detratte le spese sostenute per il compimento di operazioni strumentali all'esecuzione dell'illecito - nel caso di truffa o di corruzione finalizzata ad ottenere l'aggiudicazione di una commessa ovvero a conseguire, nell'ambito di un rapporto negoziale a prestazioni corrispettive, un corrispettivo più elevato di quello dovuto, trattandosi di contratti validi inter partes e solo annullabili, il profitto dovrà essere commisurato alla differenza fra l'intero valore del contratto e l'utilità effettivamente conseguita dalla controparte - nel caso in cui il reato presupposto sia un cd. reato in contratto, potranno essere assoggettati ad ablazione tutti i vantaggi di natura economico patrimoniale che costituiscano diretta derivazione causale dell'illecito, di tal che la confisca potrà interessare esclusivamente l'effettivo incremento del patrimonio dell'ente conseguito dall'agire illegale, e non potranno essere aggrediti i vantaggi eventualmente conseguiti dall'ente in conseguenza di prestazioni lecite effettivamente svolte a favore del contraente nell'ambito del rapporto sinallagmatico, cioè pari alla utilitas di cui si sia giovata la controparte - nella commisurazione del valore della utilità conseguita dal danneggiato, non si può tenere conto del margine di guadagno per l'ente, dell'utile d'impresa che almeno fisiologicamente compone il corrispettivo pagato per la prestazione - il valore della prestazione svolta a vantaggio della controparte deve essere commisurato ai soli costi vivi, concreti ed effettivi, che l'impresa abbia sostenuto per dare esecuzione all'obbligazione contrattuale – per determinare i costi vivi sostenuti dall'ente per dare adempimento alla prestazione di cui la controparte si sia avvantaggiata, l'Autorità Giudiziaria potrà avvalersi dell'esito degli accertamenti compiuti dalla Polizia Giudiziaria ovvero, se non esaurienti, delle indicazioni di un tecnico, nominato quale consulente o perito, che tengano conto, da un lato, delle risultanze della contabilità e dei bilanci dell'ente, dall'altro lato, del costo di mercato di quella tipologia di prestazione, avuto riguardo ai valori medi del settore, e di qualunque altro dato che possa consentire di correggere eventuali sopravvalutazioni dei costi esposti nei documenti contabili)
16 dicembre 2014 (c.c. 15 luglio 2014) n. 52179 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione I penale* (l'estraneità al reato allegata dal terzo che invochi la restituzione della cosa soggetta a confisca obbligatoria richiede la prova, oltre che della titolarità del diritto vantato sulla res, anche della mancata percezione di qualsiasi vantaggio o profitto derivante dal reato, nonché la prova della buona fede soggettiva, intesa come affidamento incolpevole e come assenza di condizioni in grado di configurare a proprio carico un qualsivoglia addebito di negligenza da cui sia derivata la possibilità della commissione dell'illecito, buona fede la cui sussistenza, nel caso di persone giuridiche, deve essere verificata con riguardo all'atteggiamento psicologico delle persone fisiche che le rappresentano, alla stregua del principio di imputabilità all'ente rappresentato degli stati soggettivi dei soggetti che lo rappresentano- l'estraneità alle utilità derivanti dal reato, idonea a radicare, unitamente al requisito della buona fede, la condizione di terzietà del soggetto titolare di una legittima aspettativa a evitare la confisca dei beni, deve essere apprezzata con riguardo alle circostanze di fatto e allo stato soggettivo esistenti al momento della commissione del reato, e non già alle condotte susseguenti, necessitate dall'accertamento del reato stesso - il profitto confiscabile in materia di reati tributari è costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato, e può dunque consistere anche in un risparmio di spesa derivante dal mancato pagamento del tributo e dei relativi interessi e sanzioni - il profitto è confiscabile a titolo diretto, e non per equivalente, anche nel caso in cui il denaro, frutto dell'illecito› risparmio fiscale, abbia subito una trasformazione e sia stato investito in beni di altra natura, fungibili o infungibili - anche nei confronti degli enti per i quali non sia applicabile la confisca-sanzione di cui all’art. 19 del d.lgs. 231/2001, per essere stati efficacemente attuati i modelli organizzativi per impedire la commissione di reati da parte dei soggetti che rappresentano l'ente, è comunque disposta la confisca del profitto che l'ente ha tratto dal reato ai sensi dell’art. 6, comma 5, del d.lgs. 231/2001, secondo una prospettiva non di tipo sanzionatorio (non ricorrendo un'ipotesi di responsabilità amministrativa dell'ente), ma di ripristino dell'ordine economico turbato dal reato, che ha comunque determinato un'illegittima locupletazione per l'ente, ad obbiettivo vantaggio del quale il reato è stato commesso dai suoi rappresentanti)
2 dicembre 2014 (c.c. 15 ottobre 2014) n. 50320 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione III penale* (l'estraneità di un ente al fatto-reato non si misura in base alla diversità degli organi amministrativi che successivamente la rappresentano - la responsabilità personale da reato non deve confondersi con la responsabilità patrimoniale per le conseguenze da reato che vengono imputate all'ente dotato di personalità giuridica in virtù dei rapporto di immedesimazione organica che lo lega ai propri amministratori in conseguenza del quale all'ente non vengono imputati solo gli effetti dell'atto, ma l'atto stesso - il rapporto di immedesimazione organica può essere escluso, nelle sue conseguenze da reato, solo mediante l'adozione di specifiche modalità organizzative ai sensi degli artt. 5 e segg., d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 e in tema di illeciti amministrativi a mente dell'art. 6, comma 3, legge 24 novembre 1981, n. 689 nel solo caso di avvenuta rottura del rapporto organico per avere l'imputato colpevole agito di propria, esclusiva iniziativa - in materia di confisca, il concetto di appartenenza ha una portata più ampia del diritto di proprietà, essendo sufficiente che le cose da confiscare, di cui il reo ha la disponibilità, non appartengano a terzi estranei ai reato, intendendosi per estraneo soltanto colui che in nessun modo partecipi alla commissione dello stesso o all'utilizzazione dei profitti che ne sono derivati - poiché la misura di sicurezza della confisca ha carattere non punitivo ma cautelare, fondato sulla pericolosità derivante dalla disponibilità delle cose che servirono per commettere il reato, ovvero ne costituiscano il prezzo, il prodotto o il profitto, essa può essere disposta anche per i beni appartenenti a persone giuridiche dovendo a tali persone, in forza dei principi di rappresentanza, essere imputati gli stati soggettivi dei loro legali rappresentanti - ai fini della confisca, il curatore del fallimento e il commissario della società di capitali posta in liquidazione non possono essere ritenuti terzi estranei al reato commesso dalla persona giuridica)
6 ottobre 2014 (c.c. 16 settembre 2014) n. 41435 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione II penale* (il decreto di sequestro preventivo per equivalente del profitto del reato presupposto non deve contenere l'indicazione specifica dei beni che devono essere sottoposti al vincolo, potendo procedere alla loro individuazione anche la polizia giudiziaria in sede di esecuzione del provvedimento, ma deve indicare la somma sino a concorrenza della quale il sequestro deve essere eseguito - anche nei confronti degli enti per i quali non sia applicabile la confisca-sanzione di cui all' art. 19 dello stesso decreto per essere stati efficacemente attuati i modelli organizzativi per impedire la commissione di reati da parte dei rappresentanti dell'ente è comunque disposta la confisca del profitto che l'ente ha tratto dal reato, anche nella forma per equivalente - il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente è consentito solo quando non siano reperibili i beni costituenti il profitto del reato ma in materia di misura cautelare reale, non è possibile pretendere la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto del reato, giacché, durante il tempo necessario per l'espletamento di tale ricerca, potrebbero essere occultati gli altri beni suscettibili di confisca per equivalente, così vanificando ogni esigenza cautelare - è legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di beni costituenti profitto illecito anche quando l'impossibilità del loro reperimento sia soltanto transitoria e reversibile, purché sussistente al momento della richiesta e dell'adozione della misura - per il sequestro preventivo dei beni di cui è obbligatoria la confisca, eventualmente anche per equivalente, e quindi, dei beni che costituiscono prezzo e profitto del reato, non occorre la prova della sussistenza degli indizi di colpevolezza, né la loro gravità, né il "periculum" richiesto per il sequestro preventivo, essendo sufficiente accertarne la confiscabilità una volta che sia astrattamente possibile sussumere il fatto in una determinata ipotesi di reato - è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 53 del d.lgs. 231/2001 in riferimento all'art. 76 della Costituzione per eccesso di delega posto che l'art. 11 della legge di delega n. 300 del 2000 non contiene alcun riferimento alla possibilità di applicare in via cautelare la misura del sequestro preventivo)
24 settembre 2014 (c.c. 8 maggio 2014) n. 39177 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione III penale* (in tema di reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente non può essere disposto sul beni dell'ente ad eccezione dei caso in cui questo sia privo di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso il quale il reo agisca come effettivo titolare dei beni - anche in tema di reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica è legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto derivante dal reato tributario commesso dal suo legale rappresentante e rimasto nella disponibilità dell'ente - nel caso in cui il profitto di un reato sia rappresentato da denaro o altre cose fungibili, la confisca delle somme o del “tantundem” rinvenute nella disponibilità del soggetto (persona fisica o giuridica) che lo ha percepito, anche sotto forma di un risparmio di spesa attraverso l'evasione dei tributi, avviene, alla luce della fungibilità di esso, sempre in forma specifica sul profitto diretto e mai per equivalente - qualora il profitto tratto da taluno dei reati per i quali è prevista la confisca per equivalente sia costituito da denaro, l'adozione del sequestro preventivo non è subordinata alla verifica che le somme provengano dal delitto e siano confluite nella effettiva disponibilità dell'indagato, in quanto il denaro oggetto di ablazione deve solo "equivalere" all'importo che corrisponde per valore ai prezzo o al profitto del reato, non sussistendo alcun nesso pertinenziale tra il reato e li bene da confiscare, con la conseguenza che è pertanto ammissibile il sequestro preventivo, ex art. 321 cod. proc. pen., qualora sussistano indizi per i quali il denaro di provenienza illecita sia stato depositato in banca ovvero investito in titoli, anche nel confronti delle persone giuridiche ed indipendentemente dal reato per il quale si procede, e quindi anche con riferimento ai reati tributari, proprio perché il vincolo non è imposto sul valore equivalente ai bene da assicurare al processo ma direttamente sul bene ex se confiscabile, trattandosi di assicurare ciò che proviene dal reato e che si è cercato di nascondere con il più semplice degli artifizi o che si è indebitamente trattenuto (sui conti correnti) per non avere adempiuto, come normalmente avviene attraverso la consumazione del reati tributari, a precisi obblighi fiscali - posto che la nozione di profitto finalizzato alla confisca ricomprende ogni utilità che sia conseguenza diretta o indiretta dell'attività criminosa, nella nozione di profitto funzionale alla confisca rientrano non soltanto i beni appresi per effetto diretto ed immediato dell'illecito ma anche ogni altra utilità che sia conseguenza, anche indiretta o mediata, dell'attività criminosa cosicché la trasformazione che il denaro, profitto del reato, abbia subito in beni di altra natura, fungibili o infungibili, non è di ostacolo al sequestro preventivo il quale ben può avere ad oggetto il bene di investimento così acquisito attraverso la conversione del denaro con altro bene - la confisca diretta del profitto di reato è possibile anche nei confronti di una persona giuridica per le violazioni fiscali commesse dal legale rappresentante o da altro organo della persona giuridica nell'interesse della società, quando il profitto o i beni direttamente riconducibili a tale profitto siano rimasti (e si provi che siano riconducibili al profitto e che siano rimasti) nella disponibilità della persona giuridica medesima - il sequestro per equivalente è precluso nel confronti delle persone giuridiche dal d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 perché i reati per i quali detto decreto legislativo consente, in applicazione dell'art. 321 cod. proc. pen., il sequestro per equivalente sono numerus clausus ed i reati tributari non sono ricompresi nel novero di quelli per i quali è ammesso il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di valore)
18 settembre 2014 (ud. 24 aprile 2014) n. 38343 - sentenza - Corte di Cassazione - sezioni unite penali* (il sistema della responsabilità amministrativa da reato degli enti costituisce un corpus normativo di peculiare impronta, un tertium genus se si vuole, ma è comunque parte del più ampio e variegato sistema punitivo con evidenti regioni di contiguità con l'ordinamento penale - compatibilità della disciplina legale con i principi costituzionali dell'ordinamento penale – è da escludere che la disciplina violi il principio della responsabilità per fatto proprio in quanto il reato commesso dal soggetto inserito nella compagine dell'ente in vista del perseguimento dell'interesse o del vantaggio di questo è sicuramente qualificabile come “proprio” anche della persona giuridica, e ciò in forza del rapporto di immedesimazione organica che lega la prima alla seconda - è da escludere che il sistema violi il principio di colpevolezza - il rimprovero riguarda l'ente e non il soggetto che per esso ha agito ma sarebbe vano e fuorviante andare alla ricerca del coefficiente psicologico della condotta tanto più quando l'illecito presupposto sia colposo giacché la colpa presenta essa stessa connotati squisitamente normativi che ne segnano il disvalore - il legislatore ha inteso imporre alle organizzazioni complesse l'obbligo di adottare le cautele necessarie a prevenire la commissione di alcuni reati, adottando iniziative di carattere organizzativo e gestionale, e tali accorgimenti vanno consacrati in un documento, un modello che individua i rischi e delinea le misure atte a contrastarli - non aver ottemperare a tale obbligo fonda il rimprovero, la colpa d'organizzazione - la responsabilità dell'ente si fonda sulla colpa di organizzazione ma grava sull'accusa l'onere di dimostrare l’esistenza dell'illecito penale in capo alla persona fisica inserita nella compagine organizzativa della societas e che abbia agito nell'interesse di questa - tale accertata responsabilità si estende poi "per rimbalzo" dall'individuo all'ente collettivo, nel senso che vanno individuati precisi canali che colleghino teologicamente l'azione dell'uno all'interesse dell'altro e, quindi, gli elementi indicativi della colpa di organizzazione dell'ente, che rendono autonoma la responsabilità del medesimo ente - nessuna inversione dell'onere della prova è, pertanto, ravvisabile nella disciplina che regola la responsabilità da reato dell'ente, gravando comunque sull'accusa la dimostrazione della commissione del reato da parte di persona che riveste una delle qualità di cui al d.lgs. n. 231, art. 5, e la carente regolamentazione interna dell’ente, che ha ampia facoltà di offrire prova liberatoria - i due criteri d'imputazione dell'interesse e del vantaggio si pongono in rapporto di alternatività - il criterio dell'interesse esprima una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante, al momento della commissione del fatto, e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo - il criterio del vantaggio ha una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ax post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell'illecito - i concetti di interesse e vantaggio nei reati colposi d'evento vanno di necessità riferiti alla condotta e non all'esito antigiuridico e tale soluzione non determina alcuna difficoltà di carattere logico in quanto è ben possibile che una condotta caratterizzata dalla violazione della disciplina cautelare e quindi colposa sia posta in essere nell'interesse dell'ente o determini comunque il conseguimento di un vantaggio - un profitto confiscabile è configurabile anche nel reato colposo - con riguardo ad una condotta che reca la violazione di una disciplina prevenzionistica, posta in essere per corrispondere ad istanze aziendali, l'idea di profitto si collega con naturalezza ad una situazione in cui l'ente trae da tale violazione un vantaggio che si concreta, tipicamente, nella mancata adozione di qualche oneroso accorgimento di natura cautelare, o nello svolgimento di una attività in una condizione che risulta economicamente favorevole, anche se meno sicura di quanto dovuto, così concretandosi il vantaggio che costituisce il nucleo essenziale dell'idea normativa di profitto - il modello organizzativo non può dirsi efficacemente adottato quando difetti l’indipendenza dell’organismo di vigilanza di cui faccia parte il responsabile dell'area ecologica, ambiente e sicurezza che si occupi di manutenzione degli impianti e di organizzazione del servizio di emergenza in quanto settori sui quali l'organismo è chiamato a svolgere le sue funzioni)
15 settembre 2014 (c.c. 18 giugno 2014) n. 37712 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione II penale* (misura cautelare interdittiva del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione - per l'adozione di una misura cautelare interdittiva, la nozione di profitto di rilevante entità ha un contenuto più ampio di quello di profitto inteso come utile netto, in quanto in tale concetto rientrano anche vantaggi non immediati, comunque conseguiti attraverso la realizzazione dell'illecito - il giudizio circa la sussistenza di un profitto di rilevante entità non discende automaticamente dalla considerazione del valore del contratto o del fatturato ottenuto a seguito del reato, seppure tali importi ne siano, ove rilevanti, importante indizio almeno con riferimento ad alcuni dei reati indicati negli artt. 24 e 25 del D.P.R. n. 231 del 2001 - la valutazione della sussistenza delle esigenze cautelari implica l'esame di due tipologie di elementi: la prima, di carattere oggettivo ed attinente alle specifiche modalità e circostanze del fatto, può essere evidenziata dalla gravità dell'illecito e dalla entità dei profitto; l'altra ha natura soggettiva ed attiene alla personalità dell'ente, e per il suo accertamento devono considerarsi la politica di impresa attuata negli anni, gli eventuali illeciti commessi in precedenza e soprattutto lo stato di organizzazione dell'ente - nell'ipotesi di responsabilità derivante da condotte poste in essere dai dirigenti dell'ente, la sostituzione o l'estromissione degli amministratori coinvolti possono portare a escludere la sussistenza del periculum purchè ciò rappresenti il sintomo del fatto che l'ente inizia a muoversi verso un diverso tipo di organizzazione, orientata nel senso della prevenzione dei reati - in tema di responsabilità da reato degli enti collettivi è sempre possibile l'applicazione contestuale di misure cautelari interdittive e reali atteso che il divieto di cumulabilità delle misure cautelari contenuto nell'art. 46, comma quarto, D.Lgs. n. 231 del 2001, riguarda esclusivamente le prime e non anche le seconde, disciplinate in maniera esaustiva ed autonoma degli artt. 53 e 54 stesso decreto)
5 maggio 2014 (c.c. 6 marzo 2014) n. 18311 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione III penale* (sequestro preventivo per equivalente sulle somme contenute nel conto corrente intestato alla società nell'ambito di procedimento penale a carico dell’amministratore per reati fiscali - è consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto (o beni direttamente riconducibili ai profitto) sia nella disponibilità di tale persona giuridica - non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di una persona giuridica qualora non sia stato reperito il profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa, salvo che la persona giuridica sia uno schermo fittizio - non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro commessi quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in capo a costoro o a persona (compresa quella giuridica) non estranea al reato - la impossibilità del sequestro del profitto del reato può essere anche solo transitoria, senza che sia necessaria la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto di reato - al di fuori dei casi in cui sia stato possibile dimostrare che la società non sia che uno schermo fittizio, è assolutamente normale la disponibilità dei beni societari da parte del suo amministratore ma tale disponibilità deve ritenersi, fino a prova contraria, nell'interesse dell'ente e in ragione della funzione che lo stesso ricopre e ciò in ragione della fondamentale distinzione tra il patrimonio della persona giuridica e quello dei suoi amministratori - il giudice che dispone il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente deve sempre motivare in ordine all'impossibilità del sequestro diretto del profitto di reato con le difficoltà che ciò comporta laddove questo, in materia di reati tributari, è costituito generalmente da un risparmio di spesa - la prova che ci si trovi di fronte al profitto del reato può dirsi raggiunta quando emerga dagli atti o sia comunque altrimenti provato che somme equivalenti a quelle sottratte al pagamento all'erario siano state utilizzate dalla società, nello stesso contesto temporale o, evidentemente, in quello immediatamente successivo, ad esempio, per saldare debiti verso i fornitori, pagare gli stipendi, etc. - irrazionalità del sistema e auspicio di un intervento del legislatore volto ad inserire i reati tributari tra quelli per i quali sia configurabile una responsabilità amministrativa dell'ente ai sensi del D.lgs. 231/2001)
16 aprile 2014 (ud. 20 febbraio 2014) n. 16665 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione III penale* (attività di gestione di rifiuti non autorizzata - una interpretazione della norma costituzionalmente orientata nonché aderente ai principi di cui alla Corte europea dei diritto dell’uomo deve necessariamente condurre a ritenere che la speciale confisca dei mezzi utilizzati per il trasporto illecito di rifiuti deroghi ai principi generali in tema di obbligatorietà, essendo disciplinata, per gli aspetti non regolamentati dalla norma speciale, dalla previsione dell'art. 240 c.p. e, in particolare, dal comma 3, laddove si prevede, per effetto del richiamo ai commi 1 e 2, n. 1, che la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto o il prezzo non opera ove queste appartengano a persona estranea al reato - l'espressa previsione per l'ente di poter provare la sua estraneità ai reati commessi nel suo interesse da persone che rivestono funzioni apicali (artt. 5 e 6 d.lgs. 231 del 2001 cit.), anche quando l'ente sia di piccole dimensioni (art. 6, comma 4), introduce elementi di possibile estraneità dell'ente al reato commesso dal suo legale rappresentante dei quali il giudice non può non tenere conto in sede di confisca di beni diversi dal profitto del reato (essendo il profitto comunque confiscabile a norma dell'art. 6, u.c., d.lgs. n. 231 cit.) - il terzo proprietario del mezzo estraneo al reato (da intendersi come persona che non ha partecipato alla commissione dello stesso o ai profitti che ne sono derivati) può evitare la confisca se provi la sua buona fede ossia che l'uso illecito della res gli sia stato ignoto e non collegabile ad un suo comportamento negligente).
15 aprile 2014 (c.c. 12 marzo 2014) n. 16359 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione II penale* (sequestro preventivo per equivalente di somme di denaro, titoli e valori, beni mobili, immobili ed altre utilità in ragione della prospettata responsabilità amministrativa della società derivante dalla commissione del reato di formazione fittizia di capitale di cui all'art. 2632 c.c. - l'accertato incremento del capitale sociale, benché fittizio, è realizzato anche nell'interesse ovvero a vantaggio della società poiché da quell'incremento consegue un aumento di affidabilità della medesima società nei confronti dei terzi ed una moltiplicazione del valore delle azioni, anche in conseguenza della diffusione di comunicati in ordine all'avvenuta capitalizzazione - poiché l'aumento fittizio del capitale costituisce un'operazione effettuata nell'interesse della società, di cui questa si avvantaggia, e che, pertanto, il profitto che ne il profitto ricavato è confiscabile)
9 aprile 2014 (c.c. 12 marzo 2014) n.15904 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione VI penale* (istanza di astensione e dichiarazione di ricusazione dei giudici componenti il Tribunale chiamato a giudicare della responsabilità di amministratori e legali rappresentanti di società in ordine a reati presupposto della responsabilità degli enti avendo i medesimi giudici composto i collegi del Tribunale che avevano rigettato gli appelli proposti dalle medesime società di cui gli imputati erano rispettivi amministratori e legali rappresentanti avverso rispetto al fatto illecito dell'ente, il reato commesso da un suo dipendente o da un suo soggetto di vertice rappresenta una condizione necessaria sebbene non sufficiente e addurre che in riferimento a tale condizione non si esprima, in fase cautelare, un giudizio prognostico di responsabilità individuale dell'autore del reato è assunto che confligge con i principi di realtà e ragionevolezza - i giudici del collegio del Tribunale, delibando e confermando quali giudici dell'appello cautelare l'ordinanza che aveva applicato la misura interdittiva alle società per gli illeciti amministrativi derivanti dai reati ascritti agli amministratori, hanno necessariamente vagliato la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza della commissione di tali reati da parte degli amministratori stessi cioè dei soggetti tratti a giudizio davanti al medesimo Tribunale per rispondere di quei medesimi reati sicchè sostenere che tale valutazione non sarebbe equiparabile al giudizio prognostico di responsabilità che, nei confronti dell'indagato o dell'imputato, è demandato al Tribunale del riesame cautelare personale, rappresenta una chiave di lettura della vicenda affatto formalistica ed intrinsecamente erronea - rispetto al fatto illecito dell'ente, il reato commesso da un suo dipendente o da un suo soggetto di vertice rappresenta una condizione necessaria sebbene non sufficiente e addurre che in riferimento a tale condizione non si esprima, in fase cautelare, un giudizio prognostico di responsabilità individuale dell'autore del reato è assunto che confligge con i principi di realtà e ragionevolezza - i procedimenti aventi ad oggetto rispettivamente l’appello cautelare riguardante le società e il giudizio di merito nei confronti delle persone fisiche imputate, separati pur non ricorrendo le condizione dettate dall'art. 38 co. 2 D.Lvo 231/2001, per quanto paralleli, sono assolutamente distinti anche sul piano formale sebbene abbiano una base storica comune data dalla commissione del reato)
4 marzo 2014 (ud. 28 novembre 2013) n. 10265 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione V penale* (reati societari e abusi di mercato - anche per i reati societari i criteri ascrittivi della responsabilità sono quelli generali previsti dal primo comma dell'art. 5 del D.Lgs. n. 231/2001 nonostante la menzione nell’art. 25 del solo criterio dell’interesse potrebbe rivelare l'apparente intenzione legislativa di ridimensionare l'area della responsabilità dei soggetti collettivi - attività illecite comunque tese a far raggiungere e mantenere alla società una posizione di preminenza sul mercato, anche occultandone le eventuali lacune sul piano della tenuta finanziaria e patrimoniale, non possono non ritenersi consumate quantomeno anche nell'interesse della medesima - irrilevanza ai fini della configurabilità dell'interesse ex ante della società delle vicende successive alla consumazione dei reati presupposto - del tutto irrilevante risulta che eventuali vantaggi seguiti alla consumazione del reato presupposto siano stati solo temporanei ovvero che addirittura il saldo finale della vicenda si sia tradotto in un danno per il soggetto collettivo - il richiamo all'interesse dell'ente caratterizza in senso marcatamente soggettivo la condotta delittuosa della persona fisica e si accontenta di una verifica ex ante - viceversa, il vantaggio, che può essere tratto dall'ente anche quando la persona fisica non abbia agito nel suo interesse, richiede sempre una verifica ex post - la formula normativa non contiene un'endiadi, perché i termini hanno riguardo a concetti giuridicamente diversi, potendosi distinguere un interesse a monte per effetto di un indebito arricchimento, prefigurato e magari non realizzato, in conseguenza dell'illecito, da un vantaggio obbiettivamente conseguito con la commissione del reato, seppure non prospettato ex ante, con la conseguenza che l'interesse ed il vantaggio devono ritenersi criteri imputativi concorrenti, ma alternativi - è da respingere l'opinione per cui i due vocaboli utilizzati dal legislatore sarebbero termini di una endiadi che additerebbe in realtà all'interprete un criterio ascrittivo unitario della responsabilità da reato, riducibile ad un interesse dell'ente inteso in senso obiettivo - ai fini della configurabilità della responsabilità dell'ente, è sufficiente che venga provato che lo stesso abbia ricavato dal reato un vantaggio, anche quando non è stato possibile determinare l'effettivo interesse vantato ex ante alla consumazione dell'illecito e purché non sia contestualmente stato accertato che quest'ultima sia stato commesso nell'esclusivo interesse del suo autore persona fisica o di terzi - è corretto attribuire alla nozione di interesse una dimensione non propriamente od esclusivamente soggettiva, che determinerebbe una deriva psicologica nell'accertamento della fattispecie - il concetto di interesse mantiene invece anche e soprattutto una sua caratterizzazione oggettiva, evidenziata proprio dal disposto del secondo comma dell'art. 5, il che consente di conservare autonomia concettuale al termine vantaggio pure contemplato dalla norma menzionata tra i criteri ascrittivi della responsabilità - l'interesse dell'autore del reato può coincidere con quello dell'ente (rectius: la volontà dell'agente può essere quella di conseguire l'interesse dell'ente), ma la responsabilità dello stesso sussiste anche quando, perseguendo il proprio autonomo interesse, l'agente obiettivamente realizzi (rectius: la sua condotta illecita appaia ex ante in grado di realizzare, giacché rimane irrilevante che lo stesso effettivamente venga conseguito) anche quello dell'ente - perché possa ascriversi all'ente la responsabilità per il reato, è sufficiente che la condotta dell'autore di quest'ultimo tenda oggettivamente e concretamente a realizzare, nella prospettiva del soggetto collettivo, anche l'interesse del medesimo - confisca del profitto del reato - necessità che al concetto di vantaggio economico sia immanente il carattere dell'esternalità e cioè della necessità che il vantaggio conseguito grazie al reato, per essere qualificato come il profitto ricavato dallo stesso, si risolva in un incremento del patrimonio dell'ente - la nozione di profitto confiscabile richiamata negli artt. 240 c.p. e 19 D.Lgs. n. 231/2001 deve ritenersi riferita al vantaggio di natura economica che si risolve per colui che ne beneficia in un effettivo incremento patrimoniale e che possa ritenersi di diretta ed immediata derivazione causale dal reato - il profitto del reato di false comunicazioni sociali non è si identifica con le risorse non vincolate al patrimonio di vigilanza attraverso la sottostima del rischio di credito connesso alle operazioni in derivati - la scorretta rappresentazione del patrimonio può procurare un vantaggio all'ente, ma se questo non si traduce in un immediato incremento dello stesso patrimonio (anche costituito eventualmente da un effettivo risparmio di spesa) non è possibile configurare il conseguimento di alcun profitto assoggettabile alla misura ablativa prevista dall'art. 19 D.Lgs. n. 231/2001)
30 gennaio 2014 (ud. 18 dicembre 2013) n. 4677 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione V penale* (reati societari - aggiotaggio - l'inganno sotteso all’elusione fraudolenta del modello organizzativo e gestionale è diretto verso la struttura aziendale nel cui interesse il modello è stato predisposto - la responsabilità dell'ente non trova fondamento nel non aver impedito la commissione del reato - il fatto solo che il reato sia stato commesso non significa che il modello organizzativo fosse inadeguato - la responsabilità dell’ente non deriva da un atteggiamento psicologico improntato a colpa in ordinando o componendo, sottospecie della colpa in vigilando, ma da una valutazione di adeguatezza del modello organizzativo - la responsabilità dell’ente non ha natura oggettiva atteso che l'oggetto del giudizio (l'articolato normativo che esplicita un protocollo comportamentale) è comunque conseguenza di un'attività volontaria e consapevole di chi lo ha elaborato, approvato e reso esecutivo e dunque si tratta di un giudizio strettamente normativo - i modelli organizzativi e gestionali possono (non devono) essere adottati sulla scorta dei codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative ma non opera alcuna delega disciplinare a tali associazioni e alcun rinvio per relationem a tali codici che possono certamente essere assunti come paradigma del modello in concreto da adottare il quale tuttavia deve poi essere 'calato' nella realtà aziendale nella quale è destinato a trovare attuazione - anche il fatto che i codici di comportamento siano comunicati al Ministero di Giustizia, che può formulare osservazioni, non vale a conferire a tali modelli il crisma della incensurabilità, quasi che il giudice fosse vincolato a una sorta di ipse dixit aziendale e/o ministeriale, in una prospettiva di privatizzazione della normativa da predisporre per impedire la commissione di reati - nel valutare i modelli il giudice non potrà avere come parametri suoi personali convincimenti o sue soggettive opinioni, ma dovrà far riferimento alle linee direttrici generali dell'ordinamento (e in primis a quelle costituzionali: art 41 comma terzo), ai principi della logica e ai portati della consolidata esperienza - inidoneità di un modello finalizzato a prevenire il reato di aggiotaggio il quale preveda che la comunicazione sia elaborata da un organo interno ma diffusa da organi apicali (presidente e amministratore delegato) sottoposti ai controllo di un organo alle dirette dipendenze proprio del presidente - necessità che la funzione di vigilanza sul funzionamento e sull'osservanza del modello sia attribuita a un organismo dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo e dunque non subordinato all’organo controllante - se all'organo di controllo non è nemmeno concesso di esprimere una dissenting opinion sulla comunicazione (rendendo così almeno manifesta la propria contrarietà modo da mettere in allarme i destinatari), il modello organizzativo non può ritenersi atto a impedire la consumazione di un tipico reato di comunicazione quale è l'aggiotaggio - la elusione fraudolenta ad opera del soggetto apicale costituisce un indice rivelatore della validità del modello nel senso che solo una condotta fraudolenta appare atta a forzarne le misure di sicurezza - la condotta di elusione fraudolenta non può consistere nella mera violazione delle prescrizioni contenute nel modello ma, pur non dovendo necessariamente coincidere con gli artifizi e i raggiri del reato di truffa, non può non consistere in una condotta ingannevole, falsificatrice, obliqua, subdola - l’elusione fraudolenta deve consistere in una condotta di aggiramento di una norma imperativa non di semplice e frontale violazione della stessa, altrimenti ci si trova in presenza di un abuso (cioè dell'uso distorto di un potere) ma non di un inganno e quindi di una condotta fraudolenta)
24 gennaio 2014 n. 3635 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione VI penale* (sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente del profitto di reati presupposto della responsabilità dell’ente - causazione di danni ambientali agendo nell’interesse ed a vantaggio dell’ente omettendo di provvedere ad effettuare opere di risanamento ambientale - irrilevanza, ai fini della responsabilità amministrativa dell’ente, di fattispecie di reato estranee al tassativo catalogo dei reati-presupposto dell’illecito dell’ente collettivo - irrilevanza, ai fini della individuazione del profitto confiscabile, di fattispecie di reato estranee al catalogo dei reati-presupposto anche nella prospettiva di una loro imputazione quali delitti-scopo del reato-presupposto di cui all’articolo 416 c.p. pena la violazione del principio di tassatività del sistema sanzionatorio - assenza di legame eziologico diretto tra violazioni in materia ambientale e componenti del relativo profitto identificabili nel risparmio delle spese necessarie per la realizzazione di opere di risanamento ambientale - la confisca del risparmio-profitto è possibile solo nel momento in cui l’ente realizzasse in concreto un ricavo in misura superiore a quello altrimenti conseguibile tenendo conto dell’entità dei costi ambientali specificamente individuati e determinati all’interno della relativa cornice storico-fattuale - è confiscabile il profitto materialmente conseguito di entità superiore a quello che sarebbe stato ottenuto senza omettere l’erogazione delle spese dovute - ai fini dell’irrogazione della sanzione della confisca del profitto del reato e dell’applicabilità del sequestro ad essa finalizzato rileva il momento consumativo del reato e non il momento di percezione del profitto stesso - necessaria distinzione tra confisca del profitto del reato prevista dagli artt. 9 e 19 come sanzione principale, obbligatoria ed autonoma rispetto alle altre previste a carico dell’ente, e confisca del profitto del reato configurata dall’articolo 6, comma 5, del medesimo decreto, applicabile solo nel caso in cui difetti la responsabilità dell’ente, costituente strumento volto a ristabilire l’equilibrio economico alterato dal reato presupposto i cui effetti siano comunque andati a vantaggio dell’ente - in definitiva è necessario perché possa individuarsi un profitto assoggettabile a sequestro e poi a confisca ai sensi delle disposizioni di cui agli artt. 19 e 53,che si verifichi, quale diretta conseguenza della commissione del reato, uno spostamento reale di risorse economiche, ossia una visibile modificazione positiva del patrimonio dell’ente, evitando improprie assimilazioni tra la nozione di profitto del reato, inteso quale reale accrescimento patrimoniale, e la causazione di meri danni risarcibili relativi a risparmi di spesa indebitamente ottenuti dall’ente per effetto della mancata esecuzione di opere di risanamento ambientale - l’applicazione del vincolo cautelare reale e della successiva misura ablativa non può essere fatta retroagire a condotte realizzate anteriormente alla rilevata esistenza dei presupposti e delle condizioni per la stessa configurabilità della responsabilità amministrativa dell’ente, assumendo rilievo solo le condotte temporalmente coperte dalla vigenza nel catalogo dei reati-presupposto della fattispecie associativa e degli illeciti in materia ambientale)
8 gennaio 2014 (c.c. 28 novembre 2013) n. 326 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione II penale* (ipotesi di revoca delle misure cautelari - risarcimento integrale del danno e eliminazione delle conseguenze dannose del reato ovvero efficace adopramento in tal senso - non costituisce risarcimento effettivo del danno la costituzione di un accantonamento costitutivo di una riserva indisponibile certificata dal collegio sindacale comunicato alle persone danneggiate dal reato solo dieci giorni prima della scadenza del periodo di sospensione di sette mesi concesso dal giudice - le disposizioni funzionali alla regolarizzazione, attraverso schemi rigorosi, dell'organizzazione dell'ente tali da impedire la reiterazione dei reati devono essere interpretate con il massimo rigore per poter perseguire la massima efficacia il che deve tradursi nella diretta consegna alle persone danneggiate della somme costitutive del risarcimento del danno ovvero in modalità che garantiscano la presa materiale della somma risarcita su iniziativa del danneggiato senza la necessità di una ulteriore collaborazione per la traditio dell`ente risarcente - il risarcimento del danno è misura che, nell’impossibilità di una determinazione ancorata a parametri rigidi, presuppone una condotta comunicativa con il danneggiato il quale potrebbe aderire all'offerta oppure rifiutarla allegando motivazioni non pretestuose ma oggettive e meritevoli di ogni seria considerazione - la determinazione del danno e delle conseguenze non deve avvenire per iniziative unilaterali ma in virtù di una collaborazione o comunque contatto tra parti contrapposte, tale da doversi ritenere efficace l'adopramento preteso dalla disposizione - per l'effettività ed ancor più per l'integralità del risarcimento e delle condotte funzionali a realizzarlo, occorrerà che, in relazione al reato per cui si procede contro la persona fisica, la società si impegni ad individuare le persone offese e danneggiate dal reato, a prescindere anche dalla costituzione di parte civile nel giudizio, se instaurato, nei confronti della persona fisica imputata, ed a risarcirne, ove sussistente, il danno ed occorrerà che, in caso di difficile determinazione dello stesso, la società dia prova di essersi adoperata per risarcirlo quanto meno attraverso contatti con gli interessati al risarcimento che possano valere a dimostrare di essa l'effettiva intenzione riparatoria - in relazione al reato di turbata libertà degli incanti il privato che assume di essere danneggiato dal reato deve quanto meno, se individuato, essere destinatario del risarcimento subito e comunque essere contattato dalla società se questa vuole dare prova di essersi adoperata a risarcire integralmente il danno ed a eliminare le conseguenze dannose o pericolose del reato)
30 ottobre 2013 (depositata 22 novembre 2013) - sentenza - Tribunale di Trento in composizione monocratica giudice dr. Guglielmo Avolio* (lesioni colpose gravi commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro - le fattispecie di cui all'art. 25 septies del decreto n. 231/2001 sono imputabili alle persone giuridiche sulla base della constatazione della compatibilità con esse dei criteri di attribuzione della responsabilità dell'interesse o del vantaggio - i criteri dell'interesse o del vantaggio devono essere letti ed accertati in sede processuale non in relazione all'evento (morte o ferimento del lavoratore) verificatosi in seguito all'omesso rispetto delle regole cautelari antinfortunistiche, quanto, piuttosto, in relazione alle stesse condotte emissive colpose causative dell'evento, ricorrendosi per il primo (l'interesse) ad un giudizio prognostico ex ante, e per il secondo (il vantaggio) ad un giudizio causale ex post - per imputare il reato all'ente occorre verificare il vantaggio economico indiretto, costituito dal risparmio dei costi non sostenuti, che la società ha tratto dalla mancata adozione delle misure di sicurezza richieste dalla legge per la prevenzione di infortuni sul lavoro (consulenza per la stesura di un efficace documento valutazione dei rischi; messa in sicurezza del luogo di lavoro e dotazione ai lavoratori di indumenti idonei al sicuro svolgimento delle proprie mansioni; formazione professionale degli stessi ecc.) - la responsabilità dell'ente, al pari di quella dell'imputato-persona fisica, essendo di tipo colposo, non può essere esclusa per la sola esiguità del vantaggio o per la scarsa consistenza dell`interesse perseguito - inferire dall’esiguità del vantaggio o dalla scarsa consistenza dell`interesse perseguito la carenza o l'insufficienza di prova dell'elemento soggettivo è giustificato per tipologie di illecito connotate da colpa cosciente o da dolo eventuale ma non per quelle connotate da colpa - il problema del dosaggio degli antecedenti causali (di tipo omissivo nella configurazione tipica della fattispecie), efficienti rispetto alla causazione dell'evento, dev'essere trattato sempre con particolare attenzione in un contesto generale in cui, sovente, limitate imprudenze o negligenze possono risolversi in immani catastrofi)
5 giugno 2013 (c.c. 22 maggio 2013) n. 24559 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione VI penale* (sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto del reato - aggiotaggio - l'espressione normativa "nel suo interesse o a suo vantaggio" non contiene un'endiadi perché i termini hanno riguardo a concetti giuridicamente diversi potendosi distinguere un interesse "a monte" per effetto di un indebito arricchimento, prefigurato e magari non realizzato, in conseguenza dell'illecito da un vantaggio obbiettivamente conseguito con la commissione del reato, seppure non prospettato "ex ante" sicché l'interesse ed il vantaggio sono in concorso reale - la responsabilità della persona giuridica non è esclusa laddove l'ente abbia avuto un interesse concorrente a quello dell'agente o degli agenti che, in posizione qualificata nella sua organizzazione, abbiano commesso il reato presupposto - non è corretto far coincidere l'interesse oggettivo con le soggettive intenzioni e rappresentazioni dell'agente o degli agenti poiché quel requisito finirebbe per essere ingiustificatamente identificato con il dolo specifico che riguarda la sfera soggettiva dell'autore o degli autori del reato presupposto, e non l'ente – il profitto del reato di aggiotaggio tratto dalla stessa società è, come tale, sempre confiscabile a mente sia dell'art. 2461 cod. civ., che dell'art. 6 comma 5 d.lgs. n. 231 del 2001, anche laddove dovesse essere esclusa la responsabilità amministrativa dell'ente - la confisca del profitto del reato prevista dagli artt. 9 e 19 d.lgs. n. 231 del 2001 si configura come sanzione principale, obbligatoria ed autonoma rispetto alle altre previste a carico dell'ente, e si differenzia da quella configurata dall'art. 6 comma 5 del medesimo decreto, applicabile solo nel caso difetti la responsabilità della persona giuridica, la quale costituisce invece uno strumento volto a ristabilire l'equilibrio economico alterato dal reato presupposto, i cui effetti sono comunque andati a vantaggio dell'ente.
4 giugno 2013 (c.c. 8 aprile 2013) n. 24277 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione VI penale* (In tema di responsabilità da reato degli enti, qualora debbano imputarsi al profitto del reato presupposto dei crediti, ancorché liquidi ed esigibili, gli stessi non possono costituire oggetto di un provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, trattandosi di utilità non ancora percepite dall'ente, ma soltanto attese - il profitto del reato oggetto della confisca di cui all'art. 19 del D.Lgs. n. 231 del 2001 si identifica con il vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato presupposto, ma, nel caso in cui questo venga consumato nell'ambito di un rapporto sinallagmatico, non può essere considerato tale anche l'utilità eventualmente conseguita dal danneggiato in ragione dell'esecuzione da parte dell'ente delle prestazioni che il contratto gli impone - nella ricostruzione della nozione di profitto oggetto di confisca, non può farsi ricorso a parametri valutativi di tipo aziendalistico, quali ad esempio quelli del "profitto lordo" e del "profitto netto", ma, al contempo, tale nozione non può essere dilatata fino a determinare un'irragionevole e sostanziale duplicazione della sanzione nelle ipotesi in cui l'ente, adempiendo al contratto, che pure ha trovato la sua genesi nell'illecito, pone in essere un 'attività i cui risultati economici non possono essere posti in collegamento diretto ed immediato con il reato)
28 maggio 2013 (c.c. 9 maggio 2013) n. 22980 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione III penale* (il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente previsto dall'art. 19, co. 2, d.lvo 231/01, nei confronti delle persone giuridiche, non può essere disposto sui beni di qualsiasi natura appartenenti alla persona giuridica nel caso in cui si proceda per le violazioni finanziarie commesse dal legale rappresentante della società, sulla base dell'art. 1, co. 143, L. 244/07, atteso che gli artt. 24 e ss. del citato d.lvo non prevedono i reati fiscali tra le fattispecie in grado di giustificare l'adozione del provvedimento, salva sempre l'ipotesi ove la struttura aziendale costituisca un apparato fittizio, utilizzato dal reo per commettere gli illeciti, in quanto in tal caso l'illecito non risulta commesso nell'interesse o a vantaggio di una persona giuridica, ma del reo medesimo attraverso lo schermo dell'ente - società non indagata ma partecipante alla utilizzazione degli incrementi economici derivati dall'illecito commesso dal suo legale rappresentante - sequestro finalizzato a rendere possibile il pagamento delle imposte evase con la condotta dell'indagato)
17 maggio 2013 (c.c. 25 gennaio 2013) n. 21222 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione VI penale* (il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente del profitto del reato di corruzione può incidere contemporaneamente o indifferentemente sui beni dell'ente che dal medesimo reato ha tratto vantaggio e su quelli della persona fisica che lo ha commesso, con l'unico limite per cui il vincolo cautelare non può eccedere il valore complessivo del suddetto profitto - il nesso che lega la responsabilità della persona giuridica e quella della persona fisica ha origine nel reato presupposto commesso nell'interesse o vantaggio dell'ente, che deve essere inteso come fatto unico riferibile ad entrambi i soggetti, per cui trova applicazione il principio solidaristico dello schema concorsuale, con la conseguenza che, mancando l'individualità storica del profitto illecito, il sequestro preventivo diretto alla confisca per equivalente può interessare indifferentemente ciascuno dei soggetti sottoposti a indagine anche per l'intero valore del profitto accertato, ma il principio solidaristico non può giustificare, neppure a livello cautelare, che il vincolo di indisponibilità ecceda il valore stesso del profitto, addirittura determinando ingiustificate duplicazioni - dall'unicità del reato non può che derivare l'unicità del profitto, con la conseguenza che il sequestro preventivo non può mai eccedere l'ammontare complessivo del profitto accertato)
2 maggio 2013 (c.c. 10 gennaio 2013) n. 19051 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione VI penale* (carattere di sanzione principale, autonoma e obbligatoria della confisca prevista dall'art. 19 d.lgs. 231 del 2001, avente natura afflittiva e funzione di deterrenza in vista di prevenzione generale e speciale -
l'uso della locuzione “può” contenuta nel secondo comma dell'art. 19 cit. non trasforma in sanzione facoltativa la confisca di valore ma sta semplicemente a significare che perché abbia luogo questo tipo di confisca il giudice deve preventivamente verificare l'impossibilità di procedere alla confisca diretta del prezzo o del profitto e l'equivalenza di valore tra i beni confiscati e il prezzo o il profitto derivante dal reato - non c'è alcuna differenza con la confisca per equivalente regolamentata nel codice penale (artt. 322-ter, 640-quater, 644 c.p.) - la natura obbligatoria della confisca comporta che l'adozione del sequestro preventivo non deve essere preceduta da una valutazione comparativa tra ragioni della confisca e interessi dei creditori della procedura fallimentare ma al contrario la valutazione in ordine al periculum deve limitarsi alla sola verifica della stessa confiscabilità del bene - in tema di sequestro preventivo funzionale alla confisca di beni appartenenti alla società fallita la curatela fallimentare non è terzo estraneo al reato, in quanto il concetto di appartenenza ha una portata più ampia del diritto di proprietà sì che deve intendersi per terzo estraneo al reato soltanto colui che non partecipi in alcun modo alla commissione dello stesso o all'utilizzazione dei profitti derivati - il sequestro preventivo avente ad oggetto un bene confiscabile in via obbligatoria deve ritenersi assolutamente insensibile alla procedura fallimentare, prevalendo l'esigenza di inibire l'utilizzazione di un bene intrinsecamente e oggettivamente "pericoloso" in vista della sua definitiva acquisizione da parte dello Stato e lo stesso deve dirsi con riferimento ai sequestro finalizzato alla confisca obbligatoria, per equivalente, del profitto ottenuto illecitamente in quanto derivante da reato - nel sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente è necessaria da parte del giudice una valutazione relativa all'equivalenza tra il valore dei beni e l'entità del profitto, così come avviene in sede esecutiva della confisca, non essendovi ragioni per cui durante la fase cautelare possa giustificarsi un sequestro avente ad oggetto beni per un valore eccedente il profitto o il prezzo del reato)
7 marzo 2013 (c.c. 5 marzo 2013) n. 10903 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione VI penale* (ordinanza cautelare nei confronti dell’ente - motivazione c.d. per relationem sul compendio indiziario dei reati con richiamo al contenuto dell’ordinanza applicativa della misura cautelare personale facente parte di altro procedimento - difetto di motivazione dell'ordinanza cautelare nei confronti dell’ente, rimasto non sanato in appello, in ordine alle contestazioni sollevate dalla difesa a proposito della sussistenza dei gravi indizi dei fatti di reato costituenti il presupposto del contestato illecito amministrativo - considerato che l’art. 45 del D.Lgs. 231/2001 richiama espressamente l'art. 292 c.p.p., il quale a sua volta prevede, a pena di nullità, che l'ordinanza cautelare contenga, fra l'altro (comma 2, lett. c-bis), l'esposizione dei motivi per i quali sono stati ritenuti non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa, e che il modello procedimentale cui s'ispira l'art. 47 del D.Lgs. 231/2001 è quello a contraddittorio anticipato, a fronte della contestazione del quadro indiziario delineato nell'ordinanza cautelare personale, il mero rinvio al contenuto di questa, fatto dal Gip e lasciato invariato dal Tribunale, non può più assolvere all'onere motivazionale richiesto dal sistema)
22 febbraio 2013 (c.c. 16 novembre 2012) n. 8740 - sentenza - Corte di Cassazione - sezione II penale* (in caso di reati plurisoggettivi il sequestro preventivo per equivalente può incidere indifferentemente tanto sui beni dell'ente che ha tratto vantaggio dal reato quanto sui beni della persona fisica che ne è autore materiale, interessando ogni concorrente anche per l'intero profitto ove non sia possibile stabilire l'entità dell'arricchimento individuale ma risulti la corresponsabilità di tutti nell'illecito, con l'unico limite che il vincolo cautelare non può eccedere il valore complessivo del profitto - il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, avendo natura provvisoria, può interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l'intera entità del profitto accertato, anche se poi il provvedimento definitivo di confisca, rivestendo invece natura sanzionatoria, non può essere duplicato o comunque eccedere nel quantum l'ammontare complessivo dello stesso profitto - ai fini della ripartizione interna tra correi della cautela reale, il sequestro preventivo ha natura provvisoria, essendo strumentale alla futura esecuzione della confisca, e può pertanto essere disposto, per l'intero (e, cioè, fino all'entità del profitto complessivo), nei confronti di ciascuno degli indagati, a differenza della confisca, istituto di natura sanzionatoria che non può in alcun caso eccedere l’ammontare del prezzo o del profitto del reato - non può escludersi in linea di principio la possibilità di sottoporre a vincolo cautelare crediti che siano certi, liquidi ed esigibili - non può escludersi nel caso concreto che, quanto meno nell`ambito di una valutazione limitata sul piano cautelare al fumus commissi delicti, che il profitto costituisca immediata e diretta conseguenza del contratto stipulato tra due società non può negarsi aprioristicamente, ai fini dell'applicazione della misura cautelare reale, che un credito che sia certo, liquido ed esigibile possa costituire un'utilità” ex artt. l9, comma secondo, e 53 D.Lgs. n. 231/2001, in quanto l'ente creditore ben potrebbe comunque cederlo a titolo oneroso e acquisire in tal modo un effettivo arricchimento patrimoniale).
12 luglio 2012 (causa C-79/11) - sentenza - Corte di giustizia dell’Unione europea* (costituzione di parte civile nei confronti di persone giuridiche chiamate a rispondere della responsabilità «amministrativa» da reato in base al regime instaurato dal decreto legislativo n. 231/2001 - le persone offese in conseguenza di un illecito amministrativo da reato commesso da una persona giuridica non possono essere considerate, ai fini dell’applicazione dell’articolo 9, paragrafo 1, della decisione quadro 2001/220/GAI del Consiglio europeo, del 15 marzo 2001, come le vittime di un reato che hanno il diritto di ottenere che si decida, nell’ambito del processo penale, sul risarcimento da parte di tale persona giuridica - l’articolo 9, paragrafo 1, della decisione quadro 2001/220/GAI deve essere interpretato nel senso che non osta a che, nel contesto di un regime di responsabilità delle persone giuridiche come quello instaurato dal decreto legislativo n. 231/2001, la vittima di un reato non possa chiedere il risarcimento dei danni direttamente causati da tale reato, nell’ambito del processo penale, alla persona giuridica autrice di un illecito amministrativo da reato)
20 luglio 2011 (c.c. 6 luglio - dep. 27 luglio 2011) n. 249 - sentenza - Corte Costituzionale* (inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 43, comma 2, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 per violazione degli artt. 3, 24, 76, in relazione all’art. 11, comma 1, lettera q), della legge 29 settembre 2000, n. 300 , 111 e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 - palese irragionevolezza della norma alla stregua della quale le notificazioni all’ente sarebbero eseguite mediante consegna al suo legale rappresentante anche quando, essendo questi imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo, sussista nei suoi confronti una presunzione iuris et de iure di incompatibilità)
3 gennaio 2011 - sentenza - Tribunale di Milano giudice dell’udienza preliminare dr. Fabrizio D’Arcangelo* (reati societari e abusi di mercato - inammissibilità dell’eccezione di indeterminatezza dell’imputazione a seguito della richiesta incondizionata di giudizio abbreviato - principi generali e criteri di attribuzione della responsabilità amministrativa - colpa di organizzazione declinata secondo il paradigma dei modelli di gestione ed organizzazione - causa di esonero da responsabilità per gli illeciti commessi da soggetti in posizione apicale e non elemento della fattispecie ascrittiva della responsabilità - in caso di reato presupposto commesso da apicali è ultroneo o comunque non doveroso il riferimento nel capo di imputazione alla colpa concretamente attribuibile all’ente, al modello di gestione ed organizzazione adottato, all’idoneità o meno dello stesso a prevenire delitti del tipo di quelli posti in essere e comportamento alternativo lecito esigibile - interesse e vantaggio dell’ente - interesse esclusivo proprio dell’autore o di terzi - irrilevanza e manifesta infondatezza di questione di illegittimità costituzionale dell’art. 6 del d.lgs. 231/01 per difetto di determinatezza e, pertanto, per contrasto con le disposizioni di cui agli artt. 24, comma primo, 25, comma secondo, e 27, commi primo e secondo, della Costituzione - profili di inadeguatezza dell’assetto organizzativo e dei presidi di controllo - confisca del profitto del reato di false comunicazioni sociali - confisca del profitto del reato di manipolazione informativa)
10 Febbraio 2009 - (ud. 16 dicembre 2008) - sentenza n. 3251 - Corte di Cassazione - sezione II civile* (violazione del D.Lgs. 24.2.1998, n. 58, articolo 149, comma 3, (T.U.F.), per non avere comunicato alla Consob che l'amministratore delegato della società, e, in un caso, anche un consigliere di amministrazione, non avevano riferito tempestivamente al collegio sindacale, e comunque oltre il termine di tre mesi prescritto, alcune delle operazioni contemplate nell'articolo 150, d.lgs. cit. - controllo sulla legittimità della gestione delle società per azioni quotate in borsa - doveri informativi dei sindaci nei confronti della Consob)
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