Lo strumento della certificazione e il d.lgs. 231/2001: polisemia ed interessi sottesi nelle diverse prescrizioni normative
La certificazione del Modello è ad oggi una questione piuttosto dibattuta, che non ha ancora trovato collocazione nel D.Lgs. 231/01, seppure sia prescritta da talune normative settoriali.
Secondo alcuni Autori potrebbe essere la soluzione al rischio di inadeguatezza del Modello (rectius, diniego del beneficio d'esimente).
Nondimeno tale soluzione è di difficile praticabilità, innanzitutto perché il termine “certificazione” non riveste un significato univoco e si presta ad applicazioni difformi.
Il progetto di legge di modifica del D.Lgs. 231/01 (c.d. “Progetto di Riforma Arel”) introduce de plano la certificazione dell'idoneità del Modello preventivo (ante factum), il cui rilascio permette l'esclusione della responsabilità dell'ente nei casi in cui vi sia corrispondenza tra il Modello certificato e quello concretamente attuato e non siano sopravvenute significative violazioni delle prescrizioni (circostanza, questa, che testimonierebbe la relazione causale tra lacuna organizzativa e reato realizzato).
Al rilascio della certificazione è inoltre connessa l'inapplicabilità delle misure interdittive in fase cautelare, salvo la ricorrenza di (non meglio definite) esigenze di eccezionale rilevanza.
L'art. 7-bis del “Progetto Arel”, ha tuttavia natura di “norma in bianco”, poiché molteplici aspetti, quali la definizione dei criteri e delle modalità certificatorie, l'efficacia dell'attestazione, la periodicità del rinnovo e il profilo soggettivo degli enti certificatori accreditabili sono rimessi alle prescrizioni di un futuro (incertus quando) regolamento del Ministero della Giustizia.
di Sandro Bartolomucci
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