Profili problematici della "responsabilità internazionale" degli enti per i reati commessi nel loro interesse o vantaggio
Il d.lgs. 231/01 affronta all'art. 4 il problema dell'efficacia nello spazio dello stesso, regolamentando le ipotesi in cui l'ente può essere chiamato a rispondere dell'illecito amministrativo per i reati commessi all'estero, intendendosi come tali quelli integralmente consumati al di fuori del territorio italiano. L'intenzione del legislatore, che parla di “sede principale della società nel territorio italiano” sembra essere quella di evitare che la presenza nel territorio nazionale di filiali secondarie di società estere possa comportare la perseguibilità di questi enti anche per i reati commessi fuori dall'Italia.
Qualora venga stabilito che l'ente ha la sua sede principale nel territorio italiano, sulla base dell'art. 4 lo stesso viene chiamato a rispondere di reati pacificamente consumati all'estero ai sensi dell'art. 6 c.p. Il comma 1 dell'art. 4 sembra tuttavia affermare che per agire nei confronti dell'ente sia necessario innanzitutto poter effettivamente perseguire l'autore del reato. E cioè che possa procedersi nei confronti dell'ente soltanto quando si siano realizzate tutte le condizioni che consentirebbero di procedere anche nei confronti dell'autore del reato e dunque anche che questi, laddove richiesto, si trovi nel territorio italiano ovvero non sia stato estradato. Ecco che pertanto gli unici reati commessi all'estero per cui può essere promossa incondizionatamente l'azione amministrativa sono i falsi nummari. Una deroga è tuttavia stata introdotta dagli artt. 3 e 10 della legge 146/2006, che hanno ampliato l'ambito della responsabilità dell'ente anche ad un'articolata serie di reati di criminalità organizzata, quando gli stessi presentino natura transnazionale.
di Luca Pistorelli
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