La confisca per equivalente nella recente giurisprudenza di legittimità
Nel caso di commissione di una serie di delitti tassativatamente indicati, l'art. 322-ter c.p.p. dispone che “è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato”; quando però il provvedimento ablatorio non possa colpire il profitto o il prezzo del crimine, il giudice può ordinare “la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo”.
Alla luce di quando già disponevano gli artt. 240 c.p. e 445 c.p.p., risulta tuttavia evidente come la portata innovativa dell'art. 322-ter c.p. abbia di fatto esercitato i suoi effetti su due soli profili: a) da un lato è stata prevista l'obbligatorietà della confisca delle cose che costituiscono il profitto del reato, b) dall'altro la disposizione codicistica di recente conio introduce, per l'appunto, una nuova ipotesi di confisca, cd. “per equivalente”, ed avente ad oggetto i beni del responsabile dell'illecito per un valore corrispondente al profitto o al prezzo del reato.
Posizione centrale in relazione alla sanzione in esame, riveste senz'altro la pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione, 25 ottobre 2005, Muci, con cui si è sancito che “il sequestro preventivo, funzionale alla confisca, disposto nei confronti della persona sottoposta ad indagini per uno dei reati previsti dall'art. 640-quater c.p., può avere ad oggetto beni per un valore equivalente non solo al prezzo, ma anche al profitto del reato, in quanto la citata disposizione richiama l'intero art. 322-ter c.p.”.
Maggiormente rilevante per la tematica attinente l'adozione della confisca per equivalente nei confronti di enti collettivi è la giurisprudenza in tema di presupposti per l'assunzione di detto provvedimento. Dopo aver inizialmente sostenuto che “presupposto per l'applicazione della confisca per equivalente è che vi sia un'oggettiva impossibilità di individuare le somme di denaro o i beni costituenti il prezzo o il profitto del reato per cui è stata pronunciata sentenza di condanna”18, in successive decisioni la Corte di legittimità ha opportunamente differenziato le condizioni richieste per l'adozione di un provvedimento di confisca ai sensi dell'art. 19 d.lgs. 231/2001 dai presupposti richiesti per l'adozione, ex art. 53 d.lgs. 231 citato, di un provvedimento di sequestro preventivo in funzione di una successiva confisca per equivalente. Mentre, infatti, in relazione alla prima ipotesi si riconosce che la valutazione circa l'impossibilità di reperimento e sequestro dei profitti illeciti debba essere effettuata con un certo rigore, nel caso di adozione di un provvedimento di sequestro ex art. 53 citato la medesima impossibilità “non deve necessariamente essere assoluta e definitiva, ma può riguardare anche un'impossibilità transitoria o non reversibile, purché esistente nel momento in cui la misura cautelare viene richiesta o disposta”19, con l'importante precisazione che la possibile precarietà di tale situazione di impossibilità di apprensione dei proventi illeciti condiziona l'onere di motivazione del provvedimento cautelare, che deve investire anche “la pur momentanea indisponibilità del bene, senza che sia necessario dare dettagliatamente conto delle attività volte alla ricerca dell'originario prodotto o profitto del reato”
di Ciro Santoriello
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