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SISTEMI DISCIPLINARI E SOGGETTI APICALI EX D.LGS. 231/2001 - di Luca Antonetto, Avvocato in Torino



È noto che, nel disciplinare "la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato", il decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, attribuisce un ruolo cruciale ai "modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi".
In effetti, come hanno puntualmente riconosciuto la dottrina e la giurisprudenza, "il modello è criterio di esclusione della responsabilità dell'ente ex art. 6, I comma, ed ex art. 7; è criterio di riduzione della sanzione pecuniaria ex art. 12; consente, in presenza di altre condizioni ..., la non applicazione di sanzioni interdittive ex art. 17; consente la sospensione della misura cautelare interdittiva emessa nei confronti dell'ente ex art. 49".
Per garantire tali risultati esimenti ed attenuanti, peraltro, il modello deve essere non soltanto "adottato" , ma anche "efficacemente attuato" (art. 6, I comma, lett. a) e art. 7, II comma) e "l'efficace attuazione … richiede [tra l'altro] un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello" stesso, tanto nei confronti dei "soggetti sottoposti all'altrui direzione o vigilanza" (l'art. 7, IV comma, lett. b), quanto nei confronti dei "soggetti in posizione apicale", (art. 6, II comma, lett. e) cioè delle "persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale", anche soltanto in via "di fatto" (art. 5, I comma, lett. b).
In sintesi - sulla scia dell'esperienza statunitense, in cui "l'apparato sanzionatorio rappresenta ... il punto di forza di un compliance program" (nella prospettiva "di una parziale privatizzazione dell'amministrazione della giustizia penale" ) - l'introduzione e/o l'implementazione di un (duplice) sistema disciplinare ad hoc costituisce un requisito essenziale dei modelli organizzativi, integrandone "quello che può essere definito il contenuto minimo" , con un vero e proprio "elemento strutturale".
Tanto è vero che la giurisprudenza ha puntualmente negato ogni rilievo a modelli organizzativi privi di un adeguato sistema disciplinare (in particolare, "nei confronti degli amministratori, direttori generali e compliance officers") . Ciononostante, come hanno rilevato le "associazioni rappresentative degli enti" nel tracciare le linee guida per l'elaborazione dei modelli organizzativi ai sensi dell'art. 6, III comma, "in ordine alle caratteristiche del sistema [disciplinare], il decreto legislativo non offre alcuna indicazione specifica, introducendo previsioni estremamente generali".
Sicché spetta all'interprete la ricostruzione sistematica dei caratteri e dei contenuti del (duplice) sistema disciplinare prescritto dagli articoli 6 e 7, sopra citati.

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A proposito, facendo tesoro delle prime indicazioni dottrinali e giurisprudenziali, (per approssimazioni progressive) si può affermare che:
1. "ovviamente deve trattarsi di un sistema sanzionatorio disciplinare interno che si aggiunge a quello eventuale esterno penale o amministrativo" , inteso sanzionare il contravventore del modello di organizzazione "indipendentemente dal fatto che da quella violazione sia scaturita la commissione di un reato" (requisito della specificità e autonomia);
2. deve essere redatto per iscritto e adeguatamente divulgato, in uno con il modello organizzativo, mediante una puntuale e capillare "informazione" e "formazione" dei destinatari , al di là della pubblicazione, "mediante affissione in luogo accessibile a tutti", specificamente prescritta dall'art. 7, I comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (salva la sanzionabilità in ogni caso dei "fatti il cui divieto risiede ... nella coscienza sociale quale minimum etico" , "riconoscibili come illeciti senza necessità di specifica previsione", in particolare se "contrari a norme di rilevanza penale" );
3. "deve essere armonico e compatibile con le norme, legislative e contrattuali, che regolano il rapporto intrattenuto dall'ente con ciascuno dei soggetti ai quali si applica il modello" , in particolare per quanto riguarda "la tipologia delle sanzioni ed il relativo procedimento di accertamento e irrogazione" (requisito della compatibilità);
4. non deve essere "flatus vocis, ma ... caratterizzato da misure concrete, idoneo a renderlo efficiente ... (requisito della idoneità)" ;
5. tale idoneità si manifesta e si misura essenzialmente sul piano della funzione preventiva,
5.1. propria delle sanzioni disciplinari in generale, che "non sono assimilabili alle penali di cui all'art. 1382 Cod.Civ., e non hanno una funzione risarcitoria, ma, grazie ad una portata afflittiva innanzitutto sul piano morale, hanno essenzialmente la funzione di diffidare dal compimento di ulteriori violazioni (salva la funzione di assicurare una diretta tutela degli interessi del datore di lavoro, nel solo caso delle sanzioni estintive del rapporto)" ;
5.2. e vieppiù propria dei sistemi sanzionatori in esame, data l'espressa finalizzazione ("a prevenire reati") dei modelli organizzativi cui sono coessenziali: sicché le sanzioni ... dovranno essere dotate ... della idoneità ... a svolgere ... una funzione deterrente ... avendo una specifica funzione preventiva e non meramente punitiva" .
Il punto merita di essere approfondito, per la fecondità delle sue implicazioni. In effetti occorre evidenziare che si tratta di una funzione preventiva essenzialmente indiretta e mediata, come implicano congruentemente
- la natura di "colpa di organizzazione" assunta a fondamento della responsabilità dell'ente , il quale si trova a rispondere non già obiettivamente, "per ricaduta automati.....

 

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