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Lun, 7 Ott 2024 |
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LA RIFORMA DEL REATO DI FALSE COMUNICAZIONI SOCIALI. DUBBI INTEPRETATIVI E APPLICAZIONI CONCRETE - di Alessandro Parrotta, avvocato penalista del Foro di Torino e Andrea Racca, dottore di ricerca in “Diritti e Istituzioni” presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Torino
1. I contenuti della riforma Da poco approvata dalle Camere ed entrata in vigore la disciplina di riforma del falso in bilancio. La L. 27 maggio 2015 n. 69 (1) è stata oggetto di un ampio dibattito, anche sollevando una grande eco mediatica. Come è possibile evincere anche dalla relazione di accompagnamento alla legge, la riforma prende le mosse da un generale contesto di prevenzione e ridefinizione della normativa anticorruzione, con una serie di misure volte a combattere anche i recenti casi di "Roma Capitale". Sebbene, infatti, l'Italia abbia ratificato a giugno 2013 le Convenzioni del Consiglio d'Europa in tema di normativa penale e civile anticorruzione (2), si è ravvisata l'esigenza di dare un'ulteriore giro di vite in questo settore, anche in adempimento alle raccomandazioni con le quali il Consiglio Europeo aveva più volte ammonito l'Italia di normative poco stringenti in materia (3). L'intento complessivo è pertanto indurre un sostanziale cambiamento di mentalità, non solo all'interno della Pubblica Amministrazione, ma nella stessa società civile e nel mondo dell'impresa, rafforzando il coordinamento delle politiche anticorruzione a livello centrale, regionale e locale, potenziando la prevenzione e ampliando la portata delle disposizioni penali in tema. Corollario a questo intento si pone la stessa riforma dei reati fiscali prevista dalla novella 69/2015, in quanto si è ritenuto che troppe volte attraverso di essi si potessero perseguire finalità corruttive, quali occultare o riciclare capitali derivanti da attività illecite, permettere operazioni anticoncorrenziali, finanziare organizzazioni criminose, ecc. In tal guisa si è ritenuto che la normativa previgente in tema di falso in bilancio – emanata con il D.lgs 61/2002 dal Governo Berlusconi – fosse poco repressiva, sostanzialmente depenalizzando il reato previsto dall'art. 2621 c.c. ovvero le c.d. «False comunicazioni sociali», limitatamente alle società non quotate (4) e introducendo alcune misure che permettessero l'esercizio dell'azione penale solo in presenza del superamento della soglia di non punibilità, della procedibilità a querela, nonché dell'assenza di alcune specifiche cause di non punibilità; in tal guisa restringendo di gran lunga l'efficacia della disciplina dei reati societari (5). Tema dell'odierna disamina risulta essere, quindi, la modifica dei reati di false comunicazioni sociali, la cui riforma può vantare l'intento di aver offerto maggiore razionalità alle fattispecie sul piano oggettivo (anche mediante la punibilità del falso c.d. qualitativo) e soggettivo. Tuttavia dal punto di vista della tipizzazione della condotta di reato pare non essere così esauriente. La novella, sin dalle sue prime applicazioni giudiziali, ha infatti evidenziato alcune aporie, denotando come essa non sia stata poi così tanto ispirata ad una maggiore repressività, come invece più volte ribadito in sede di discussioni parlamentari, poiché alle elevate sanzioni previste dagli artt. 2621 e 2622 c.c. corrispondono cause di attenuazione e di esclusione della pena soprattutto per le società di piccole e medie dimensioni (6), ove maggiormente si annida il rischio di infiltrazione di stampo mafioso. La sensazione, dunque, è quella per cui il Legislatore abbia assecondato le istanze di quanti reclamavano inasprimenti sanzionatori per i reati di false comunicazioni sociali e al contempo abbia voluto limitarne il rigore attraverso gli artt. 2621-bis e 2621-ter. Sensazioni in gran parte confermate da parte della Suprema Corte di Cassazione attraverso la sentenza Sez. V Civ. n. 33774/2015 del 30 luglio 2015 (cd. Caso Crespi), nella quale l'istanza repressiva sembra essere stata completamente disattesa, in virtù della espulsione dalla fattispecie delle c.d. "valutazioni", criteri entro i quali, in base al nuovo testo di legge, sembra non potersi più configurare il falso in bilancio, anche in virtù dell'eliminazione delle soglie di punibilità. Il testo previgente prevedeva, infatti, tre tipologie di soglie per cui al di sotto delle stesse la punibilità veniva esclusa: la prima se la variazione del risultato economico, al lordo delle imposte, era inferiore al 5%; la seconda se la valutazione non era superiore all'1% in relazione al patrimonio netto e la terza se in caso di valutazioni estimative la loro stima non fosse stata superiore al 10%; tutti criteri sostituiti con un metro meno analitico mediante la definizione di fatti di lieve entità e di particolarità tenuità, per i quali si applica rispettivamente una pena meno grave e una causa di esclusione della punibilità. Nel dettaglio, infatti, il nuovo art. 2621-bis (7) prevede che la pena possa essere ridotta (da sei mesi a tre anni) nel caso in cui gli illeciti siano di "lieve entità", tenuto conto sia della natura e delle dimensioni della società, sia delle modalità o degli effetti della condotta ovvero, nel caso in cui si tratti di società non soggette a fallimento, prevedendone la procedibilità a querela; mentre con l'art. 2621-ter c.c. si individua l'ulteriore fattispecie della non punibilità per "particolare tenuità" di cui al nuovo art. 131 bis c.p. (8), precisando che detta qualificazione dovrà essere oggetto di accertamento da parte del giudice, chiamato a valutare "in modo prevalente" l'entità dell'eventuale danno cagionato alla società, ai soci o ai creditori. 2. L'elemento oggettivo del reato Sull'oggetto materiale del reato è stata conservata la tipizzazione delle comunicazioni sociali, introdotta dalla previgente normativa del 2002, individuando nei bilanci, nelle relazioni e nelle altre comunicazioni previste dalla legge, i mezzi tipici entro i quali diviene possibile realizzare la condotta del reato di "False comunicazioni". Le due fattispecie previste conservano pertanto la natura di reato proprio, in quanto configurabile unicamente da soggetti qualificati, cioè da coloro che rivestono funzioni di responsabilità all'interno della struttura sociale. Tuttavia, non bisogna dimenticare, come in forza dei normali criteri di cui all'art. 110 c.p. sia ammissibile il concorso dell'estraneus, per cui potrebbe essere chiamato a rispondere a titolo di concorso anche il consulente esterno, che accettando di supportare con le proprie conoscenze professionali una falsità nelle comunicazioni tipiche sociali (contributo agevolatore), faciliti o contribuisca direttamente a determinare una falsa realtà sociale offerta dal bilancio o dalle altre documentazioni sociali (9) (concorso esterno). Viene, d'altra parte, confermata l'irrilevanza penale delle condotte che riguardano comunicazioni "atipiche" o contributi causali non rilevanti a indurre i soci o i creditori in errore circa la consistenza patrimoniale della società (10). Con la Legge n. 69/2015 è stata quindi rimodulata anche la stessa condotta di reato, ora integrata dall'esposizione in una delle comunicazioni tipizzate di «fatti materiali non rispondenti al vero» ovvero nell'omissione di «fatti material.....
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