ANCORA IN TEMA DI FALSE COMUNICAZIONI SOCIALI - di Alessandro Parrotta, avvocato penalista del Foro di Torino, docente universitario e Andrea Racca, dottore di ricerca in Diritti e Istituzioni presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Torino



Sommario: 1. L'interpretazione dal punto di vista dell'elemento soggettivo del nuovo art. 2621 c.c.; 2. La sentenza 890/2015 c.d. Giovagnoni; 3. Il paradigma ermeneutico della sent. SS.UU. n. 22474/2016.


1. Come già ampiamente esaminato nel precedente intervento (1), il reato di false comunicazioni previsto dall'art. 2621 c.c. e dall'art. 2622 c.c. (inerentemente alle società quotate) sono stati oggetto di una recente e quanto mai discussa riforma da parte della L. 27 maggio 2015 n. 69 (2). La riforma ha infatti mantenuto parte della formula precedente, che descriveva analiticamente la condotta attiva del reato, amputandola però del riferimento inerente le c.d. valutazioni (o dati estimativi) e provvedendo contestualmente a replicarla anche nella definizione di quello della condotta omissiva, in relazione alla quale le due norme incriminatrici in precedenza avocavano le «informazioni» oggetto di omessa comunicazione. I primi commenti sulla nuova disciplina avevano, sin da subito, rilevato come l'omissione di fatti materiali, anziché informazioni, unitamente alla mancata riproposizione dell'inciso "ancorché oggetto di valutazioni" in relazione alla esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero, finisse per essere letta come la volontà di non attribuire più rilevanza penale alle attività di mera valutazione ovvero alle stime, che caratterizzano alcune voci di bilancio e che rispondono ad una pluralità di considerazioni fondate su elementi di varia natura, con un chiaro effetto depenalizzante. Gli scriventi in una precedente riflessione in questa Rivista avevano cercato di dimostrare come l'espunzione delle stime dal punto di vista dell'elemento oggettivo non provocasse altro che riconsiderare la condotta c.d. estimativa dal punto di vista dell'elemento soggettivo, per cui il dato estimativo rappresenterebbe comunque elemento della fattispecie, quando sia dolosamente propedeutico alla falsificazione delle informazioni sociali atte ad indurre in errore i destinatari sulla situazione patrimoniale della società (3). Gli odierni autori avevano anticipato quanto la successiva sentenza Cass. Pen., V Sez., n. 890/2015 (dep.2016) avrebbe definito nel novembre 2015, ovvero che l'esclusivo riferimento ai «fatti materiali», oggetto di falsa rappresentazione, non ha avuto l'effetto di escludere dal perimetro della repressione penale gli enunciati valutativi, i quali, viceversa, ben possono essere definiti falsi, quando si pongano in contrasto con criteri di valutazione normativamente determinati, ovvero tecnicamente indiscussi (4).
Nei primi mesi del 2016 la sezione V della Cassazione, chiamata ad esaminare la sentenza del 24/03/2014 della Corte d'Appello dell'Aquila in ordine al fallimento dell'Aquila calcio s.p.a., ove l'imputato amministratore della società veniva condannato di false comunicazioni sociali, si trova apparentemente di fronte a due diversi orientamenti, tanto da rimettere la questione alle Sezioni Unite. L'ordinanza di rimessione si interroga sugli effettivi confini concettuali del "falso valutativo", ribadendo che le anomalie di bilancio, attraverso le quali, secondo l'ipotesi accusatoria si è consentito alla società fallita di evitare l'adozione delle necessarie deliberazioni di messa in liquidazione e scioglimento, coinvolgono inevitabilmente la questione dell'interpretazione del nuovo dettato dell'art. 2621 c.c., in quanto, se si aderisse all'orientamento giurisprudenziale derivante dalla sentenza n. 33774 del 16.06.2015 (Crespi), dovrebbe rilevarsi, immediatamente, da parte della Suprema Corte una causa di esclusione del reato ai sensi dell'art. 129 c.p.p. destinata ad emergere in sede di esecuzione ex art. 673 c.p.p.. La Corte rileva infatti che, a seguito della novella L.69/2015 in tema di false comunicazioni sociali, il disposto del nuovo art. 2621 c.c. possa essere effettivamente interpretato divergentemente, ponendosi da un lato le sentenze n. 33774 del 16/06/2015 (caso Crespi) e n. 6916 del 08/01/2016 (caso Banca Popolare dell'Alto Adige) e dall'altro la sentenza n. 890 del 12/11/2015 (caso Giovagnoli), tali per cui in sede di applicazione della norma di cui all'art. 9 della L. 69/2015, che ha eliminato nell'art. 2621 l'inciso "ancorché oggetto di valutazioni", possa sorgere l'interrogativo circa l'effetto abrogativo che discende da tale decurtazione del testo normativo.
Secondo le prime due pronunzie, che sottolineano l'incidenza del dato letterale, la significativa eliminazione dell'inciso predetto determina, infatti, l'abrogazione parziale del reato di falso in bilancio con riferimento ai c.d. falsi valutativi (o "estimativi"). Si sarebbe dunque verificata una vera e propria successione di leggi penali con effetto abrogativo e l'esplicito riferi.....


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