Rivista 231 Rivista 231
     HOME     CHI SIAMO     COLLABORATORI     AVVISI/BANDI 231    TAVOLI 231      COME ABBONARSI
Email: Password:
Mar, 26 Set 2023
LE RUBRICHE


GLI INTERVENTI
ANNO 2023
ANNO 2022
ANNO 2021
ANNO 2020
ANNO 2019
ANNO 2018
ANNO 2017
ANNO 2016
ANNO 2015
ANNO 2014
ANNO 2013
ANNO 2012
ANNO 2011
ANNO 2010
ANNO 2009
ANNO 2008
ANNO 2007
ANNO 2006
ANNO 2005


LE NOTIZIE


MODELLI ORGANIZZATIVI 231/2001 E PROCEDURE FALLIMENTARI - di Giuseppe Bersani, Giudice presso il Tribunale di Piacenza




1. Generalità: gli enti responsabili

Come è noto con il D. Lgs. 231/2001 è stata previsto un corpo autonomo di norme sostanziali e processuali in cui viene disciplinata la responsabilità degli enti per i reati commessi dai soggetti dipendenti posti in posizione apicale o subordinata.
Si tratta di una normativa che per certi versi, è subito apparsa rivoluzionaria, in quanto ha ribaltato i termini di un problema che vedeva nel principio "societas delinquere non potest" un dogma che appariva inattaccabile.
Peraltro la citata normativa, nei suoi principi generali, non si discosta da quelli previsti dall'ordinamento penale , ed anzi, proprio al fine di non porre in essere una frattura netta fra responsabilità delle persone fisiche e responsabilità delle persone giuridiche, il Legislatore ha cercato di far confluire nel testo del D. Lgs. 231/01 i principi cardine del diritto penale.
Il D. Lgs. n. 231/01 ha previsto il regime della responsabilità anche per i soggetti privi di personalità giuridica, con ciò superando la storica contrapposizione tra gruppi personificati e non personificati, pur prevedendo - recependo le indicazioni del legislatore delegato e le esperienze del sistema francese - l'esclusione dalla responsabilità dello Stato e degli en¬ti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale individuabili in partiti politici e sindacati, nonché degli altri enti pubblici non economici.

2. Responsabilità penale degli enti sottoposti a procedure concorsuali.
Le novità legislative non hanno riguardato solo la responsabilità degli enti, in quanto, come è noto, il Legislatore con il decreto legislativo 5/2006 ha completamente modificato la legge fallimentare mutando, oltre ai poteri ed ai rapporti fra gli organi della procedura, anche alcuni classici istituti del diritto fallimentare.
Con riferimento al profilo che interessa in questa sede occorre verificare quando, in che misura, i reati previsti dagli articoli 25 e ss. D. Lgs. 231/01 possano essere commessi nell'ambito di una procedura fallimentare; in altre parole occorre verificare quali siano gli ambiti applicativi della legge 231/01 nello specifico settore del diritto fallimentare.

3. Reati commessi nell'esercizio provvisorio dell'impresa fallita.
Poiché – come si è più sopra brevemente analizzato - il presupposto oggettivo per l'applicazione della legge 231/01 è costituito dalla commissione - da parte di personale dipendente o di un soggetto posto in posizione apicale - di uno dei reati previsti negli articoli 25 e ss. D. Lgs. 231/01 appare evidente - attesa la natura di tali reati - come il D. Lgs. n. 231/01, trovi applicazione solo nelle situazioni in cui l'attività aziendale e produttiva può essere ancora utilmente svolta nell'interesse della massa dei creditori.
Ci riferiamo – pertanto - all'ipotesi di esercizio provvisorio dell'impresa disciplinata dall'articolo 104 della legge fallimentare; è infatti, difficile, configurare la commissione delle ipotesi delittuose previste dagli articoli 25 e ss. D. Lgs. 231/01 nella mera attività di liquidazione dell'attivo dell'ente.
Deve essere brevemente osservato, non essendo questa la sede per un approfondimento di tale problematica, come il Legislatore fallimentare del 2006 si sia ispirato a principi finalizzati allo snellimento della procedura ed alla possibile conservazione del capitale economico del soggetto fallito; tali principi sono particolarmente presenti nella "nuova versione" dell'esercizio provvisorio dell'impresa che può essere autorizzato, sempre che non arrechi pregiudizio ai creditori, nei casi in cui l'improvvisa interruzione possa comportare un danno grave; la norma indica due modalità con le quali può essere concesso l'esercizio provvisorio: la prima è prevista in sede di sentenza dichiarativa di fallimento, mentre la seconda presuppone un provvedimento del giudice delegato, su proposta del curatore, quando il comitato dei creditori con parere vincolante, ritenga la continuazione temporanea dell'esercizio dell'impresa conveniente per i creditori stessi oppure più proficua ai fini della collocazione sul mercato dell'azienda.
In tale prospet.....

 

Il seguito è riservato agli Abbonati

Scelga l'abbonamento più adatto alle Sue esigenze