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Mer, 19 Mar 2025 |
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LE “VICENDE MODIFICATIVE”: TRASFORMAZIONE, FUSIONE, SCISSIONE E RESPONSABILITÀ DEGLI ENTI - I° PARTE - di Valerio Napoleoni, Consigliere della Corte di cassazione, Assistente di studio presso la Corte costituzionale
1. Le "vicende modificative" degli enti e la responsabilità "da reato": "effettività" versus "garanzia" Nelle anfrattuosità della disciplina della responsabilità "amministrativa da rea-to" degli enti si cela un capitolo ancora umbratile nell'esperienza applicativa, che va direttamente a toccare ― esponendolo ad ulteriori sollecitazioni ― il "nervo scoper-to" del relativo sistema sanzionatorio: quello, cioè ― nemmeno a dirlo ― del rispetto del principio di "personalità". Lungo l'arco del loro ciclo esistenziale, i soggetti di di-ritto metaindividuali ― nella vasta accezione recepita dall'art. 1 comma 2 del D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 ― possono subire, in effetti, riorganizzazioni strutturali che ne mutano, più o meno profondamente, i tratti fisionomici; o che addirittura ne provoca-no la formale "scomparsa", quale autonomo centro di imputazione di posizioni giuri-diche soggettive, in conseguenza dell'"assorbimento" o della "frantumazione" in dif-ferenti organismi. Trasformazione, fusione e scissione ― come ben s'intende ― sono gli istituti evocati: istituti che la sezione II del capo II del D.lgs. 231/2001 raggruppa sotto il nomen iuris di "vicende modificative dell'ente", unitamente alla cessione d'azienda; la quale, però ― concettualmente e per il trattamento in concreto riserva-tole ― viene a collocarsi su un piano nettamente differenziato ( ). Prescindendo, dunque, in questa sede da tale ultima fattispecie, come incidono le operazioni considerate sulla responsabilità dell'ente connessa ad illeciti penali? Di primo acchito, un approccio di marca "garantista" ― in chiave di rispetto del princi-pio di "personalità" ― sembrerebbe accreditare il convincimento che la responsabili-tà in parola non debba mai comunicarsi ad enti, in un modo o nell'altro, diversi da quello cui l'illecito era originariamente imputabile. Anche, cioè, a voler fidare nella bonitas dell'etichettatura normativa di tale responsabilità ― come "amministrativa", e non già penale (ma sul punto si dovrà tornare in chiusura di discorso) ― dovrebbe comunque valere, in ipotesi, rispetto alle relative conseguenze sanzionatorie, un prin-cipio di intrasmissibilità omologo a quello enunciato in termini generali dall'art. 7 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (e replicato, per le sanzioni amministrative tri-butarie, dall'art. 8 del D.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472), con riguardo agli eredi della persona fisica autrice della violazione amministrativa. Ottica nella quale ― se non pure la trasformazione ( ) ― quantomeno la fusione e la scissione sarebbero destinate a produrre un effetto "catartico" sui "trascorsi criminali" degli enti partecipanti, stan-te l'ipotizzata incomunicabilità dei riflessi punitivi agli enti "altri" che "nascono" da tali operazioni. Esigenze non solo "antielusive", ma anche di rispetto dello "spirito" del siste-ma, si oppongono tuttavia con vigore ad una simile impostazione. Le operazioni in discorso ― le quali rimontano, nella generalità dei casi, a libere iniziative degli inte-ressati ― non troncano, difatti, l'attività degli enti partecipanti: il loro obiettivo "fi-siologico", al contrario, è quello di potenziarla o di renderla comunque più profittevo-le, tramite l'utilizzazione di un modulo organizzativo maggiormente confacente, ov-vero a mezzo di "aggregazioni" o "disaggregazioni" di forze. La tradizionale catalo-gazione della fusione tra le ipotesi di successione in universum ius (l'ente incorporato o fuso, nel caso di fusione propria, si estinguerebbe, con correlata traslazione del complesso dei suoi rapporti all'ente incorporante o all'ente risultante dalla fusione) ― catalogazione ora superata, peraltro, dalla stessa giurisprudenza che se ne era fatta strenua portavoce ( ) ― non coglie, in effetti, la sostanza del fenomeno. La fusione ― come pure la scissione ― per ribadire un'icastica metafora, non sono "contratti di morte", ma "contratti di vita": un "continuum esistenziale" lega gli enti che vi parte-cipano a quelli che da essi risultano. Onde resta difficile accedere all'idea che una fu-sione post factum (successiva, cioè, all'illecito penale generatore di responsabilità), o addirittura post sententiam (irrogativa delle correlative sanzioni) ― fusione che po-trebbe magari avere, come partner, la classica "società-scatola vuota", creata apposi-tamente allo scopo ― valga a mondare, eo ipso, l'ente responsabile da ogni pregresso "peccato". Con ciò, non è ancora consentito, tuttavia, calare completamente la sordina sul-la contrapposta esigenza di salvaguardia dei "terzi innocenti": esigenza avvertibile segnatamente allorché la "vicenda modificativa" comporti ― come nei casi di fusio-ne e di scissione c.d. per incorporazione ― la compenetrazione tra la struttura grava-ta, per le sue mende organizzative, della responsabilità da illecito penale e una o più altre strutture "sane" ( ). Una soluzione all'insegna della indiscriminata trasmissibili-tà delle sanzioni rischierebbe allora di produrre ― in particolare, quando vengano in gioco sanzioni interdittive ― conseguenze ultra modum, determinando, al tempo stesso, una inopportuna remora al compimento di operazioni di riorganizzazione a-ziendale scevre da qualsiasi intento fraudolento. Calzante, al riguardo, l'esempio pro-posto dalla relazione al D.lgs. 231/2001 (§ 14.1): in difetto di adeguati "correttivi", la grande società con azioni quotate in borsa che incorporasse una modesta società a re-sponsabilità limitata, il cui l'amministratore abbia in precedenza corrotto pubblici funzionari, potrebbe trovarsi esposta ex abrupto a sanzioni ― quali l'interdizione dall'esercizio dell'attività, la revoca delle autorizzazioni o l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione ― potenzialmente idonee a compromettere l'intera sua organizzazione. Alla realizzazione di un "equo compromesso" tra le due opposte istanze ora e-videnziate (di "effettività" del sistema sanzionatorio e di "garanzia") mirano ― al-meno negli intenti dei compilatori ― le previsioni degli artt. 28 ss. del D.lgs. 231/2001: previsioni che rinvengono il loro precedente più immediato nel seno della disciplina generale delle sanzioni amministrative tributarie (art. 15 del D.lgs. 472/1997), discostandosi tuttavia da esso per l'assai maggiore ricchezza di articola-zioni ( ). In concreto, l'accennata strategia di "compromesso" si è tradotta ― stando alle indicazioni della relazione governativa ― in tre linee direttrici. In primo luogo, la sorte delle sanzioni pecuniarie è stata accomunata — salve le limitate discrepanze ri-scontrabili in rapporto alla scissione — a quella della generalità degli altri debiti dell'ente originario. Quanto, invece, alle sanzioni di natura interdittiva, in sintonia con il relativo limite oggettivo di incidenza, enunciato in termini generali dall'art. 14 del D.lgs. 231/2001, se ne è mantenuto il collegamento con il "ramo di attività" nell'ambito del quale il reato è stato commesso: dette sanzioni graveranno, cioè, in via esclusiva sull'ente al quale, dopo l'operazione di "riassetto", viene o continua a far capo la struttura operativa entro la quale si è consumato l'illecito penale. In terzo luogo e da ultimo, come "correttivo" agli effetti eccessivamente "rigoristici" cui quest'ultimo criterio potrebbe comunque dar luogo, si è riconosciuta all'ente interes-sato — in aggiunta alle opzioni di cui già beneficiava l'ente originariamente respon-sabile onde evitare l'applicazione delle sanzioni interdittive — la facoltà di chiedere la loro "sostituzione" con sanzioni di tipo pecuniario, quante volte le modifiche orga-nizzative conseguite alla fusione o alla scissione (non anche alla trasformazione) sia-no valse a rimuovere le cause che avevano determinato o reso possibile la commis-sione del fatto criminoso. In una parola, dunque, stando ai dicta degli artefici delle norme: un modello di riferimento "civilistico" per le sanzioni pecuniarie, combinato al criterio della "conti-nuità nell'attività" — col temperamento dell'accennata facoltà di sostituzione — ri-spetto alle sanzioni interdittive. A tutta prima, un simile assetto sembrerebbe frutto, in verità, dell'equivoco connubio fra due differenti piani d'intervento: quello, cioè, dell'imputazione della responsabilità amministrativa "da reato" e quello della regola-zione della sorte della responsabilità civile-patrimoniale per il debito da essa derivan-te. In concreto, tuttavia, tale ambiguità viene a manifestarsi, come si vedrà, esclusi-vamente nell'ambito della disciplina della scissione ( ): giacché rispetto alla trasfor-mazione e alla fusione il dato normativo non sembra autorizzare dubbi sul fatto che — anche quando si discuta delle sole sanzioni pecuniarie — quel che si "comunica" è la responsabilità "amministrativa" per l'illecito precedentemente commesso, e non già una semplice responsabilità di tipo patrimoniale (id est: "civilistico" è il "model-lo", non la responsabilità). Altro è, poi, che si possa dubitare della coerenza dell'impianto, complessivamente considerato, con il carattere "personale" dell'anzidetta responsabilità "amministrativa": ma di ciò a conclusione dell'analisi. 2. L'ambito di applicazione della disciplina Ancorché alla data di entrata in vigore del D.lgs. 231/2001 trasformazione, fu-sione e scissione si con.....
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