Rivista 231 Rivista 231
     HOME     CHI SIAMO     COLLABORATORI     AVVISI/BANDI 231    TAVOLI 231      COME ABBONARSI
Email: Password:
Gio, 6 Feb 2025
LE RUBRICHE


GLI INTERVENTI
ANNO 2025
ANNO 2024
ANNO 2023
ANNO 2022
ANNO 2021
ANNO 2020
ANNO 2019
ANNO 2018
ANNO 2017
ANNO 2016
ANNO 2015
ANNO 2014
ANNO 2013
ANNO 2012
ANNO 2011
ANNO 2010
ANNO 2009
ANNO 2008
ANNO 2007
ANNO 2006
ANNO 2005


LE NOTIZIE


IL RAPPRESENTANTE LEGALE NEL PROCESSO A CARICO DELL’ENTE: UNA FIGURA PROBLEMATICA - II° PARTE - di Alessandra Bassi, Giudice presso il Tribunale di Milano - Sezione per il Riesame

(segue)

4. Le dichiarazioni del legale rappresentante dell'ente

Si può adesso passare ad esaminare più approfonditamente il tema, che si è preannunciato essere assai problematico, concernente la possibilità di sottoporre l'ente ad interrogatorio o ad esame a mezzo del legale rappresentante.
Come si è ampiamente osservato nei paragrafi precedenti, il rappresentante dell'ente ha una natura ibrida: da un lato, è la persona fisica che si costituisce e partecipa al processo per conto della persona giuridica e che, in virtù del rapporto di immedesimazione organica che lo lega all'ente, impersona l'ente nel processo; dall'altro lato, non si identifica completamente con l'ente, è soggetto giuridico distinto che partecipa al processo non per un fatto proprio ma per un fatto "altrui", atteso che solo l'ente, e non il suo legale rappresentante, sarà sottoposto all'esito del giudizio alle sanzioni derivanti da reato.
La difficoltà di un preciso inquadramento processuale del legale rappresentante rende problematica l'individuazione del regime da applicare alle sue dichiarazioni. L'assimilazione alla figura dell'imputato piuttosto che alla figura del testimone non è irrilevante, comportando pesanti ricadute per quanto concerne, ad esempio, la possibilità di avvalersi della facoltà di non rispondere o il valore da assegnare all'eventuale confessione proveniente dal rappresentante legale dell'ente ai fini dell'accesso al rito direttissimo ai sensi dell'art. 449 comma 5 c.p.p. .
La disciplina delle dichiarazioni rese dal legale rappresentante potrebbe trovare una soluzione lineare sulla scorta del solo disposto dell'art. 35 del decreto, equiparando all'imputato non solo l'ente, ma anche il suo legale rappresentante, cioè la persona che, in virtù del rapporto di immedesimazione organica, è deputata a manifestare la volontà dell'ente all'esterno.
Tale soluzione, oltre a scongiurare una scissione fra ente e suo rappresentante legale non conforme ai principi civilistici in materia , è del resto caldeggiata dalla stessa Relazione Governativa, nella parte in cui afferma la parificazione del rappresentante legale alla figura dell'"imputato ai fini del regime delle dichiarazioni autoindizianti.
Il decreto n.231/2001 ha invece espressamente previsto, all'art. 44 comma 1 lett. b), l'incompatibilità ad assumere la veste di testimone solo della persona che rappresenta l'ente costituito nel processo e che rivestiva tale funzione anche all'epoca del tempus commissi delicti.
Secondo il dettato normativo, affinché sia integrata l'incompatibilità de qua è dunque necessario che l'ente sia costituito nel procedimento e che la qualità di rappresentante legale sussista in entrambi i momenti della perpetrazione del reato presupposto e dell'accertamento dell'illecito che da esso dipende. A tenore del dato testuale, dovrebbero dunque essere immuni da incompatibilità ad assumere la veste di testimone sia il rappresentante legale dell'ente non costituito nel procedimento; sia il rappresentante legale attuale che non fosse tale all'epoca del fatto reato; sia il rappresentante legale dell'epoca di commissione del reato presupposto che non sia più tale nell'attualità. Si vedrà tuttavia come, soprattutto con riguardo al primo e al secondo dei casi esaminati, sia problematico parlare di un mero testimone, per il possibile conflitto di interessi di costui che comunque ricopre nell'attualità la posizione di rappresentante legale in seno all'ente.
La ratio della norma di cui all'art. 44 comma 1 lett. b) del decreto è duplice: da un lato, si vuole evitare che il rappresentante legale si trovi ad essere costretto a rendere dichiarazioni autoincriminatorie, in violazione del principio del nemo tenetur se detegere, sia per quanto riguarda un possibile personale coinvolgimento nel procedimento penale, sia per quanto concerne la responsabilità dell'ente che rappresenta.
Il legale rappresentante dell'epoca del commesso reato potrebbe, ad esempio, essere costretto ad ammettere – pena la falsa testimonianza - di non avere predisposto o comunque di non avere correttamente attuato i modelli di organizzazione, la cui adozione costituisce fatto impeditivo dell'illecito a carico dell'ente a norma dell'art. 6 lett. a) del decreto.

Dall'altro lato, si vuole impedire che sia chiamato a rispondere un soggetto in possibile posizione di conflitto d'interesse, che potrebbe essere indotto a scaricare la responsabilità su terzi (l'autore del reato) per tenere fuori se stesso o l'ente. Non può invero sottacersi che proprio fra i fatti impeditivi dell'illecito amministrativo figura il caso in cui l'ente dimostri che il reato è stato posto in essere nell'interesse esclusivo del soggetto apicale o di un terzo (art. 5 comma 2 del decreto).
Proprio considerata ratio della norma, taluno ha fortemente criticato la mancata previsione dell'incompatibilità a testimoniare di qualunque rappresentante dell'ente (costituito ovvero non costituito nel procedimento, attuale ovvero dell'epoca del fatto reato), atteso che si tratta di persona che non è mai priva di interesse verso la vicenda giudiziaria concernente l'illecito amministrativo.
Stabilita l'incompatibilità a testimoniare del rappresentante legale dell'ente costituito (che sia tale nell'attualità e all'epoca di commissione del reato presupposto), il comma 2 dell'art. 44 del decreto precisa che, in tale caso, il rappresentante legale può essere interrogato ed esaminato nelle forme, con i limiti e con gli effetti previsti per l'interrogatorio e per l'esame della persona imputata in un procedimento connesso, vale a dire secondo la disciplina di cui all'art. 210 del codice di rito.
Il legislatore del 2001 non ha tuttavia spiegato a quale grado di connessione intendesse riferirsi, se a quella contemplata dagli artt. 12 comma 1 lett. a) e 197 comma 1 lett. a) c.p.p. (connessione forte), per la quale l'incompatibilità è assoluta, o se a quella prevista dagli artt. 12 comma 1 lett. c), 371 comma 2 lett. b) e 197 comma 1 lett. b) (connessione debole o collegamento), per la quale, salva l'incompatibilità a testimoniare, è comunque rimessa al dichiarante la facoltà di rinunciare alle garanzie di legge e rendere dichiarazioni contra alios.
A risolvere il quesito non soccorre neanche la Relazione Governativa, nella quale si parla genericamente di equiparazione della posizione del rappresentante legale a quello dell'imputato in un procedimento connesso, senza precisare la tipologia di connessione.
Impraticabile pare l'inquadramento del legale rappresentante quale imputato di un fatto legato da nesso teleologico o solo collegato con l'illecito amministrativo, atteso che costui partecipa al procedimento solo in rappresentanza della persona giuridica investita dal procedimento e non in quanto personalmente accusato di un illecito rispetto al quale possa configurarsi taluna delle cause di connessione e di collegamento (rispetti.....

 

Il seguito è riservato agli Abbonati

Scelga l'abbonamento più adatto alle Sue esigenze