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DIRITTI UMANI E RESPONSABILITA' DA REATO DEGLI ENTI - di Maria Antonella Pasculli, Professore aggregato di Diritto penale delle Pubbliche amministrazioni, Università degli Studi di Bari Aldo Moro



1. Breve excursus della Decisione quadro 2008/913/GAI sulla lotta contro talune forme ed espressioni di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale

Il legame tra atti europei e responsabilità delle persone giuridiche rappresenta una concreta espressione degli obblighi di criminalizzazione - de relato - di determinate condotte a carico del legislatore nazionale, a sottolineare, sia pure indirettamente, la supremazia del legislatore sovranazionale, anche al solo fine di evitare sanzioni.
La Decisione quadro 2008/913/GAI sulla lotta contro talune forme ed espressioni di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale ne è un esempio evidente .
L'art. 1 par. 1 lett. a) impone a ciascuno Stato membro di adottare le misure necessarie affinché sia resa punibile "l'istigazione pubblica alla violenza o all'odio nei confronti di un gruppo di persone, o di un suo membro, definito in riferimento alla razza, al colore, alla religione, all'ascendenza o all'origine nazionale o etnica".
L'intento europeista si colloca sulla linea della "proporzionalità", criterio utilizzato per bilanciare (in senso oggettivo prime facie, di fatto visibilmente restrittivo) la libertà di espressione, costituzionalmente garantita, con la salvaguardia dei principi della moderna democrazia, ( - di cui la libertà d'espressione ne è fondamento essenziale-) anch'essi costituzionalmente garantiti . Nel paradosso sul paradosso, tuttavia, il legislatore nazionale approva leggi rivolte a punire manifestazioni di pensiero, con correzione normativa della pericolosità lesiva dei principi democratici (costituzione liberale) e dogmatici (sistema penale) .
Il divieto di pronunciare hate speech, inoltre, non contrasta con la libertà di espressione, garantita dall'art. 10 della Convenzione dei Diritti dell'Uomo e delle libertà fondamentali, perché l'incitamento all'odio o alla violenza contrasta con i valori che sono ivi espressi, così come più volte affermato dalla Corte europea dei Diritti dell'Uomo .
L'art. 1 par. 1 lett. b) impone a ciascuno Stato membro di adottare le misure necessarie affinché sia resa punibile "la perpetrazione di uno degli atti di cui alla lettera a) mediante la diffusione e la distribuzione pubblica di scritti, immagini o altro materiale".
Gli stessi reati sono puniti se le parole urlate si trasformano in testo scritto e diffuso. La diffusione e distribuzione nell'era globale avviene tramite internet. Le espressioni in rete - di fatto - per quanto minacciose o oltraggiose, difficilmente potranno tradursi in un pericolo presente/concreto o immediato. Se anche ciò accadesse il sovvertimento dell'ordine pubblico - per introdurre il bene giuridico positivamente inteso - si presenterebbe come futuribile nella sua dimensione temporale, virtuale nella sua dimensione "oggettiva" di evento pericoloso, ovvero identificabile e provabile nella vita reale, ergo sistema penale.
A seguire, sotto il profilo della soggettività attiva, la rete inneggia all'anonimato, status ottimale per razzisti e xenofobi, dalle identità multiple ed inesistenti, per cui l'identificazione dell'autore del reato risulta impraticabile secondo le opzioni riconosciute.
Di recente L'UE e i suoi Stati membri, insieme alle società di social media e altre piattaforme, condividono la responsabilità collettiva di promuovere e favorire la libertà di espressione nel mondo online. Per far fronte al crescente problema dell'illecito incitamento all'odio online, il 31 maggio 2016 la Commissione europea e quattro grandi società informatiche - Microsoft, Facebook, Twitter e YouTube- hanno adottato il codice di condotta per contrastare l'illecito incitamento all'odio online, con risultati positivi in ordine all'obbligo alle piattaforme di predisporre un sistema di segnalazione per il materiale audiovisivo che faccia esplicito riferimento alla ipotesi di razzismo e xenofobia online.
L'art. 1 par. 1 lett. c) impone a ciascuno Stato membro di adottare le misure necessarie affinché sia resa punibile "l'apologia, la negazione o la minimizzazione grossolana dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra, quali definiti agli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale, dirette pubblicamente contro un gruppo di persone, o un membro di tale gruppo, definito in riferimento alla razza, al colore, alla religione, all'ascendenza o all'origine nazionale o etnica, quando i comportamenti siano posti in essere in modo atto a istigare alla violenza o all'odio nei confronti di tale gruppo o di un suo membro".
L'art. 1 par. 1 lett. d), infine, impone a ciascuno Stato membro di adottare le misure necessarie affinché sia resa punibile "l'apologia, la negazione o la minimizzazione grossolana dei crimini definiti all'articolo 6 dello statuto del Tribunale militare internazionale, allegato all'accordo di Londra dell'8 agosto 1945, dirette pubblicamente contro un gruppo di persone, o un membro di tale gruppo, definito in riferi.....

 

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