Gli strumenti di premialità previsti dal d.lgs. 231/2001 come pungolo alla rieducazione dell'ente
Premessa una breve analisi critica sugli strumenti di risposta al fatto-reato, ci si chiede preliminarmente se sia possibile rinunciare all'idea classica processo in favore di forme di composizione del conflitto fondate sul concetto di responsabilità non più retrospettiva bensì prospettica. La disciplina dei modelli differenziati certamente esalta i poteri dispositivi delle parti ed incide sulle modalità di accertamento processuale: inizia così a farsi spazio l'idea che la giustificazione intrinseca della pena consista proprio nella sua funzione riparatrice e integratrice. Secondo questa idea di giustizia, le procedure accelerate, semplificate, di conciliazione, mediazione e transazione possono assurgere a condizioni di sopravvivenza del sistema processuale.
Il processo nei confronti dell'ente, forse per la sua giovane età, si è fatto carico di questa esigenza di conciliazione tra i concetti di giustizia-sanzione e giustizia-riparazione, conferendo rilevanza agli strumenti di ravvedimento operoso. Il «sistema 231» crea un cono d'ombra che, oscurando la logica repressiva classica, incentiva forme di definizione del procedimento finalisticamente orientate alla collaborazione e all'auto recupero della legalità. Il finalismo rieducativo trapela dalla volontà costante di sospingere l'ente verso le condotte restitutivo-riparativo-organizzative, in adesione all'ormai collaudato sistema tripartito di incentivo – adesione volontaria – attenuazione della risposta sanzionatoria. Passati in rassegna gli strumenti di premialità disseminati all'interno del d.lgs. 231/2001, se ne analizzano gli effetti processuali che ne discendono oltre che le prospettive applicative de iure condendo.
di Dorella Quarto
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