Responsabilità dell’ente e danno all’immagine
La costituzione di parte civile nei confronti dell'ente è stata finora esclusa, seppur vi siano posizioni contrastanti sul punto. Rimane del resto la possibilità di evocare il soggetto collettivo in qualità di responsabile civile, al fine di assicurare il ristoro dei danni conseguenti al reato. La giurisprudenza, ha infatti creato la categoria del danno esistenziale, che va ad affiancarsi alla “vecchia” dicotomia codicistica danno patrimoniale/danno non patrimoniale.
Il danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c., secondo la ricostruzione della Suprema Corte, è costituito da tre elementi: il danno morale soggettivo; il danno biologico in senso stretto e il danno c.d. “esistenziale”. Si tratta di un'ipotesi di danno atipica, che trova disciplina nella clausola generale sulla responsabilità civile. Il danno non patrimoniale, invece, accorda il risarcimento a una serie di ipotesi tipiche, indicate singolarmente dal legislatore o riconducibili alla lesione di un diritto inviolabile previsto dalla Costituzione.
Secondo un consolidato indirizzo, il giudice della responsabilità amministrativa ha giurisdizione anche in caso di perdita di prestigio dell'Amministrazione, in relazione al pregiudizio patito dalla personalità pubblica della stessa. È pertanto chiaro come il danno all'immagine non costituisca un'autonoma categoria di danno, ma sia bensì riconducibile al paradigma dell'art. 2059 c.c. Il diritto deve essere “inciso oltre ad una certa soglia minima, cagionando un pregiudizio serio”. È necessario dunque il superamento di “una certa soglia di offensività”, venendosi così a determinare, anche in sede civilistica, l'esigenza che la compressione del bene giuridico vada al di là di un certo minimo tollerabile. Il criterio per individuare questo quid minimum è rimesso alla “coscienza sociale di un determinato momento storico” in grado di indicare quanto sia ammissibile un comportamento da inserire nel contesto sociale in cui è stato commesso.
di Francesco Vignoli
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