Corporate social responsibility e responsabilità amministrativa degli enti
Nel segno di una tradizione antropocentrica, secondo cui societas delinquere non potest, le ipotesi di reato hanno come punto di riferimento soggetti fisici, che agiscono nell'interesse dell'impresa, talvolta individuati quali intranei, in ragione dei loro rapporti funzionali con l'ente di cui sono espressione. La questione ha tuttavia assunto una nuova prospettiva con l'introduzione della responsabilità amministrativa degli enti ad opera del d.lgs. 231/2001. Prescindendo dalla vexata quaestio circa la natura della stessa, si deve considerare che il proprium della responsabilità degli enti è il collegamento genetico tra fatto reato e responsabilità, nonché la circostanza che gli strumenti dell'accertamento di essa sono quelli classici del processo (rectius: procedimento) penale. Ne derivano l'applicazione di principi classici del diritto penale, quali i principi di legalità e di irretroattività e il principio del – tendenziale - simultaneus processus.
La caratteristica peculiare della CSR - invece- è, nei suoi presupposti teorici, la volontarietà delle condotte che la esprimono. La sua declinazione nei sistemi di corporate governance è essenzialmente volontaria, tendenzialmente rimessa a scelte non coercibili degli amministratori, nella migliore delle ipotesi tradotta, sul piano normativo, in regole di soft law. Il libro verde della Commissione Europea definisce la CSR “l'integrazione volontaria, da parte delle imprese, delle preoccupazioni e visioni sociali ed ecologiche nelle loro attività e nei rapporti con le parti interessate”. Una comparazione degli ambiti e delle tendenze evolutive sia della CSR sia della responsabilità degli enti evidenzia una significativa sovrapposizione delle due aree. Il sistema elaborato dal legislatore con il d.lgs. 231/2001 si palesa come strumento certamente idoneo a sanzionare, con un intervento di significato penalistico, l'agere dell'impresa irresponsabile.
di Paolo Ielo
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