Violazioni delle norme antinfortunistiche e reati commessi nell'interesse o a vantaggio della società
L'art. 9 legge 3 agosto 2007, n. 123 ha esteso la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, come disegnata dal d.lgs. 231/2001, ai reati di omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell'igiene e della salute sul lavoro. Occorre pertanto verificare se l'applicazione del d.lgs. 231/01 presenti o meno profili di problematicità quando il reato-presupposto è rappresentato da un illecito colposo, come nel caso dei reati di cui agli artt. 589 e 590 c.p.
Nessun problema si pone in relazione al requisito richiesto dal n. 1) dell'art. 5 d.lgs. 231/2001 per il rinvenimento di un'eventuale responsabilità dell'ente collettivo, ovvero alla necessità che il delitto-presupposto sia stato commesso a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso; b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lett. a). È evidente infatti che questi soggetti possono essere senz'altro chiamati a rispondere dei reati di omicidio colposo o di lesioni gravi o gravissime ai danni dei propri dipendenti.
Tuttavia, in presenza di una condotta di cd. colpa incosciente, caratterizzatasi cioè per il fatto che il soggetto agente ignora di agire in violazione di una serie di norme prudenziali cui la sua condotta pericolosa dovrebbe invece uniformarsi, non è possibile sostenere che il comportamento delittuoso è stato tenuto nell'interesse della persona giuridica. Presupposto perché possa rinvenirsi una responsabilità da reato della persona giuridica è infatti che i soggetti menzionati abbiano agito delittuosamente nell'interesse dell'ente ovvero che questi abbia comunque tratto un vantaggio dall'illecito, mentre nel caso in parola, il singolo ignora di tenere una condotta illecita - non è cioè consapevole della violazione della disciplina cautelare - e non può quindi affermarsi che egli intenzionalmente delinque al fine di avvantaggiare la persona giuridica: non sapendo il soggetto di delinquere non può sostenersi che egli delinque nell'intento di favorire l'ente di appartenenza.
di Ciro Santoriello
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