La colpa di organizzazione alla luce delle innovazioni legislative apportate dalla legge 123/2007
Scorrendo la relazione al d.lgs. 231/2001 emerge come il criterio d'imputazione soggettivo sul quale si fonda la responsabilità amministrativa di enti e società sia costituito dalla cd. colpa di organizzazione, espressione di scelte di politica aziendale errate o quantomeno avventate. In tale ottica, il fulcro attorno al quale ruota l'intero sistema è costituito dai Modelli di Organizzazione e di Gestione, strumenti privilegiati per prevenire la commissione di reati della stessa specie di quello verificatosi, altrimenti detti compliance programs, già noti all'esperienza nordamericana ed anglosassone. I Modelli Organizzativi sono strumenti di organizzazione della vita dell'ente o della società e debbono tener presente la realtà dei fenomeni aziendali e le leggi dell'economia, contraddistinguendosi per pragmaticità, efficienza e dinamicità. Essi debbono adeguarsi alle modifiche che l'ente incontrerà nel corso della sua vita e i Modelli dovranno necessariamente aggiornarsi rispetto all'evoluzione della struttura al fine di porsi come strumento concreto contro il rischio di commissione di illeciti. Si tratta di strumenti in divenire, non staticamente cristallizzati nelle loro forme ma strumenti duttili in grado di modificarsi a fronte delle modifiche della struttura dell'ente e dell'insorgenza di nuove fonti di rischio.
Dalla prima formulazione del d.lgs. 231/2001, l'elencazione dei reati-presupposto sui quali si fonda tale responsabilità si è notevolmente ampliata: sono stati aggiunti i reati societari ed altre fattispecie quali la manipolazione di mercato, l'abuso di informazioni privilegiate, i delitti con finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico, sino a che, con l'art. 9 della legge 3 agosto 2007 n. 123, è stato introdotto l'art. 25-septies, relativo ai “ delitti di cui agli artt. 589 e 590, comma 3, c.p., commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell'igiene e della salute sul lavoro”. Con l'art. 25-septies è stato introdotto uno snodo centrale del complesso dibattito sull'interpretazione da attribuire al concetto di interesse o vantaggio, alla luce del d.lgs. 231/2001 così come integrato dalla legge 123/2007.
In realtà, già la Relazione allo schema di d.lgs. 231/2001 distingueva tra il criterio dell'interesse - da valutare ex ante e da intendersi come la finalità per la quale il soggetto agisce - ed il criterio del vantaggio - da valutare ex post e da intendersi in un'accezione sicuramente oggettiva: quest'ultimo, dunque, potrebbe rivelarsi assolutamente compatibile con la natura colposa dei reati in parola posto che il criterio del “vantaggio” richiesto dal d.lgs. 231/2001 ben può identificarsi in un significativo contenimento dei costi aziendali, con conseguente effettivo risparmio di spesa per la società.
di Marina Nuccio
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