Il riciclaggio come rischio tipico dell’intermediazione finanziaria
La definizione di “riciclaggio” contenuta nell'art. 2 d.lgs. 231 del 21 novembre 2007 contempla le azioni di: (i) conversione o trasferimento di beni, conoscendone la loro provenienza criminosa, allo scopo di occultarla o dissimularla; pensiamo alla cessione di titoli di credito rivenienti da una rapina o una trafugazione dei medesimi; (ii) occultamento o dissimulazione della reale natura, provenienza, ubicazione, disposizione, movimento, proprietà di beni o diritti sugli stessi, conoscendone l'origine criminosa; si pensi all'utilizzo, in un'operazione d'acquisto di azienda, di denaro proveniente sì dai soci, ma che questi a loro volta ricevono dall'associazione malavitosa cui appartengono; (iii) acquisto, detenzione o utilizzazione di beni conoscendone l'origine illecita; qui basta il semplice acquisto di un immobile, sapendo che esso è stato a sua volta ceduto in donazione al venditore dal soggetto da costui usurato, proprio come datio in solutum per i debiti da usura; (iv) partecipazione ad una delle suddette azioni ovvero l'associazione per commettere riciclaggio.
Il decreto, in ossequio alla direttiva comunitaria del 2005, arricchisce inoltre il quadro di reato con la fattispecie di “finanziamento del terrorismo”.
Le principali norme di attuazione delle direttive comunitarie (legge 197/1991, d.lgs. 56/2004 e infine d.lgs. 231/2007) hanno previsto l'obbligo di monitoraggio dell'esposizione al rischio di riciclaggio di alcuni soggetti determinati: nel 1991 sono stati unicamente gli intermediari finanziari, poiché si era riscontrata l'opportunità di presidii di prevenzione principalmente laddove il denaro deve - ancora oggi - transitare almeno una volta. Questo significa, che uno di questi soggetti si può trovare ad essere inconsapevole mediatore di fondi riciclati. I riflessi in termini di “rischi” sono esemplificabili in una classica “reazione a catena”. Si parte dal rischio di “intermediazione”, cioè quello che semplicemente si manifesta nel portare all'interno delle proprie casse denaro “sporco”, ovvero dal rischio “di credito”. Ma il rischio più insidioso, i cui effetti risultano - dalla casistica offerta dalle cronache finanziarie - a volte devastanti, è quello legato alla “reputazione” dell'intermediario. Ecco che pertanto dei rapporti instaurati e delle operazioni ivi compiute è bene che siano tenute in debita considerazione le tipologie, le modalità di svolgimento, l'ammontare, la frequenza, la ragionevolezza in rapporto all'attività svolta e l'area geografica di destinazione.
di Ranieri Razzante
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