Sentenza ANAS: i problemi insoluti
La c.d. sentenza ANAS evidenzia molteplici profili di interesse, poiché affronta gran parte di quelli che sono i principali profili applicativi del d.lgs. 231/2001. La sentenza del Tribunale di Milano si richiama a quelle che sono le linee evolutive della giurisprudenza della corte di cassazione che distingue l'interesse dal vantaggio, non interpretati alla stregua di una endiadi nella formulazione legislativa. Pone correttamente l'interesse nell'ambito dei motivi ed identifica il vantaggio come un'entità che può rimanere soltanto sperata anche all'esito della condotta criminosa.
Uno degli elementi che è stato maggiormente sottaciuto in tutto il dibattito relativo alle problematiche dei giudizi sulla responsabilità degli enti è quello relativo al fatto che una materia così complicata richiede un giudice altamente specializzato. Altamente specializzato perché particolarmente tecnica e complessa è la materia oggetto di valutazione.
Nessun tipo di specializzazione è invece prevista dal legislatore per il giudice che venga a trattare della responsabilità dell'ente. Questo giudice non specializzato si viene allora a trovare nella posizione di “delegare” a un “tecnico” alcune valutazioni essenziali per la determinazione della pena. A questo punto, sarebbe forse più opportuno prendere atto, sia da parte del legislatore sia da parte della giurisprudenza, dei problemi talvolta insormontabili connessi al richiedere al giudice penale un tecnicismo così avanzato. Problemi per di più complicati ulteriormente dalla scarsa efficienza del “filtro” di controlli da parte delle amministrazioni pubbliche nel campo. In quest'ottica, il ragionamento presuntivo del Tribunale si rivela l'unico possibile.
Preso atto di tale impossibilità, sarebbe forse preferibile impostarsi l'intera normativa e forse gli stessi orientamenti giurisprudenziali prevedendo una liquidazione presuntiva uniforme, abbandonando la prospettiva di una distinzione fra profitto “ordinario” e profitto “rilevante”. Non solo; ma sarà anche necessario rivedere i parametri per determinare il profitto cd. “rilevante”, non più agganciandosi ad un differenziale rispetto alla presunzione di legge ma valutando la possibilità di stabilire delle soglie di rilevanza connessa alle dimensioni della società, dell'appalto e del mercato. Del resto, un tale ragionamento permetterebbe di giungere ad una considerazione di un profitto non più di stampo meramente aritmetico, ma giungendo ad una definizione del profitto come “metrica di singolo periodo per determinare il valore creato da un'impresa” (richiamando letteralmente una delle molteplici definizioni “enciclopediche” di profitto).
di Vincenzo Tutinelli
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